Rosso e Nero
(prima serie)

Rubrica curata da Beppe Niccolai sulle pagine del "Secolo d'Italia"
organo del
Movimento Sociale - Destra Nazionale

 

 

Febbraio 1982

 

2 febbraio 1982

5 febbraio 1982 9 febbraio 1982
12 febbraio 1982 16 febbraio 1982 27 febbraio 1983

 

2 febbraio 1982

Il «caso» delle medaglie al valor militare al terrorista Rosario Bentivegna, per l'attentato di Via Rasella del 23 marzo 1944, non si placa. Perfino il "Corriere della Sera" si vede costretto a pubblicare lettere che deplorano, in termini severi e indignati, il conferimento delle onorificenze da parte dei ministro della Difesa, il socialista Lelio Lagorio.

Prima di passare ad illustrare l'aspetto, ancora più squallido, della vicenda, domandiamoci, cercando di rispondere, il perché Lelio Lagorio abbia voluto dare all'episodio tanta solennità, dall'invitare a Palazzo Baracchini, come oratore ufficiale della cerimonia, il comunista on. Antonello Trombadori, il quale, nella sua allocuzione, non si è limitato a poco se è arrivato (udite! udite!) a paragonare Rosario Bentivegna a Giuseppe Garibaldi.

La risposta va trovata, con tutta probabilità, nella ... P2. Infatti il caso Bentivegna si svolge in parallelo con la richiesta di audizione dei ministro Lagorio davanti alla Commissione Difesa, perché chiarisca la sua posizione, in relazione alle dichiarazioni dei Gran Maestro Lino Salvini, rese alla Commissione di inchiesta sulla P2, per cui Lagorio risultava in intimità con Licio Gelli.

Lagorio intanto ... premia Rosario Bentivegna come eroe nazionale. L'audizione dei ministro scivola come l'olio. Tutto va a gonfie vele. Io do una cosa a te e tu dai una cosa a me. Io conferisco i diplomi delle medaglie a Rosario Bentivegna, e tu, in Commissione, fai finta di nulla.

Direte che questo è un sistema mafioso. No, sbagliate. La mafia è una cosa seria. A queste manfrine non scende. Ci ricorrono invece i politici. In gergo mafioso gli uomini vengono divisi in quattro categorie: òmmini, mezzi òmmini, omminiccoli e quacquaracquà. È una gerarchia di valori molto precisa.

I politici italiani sono al quarto stadio: quacquaracquà.

Ed ora veniamo all'aspetto più squallido della vicenda «Rosario Bentivegna». Indro Montanelli su "il Giornale" (23.1.1982) scrive che «l’atto di valore» di cui si è voluto dar merito all'attentatore di Via Rasella è, per le sue conseguenze «un atto di infamia».

Ma perché quella onorificenza, che fu conferita trenta anni or sono, viene sbandierata solo oggi, Italia 1982?

Cosa c'è sotto?

Rosario Bentivegna il 5 giugno 1944, giorno successivo a quello dell'entrata in Roma delle truppe americane, assassinava, con fredda ferocia, a colpi di rivoltella, un sottotenente della Guardia di Finanza, appartenente al Fronte clandestino e quindi partigiano come lui, reo di avere lacerato un manifesto comunista.

Quell'assassinio è rimasto impunito. Infatti un Tribunale militare alleato del tempo si limitò a condannare il Bentivegna a pochissimi giorni di carcere. Che vergogna. Due medaglie al valor militare ad un assassino.

Che vergogna, onorevole ministro della Difesa. Che vergogna, signor Presidente della Repubblica.

Antonello Trombadori, deputato comunista, oratore ufficiale nella cerimonia del conferimento dei brevetti delle medaglie a Bentivegna, ha dichiarato che devono fare attenzione, perché c'è la galera, coloro che si mettono a vilipendere gli attentatori di Via Rasella, in quanto vilipendendo questi «eroi», si viene ad ingiuriare le Forze Armate della Repubblica italiana.

Ora all'eccidio di Via Rasella parteciparono dieci «gapisti», dieci «eroi». Ma, ahimé, subito dopo la strage, due di questi «eroi», fra i quali Guglielmo Blasi, passarono nelle file della banda Koch.

Daremo medaglie e brevetti anche a loro?

 

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5 febbraio 1982

 

All'ex-Gran Maestro della massoneria, il fiorentino Lino Salvini, è stato chiesto perché non ha mostrato polso fermo verso Gelli, lasciandogli fare quello che ha fatto. Risposta: «Vedete, io sono un cittadino allevato nel rispetto dei valori e dell'ordine costituito. Cosa dovevo pensare quando vedevo generati della finanza, quelli dei Carabinieri, i capi dei servizi segreti, sottosegretari, ministri che andavano a braccetto con Gelli e avevano per lui grande ammirazione?».

