Bologna

LA STORIA

Akim e la vittoria più bella
"Io sul ring finalmente da italiano"

Viene dal Marocco, aveva sei anni quando arrivò a Bologna. Si allena alla palestra Tranvieri, assieme a tanti immigrati. A quattro anni dalla prima domanda, il giuramento sulla Costituzione. "La boxe mi ha salvato, ho imparato a tirare i pugni ma anche il rispetto delle regole"

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"Maestro adesso possiamo combattere per il titolo italiano". La prima telefonata dopo aver giurato sulla Costituzione, Akim, 23 anni da Kenitra, Marocco, l'ha fatta a Sergio Rosa, che gli ha insegnato la boxe. Così a quattro anni dalla prima domanda, Akim Chebakia, bolognese da quando ne aveva sei, talento da boxeur e la testa a posto dopo un'adolescenza difficile, potrà lottare in autunno a Roma ai campionati assoluti, nella categoria gallo. Mercoledì mattina in Comune per il giuramento era un giorno speciale.

"C'ero andato con mia mamma - racconta Akim - poi all'uscita mi hanno fatto un a sorpresa: c'erano anche un mio caro amico e le mie sorelline, è stata una battaglia diventare italiano, ma ce l'ho fatta". Cinquantacinque chili, ottima tecnica e "un gancio sinistro che addormenta", dice il maestro, Akim sbuffa, suda, tira pugni ogni giorno dentro la palestra della Pugilistica Tranvieri, aderente all'Aics, la società che organizza il Santo Stefano, l'appuntamento più prestigioso della boxe bolognese. "Ho fatto pari l'ultima volta al Santo Stefano, ma l'avversario era un "leggero", cinque chili in più, e diciamo che l'arbitraggio non è stato casalingo" scherza Akim, sin qui 32 incontri di cui solo sei persi e cinque vinti per ko.

"Diciamo che i suoi colpi si sentono, adesso dipende da lui, dovrà allenarsi e allenarsi ancora, ma può andare lontano 'sto ragazzo, ai campionati italiani se la può giocare, poi chissà magari ci sarà anche la Nazionale" sorride Rosa, 62 anni da Budrio, che insieme a Sergio Di Tullio, il suo stretto collaboratore, ogni giorno insegna la boxe e molto altro ad una cinquantina di ragazzi. Quasi la metà stranieri, marocchini, russi e albanesi.

Il papà di Chebakia faceva l'insegnante in Marocco, ma perso il lavoro nel 1989 venne qui. Poi l'ha raggiunto nel '95 tutta la famiglia, quando lui trovò un lavoro da operaio, all'Atc, nelle officine del deposito Battindarno. La mamma casalinga badava alle sorelle, la più piccola aveva tre mesi quando arrivarono in Italia, Akim era un bambino, poi un ragazzino che sognava di fare l'ala destra, crescendo dalle parti dell'Ospedale Maggiore.

"Non sono stati anni facili, ho rischiato di perdermi e potevo finir male. La palestra mi ha salvato, ho imparato non solo a tirare i pugni ma anche l'educazione e il rispetto delle regole, mi sfiancavo di allenamenti, così alla sera andavo a letto e non in giro a trovare guai". Poi, cinque anni fa, l'incontro con Rosa, grazie al fratello più grande che frequentava la Tranvieri. Il maestro e il boxeur, storia di un rapporto speciale, se il pugile si lascia guidare e se al maestro "lascia il cuore". Rosa, quando Akim combatte, è all'angolo, gli toglie i paradenti, l'avvolge con l'asciugamano, gli sussurra e grida consigli e conforti. "Chebakia è un grande prospetto - dice Maurizio Roveri, decano dei giornalisti bolognesi di pugilato - un vero talento tecnico, e ha tutte le carte in regola per diventare un professionista". Akim ha da poco aperto un locale, una piccola ma carina enoteca in via Fioravanti, l'ha chiamato "Bologna Gran Bistrot". Il lavoro dietro al bancone e la passione per la palestra. Ancora pugni, ancora corda, ancora sudore, ancora gli urli del maestro in bolognese. Per seguire il sogno di diventare presto un campione. Italiano.