 

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«Organizzare il colpo di Stato è per dei massoni come per i cattolici voler defenestrare il Papa. Quanto a Gelli, pensarlo capace di un colpo di Stato è come immaginare uno che sfascia il letto in cui dorme. Lo Stato e il governo italiano, per lui, erano quelli ideali: per un corruttore, truffatore e ricattatore, cosa c'è di meglio d'un paese caotico, degradato, corrotto e corruttore come questo? Perché avrebbe dovuto volerlo buttare all'aria?». (Ennio Battelli, Gran Maestro della massoneria, "La Stampa", 19.1.1982).

 

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Il generale Santovito, ex-capo del Sismi, ha un cugino. Si chiama Francesco Pazienza. Ha solo 36 anni. Guadagna milioni a palate. Il Sismi gli passava uno stipendio di 70 milioni al mese. È intimo di Craxi, Piccoli. Lavora per il banchiere Calvi.

È lui che, con i denari del SISMI, organizza l'incontro in America fra Flaminio Piccoli e il segretario di Stato americano Haig. Tutto regolare? La singolare posizione del Pazienza avrebbe suscitato la particolare curiosità del generale Lugaresi, che è subentrato al Sismi al posto di Santovito, ritiratosi a vita privata per la vicenda P2, e del generale Ferrara, consigliere per l'ordine democratico e della sicurezza presso il Quirinale.

Nella vicenda episodi oscuri -asseriti, poi smentiti, mai chiariti- come quello della visita notturna, con relativo scasso della cassaforte, di un amico di Piccoli, il cui studio è accanto a quello dei segretario della DC. Cosa cercava? Nulla di nuovo sotto il sole: i servizi di sicurezza che dovrebbero combattere il terrorismo, continuano ad essere coinvolti nelle guerre tra le bande partitiche che infestano il paese.

Già, Santovito. Questo nome ci ricorda qualcosa. Peteano. Ricordate? L'ignobile tentativo di «regia» contro il MSI-DN. Per conto di chi, generale Santovito? Perché non ce lo dice ora che, a causa di Gelli, è andato in pensione?

 

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«Nel covo delle BR di Via Pesci, in Roma, sono state trovate armi micidiali, fra le quali un lanciagranate anticarro RPG-7V di progettazione sovietica (con due diversi tipi di munizionamento) e due razzi Sneb 68 impiegati su alcuni caccia della Nato sia come aria-aria, sia come aria-terra. Si precisa che il lanciagranate RPG-7V è l'arma più adatta per azioni terroristiche, di fronte alla quale le corazze dei blindati di polizia e carabinieri nulla possono. Oltre a ciò fucili a canne mozze, rivoltelle, mitra, pani di plastico, esplosivi ...» ("I micidiali razzi russi delle BR", "La Stampa", 11.1.1982).

 

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«Arrestati ad Avezzano due terroristi tedeschi. Sono nazisti. L'operazione della polizia è scattata alle otto di mattina: una trentina di agenti della DIGOS hanno circondato la palazzina a tre piani che li ospitava. Col mitra spianato hanno fatto irruzione nell'appartamento: i due tedeschi ancora dormivano e non hanno avuto il tempo di reagire. Nella casa e nel garage è stato trovato uno striscione inneggiante a Hitler, una svastica, scritte in tedesco e dei timbri». ("La Repubblica", 20.1.1982).

 

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«Seppi da un caro e onesto amico del Ministero degli Esteri, Ivella, che Ugo La Malfa avrebbe gradito incontrarmi. Non potevo rifiutare una cortesia e perciò, dietro sua insistenza, invitai a colazione, in una suite del "Grand Hotel" di Roma, lo stesso Ivella e Ugo La Malfa, che desiderava chiedermi una cortesia elettorale. Egli sapeva che, nella mia qualità di presidente della SACIE (industria cartaria), avrei inaugurato un nuovo stabilimento a Piazza Armerina. Tale paese faceva parte del suo collegio elettorale ed egli avrebbe gradito che nel discorso inaugurale io dicessi che l'opera era stata realizzata per volere di Ugo La Malfa. Non mi costava molto in fondo di arricchire la sua vanità politica di un merito non suo e gli promisi che lo avrei accontentato» (Dal memoriale di Michele Sindona, Agenzia Anipe, Milano, 24.1.1981).

 

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«Con buona pace delle emergenze economiche sono state recentemente profuse in omaggio ai parlamentari centinaia di medaglie d'argento e d'oro commemorative del bimilienario virgiliano. Nei rigori di una di quelle medesime emergenze, invece, è stata cancellata dalle spese dello Stato la voce di tre milioni per l'assegnazione di quelle poche medaglie d'oro d'onore di lunga navigazione spettanti ai naviganti che hanno compiuto 20 anni di navigazione. A questo punto, qualcuno almeno di quelli che si sono portati a casa la medaglia d'oro di Virgilio, dovrebbe spiegarci il senso e la direzione della tanto strombazzata «questione morale» (Gennaro Goglia di Palermo, "Corriere della Sera", 19.1.1982).

 

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Questo l'elenco degli oggetti ... smarriti che figura sotto vetro (perché altrimenti si fregano anche quello) nel corridoio che a Montecitorio porta al salone dei passi perduti: 1 orecchino, 1 portafoglio con valuta estera; 1 calcolatrice tascabile; 2 spille; 2 pipe; 2 borsellini con moneta; 1 agenda e penna; 1 borsetta porta trucco; banconote; 3 orologi; 2 accendini; 6 occhiali; 8 penne biro, 3 penne stilografiche; 3 ombrelli da donna; 2 sciarpe; 1 paio di guanti; 1 berretto e 1 paio di guanti, 1 borsa (uomo); 1 braccialetto; 1 chiave da vettura.

 

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9 febbraio 1982

 

Il 29 luglio 1983 ricorrerà il centenario della nascita di Benito Mussolini. A parte la spettacolare mostra allestita dal Comune di Milano sugli anni «Trenta», nello spazio di poco più di due mesi (novembre 1981 - gennaio 1982) sono usciti su Mussolini e il fascismo, i seguenti libri: "Mussolini, il Duce" di Renzo De Felice (Einaudi); "Mussolini" di Denis Mack Smith (Rusconi); "Starace" di Antonio Spinosa (Rusconi); "Consenso e cultura di massa nell'Italia fascista" di Vittoria De Grazia (Laterza); "Attenti al Duce" di Vincenzo Rizzo, con introduzione di Leonardo Sciascia (Vallecchi), "Mussolini e l'avventura repubblicana" di Giovanni Artieri (Mondadori); "Storia fotografica del fascismo" di Renzo De Felice e Goglia (Laterza); "La parabola di Mussolini nei ricordi di un gerarca" di Giuriati; "Mussolini urbanista" di Antonio Cederna; "Il fascismo nella caricatura" di Niccolò Zapponi; "La vetrina del ventennio (1923-1943)" di Gian Paolo Cesaroni; "L'economia dell'Italia fascista" di Toniolo; "L'Italia fascista" di Danilo Veneruso (Il Mulino); "Il fallimento del liberalismo, studi sulle origini del fascismo" (Il Mulino); "Il fascismo e la sua guerra" di Giorgio Candeloro (Feltrinelli); "Il Fascismo e politica culturale" di Carlo Bordoni; "Omar el Muktar e la riconquista fascista della Libia" (Marzorati Santarelli); "Fascismo sui muri" di Cianflone e Scafoglio (Guida); "Mussolini" di Kirkpatrick (Dall'Oglio); "Storia del fascismo" di Santarelli (Ed. Riuniti); "I figli del Duce" di Spinosa (Rizzoli, in stampa); "Mussolini" di Piero Chiara (Mondadori, in stampa); "Alessandro Pavolini" di Arrigo Petacco (Mondadori, in stampa); "Claretta Petacci" (Rizzoli, in stampa).

Dicono che non c'è da stupirsi. È un fatto culturale e basta. «Non si tratta, per l'amor dei cielo», dichiara lo scrittore Piero Chiara «di una restaurazione politica. È solo una questione di gusto, all'insegna d'un pizzico di snobismo intellettuale, come dire: guardate con che disinvoltura si sa maneggiare soggetti scabrosi».

Sarà. Personalmente, ho una diversa opinione. È che gli antifascisti, nel 1945, si illusero che, rimosso Mussolini, avrebbero potuto costruire l'Italia «a loro somiglianza».

Ed invece è stato un fallimento. Appunto perché c'era stato Mussolini che aveva mutato tutti: fascisti e antifascisti. Nessuno, dopo la sua scomparsa, è riuscito ad essere quello che era prima.

Pretendere di costruire dimenticando o diffamando Benito Mussolini è parso, dopo 37 anni dalla sua morte, prima che un assurdo storico, un errore fatale. Per andare avanti occorre prima «capire» Mussolini. Altrimenti tutto ristagna.

Ecco la fioritura di studi intorno alla sua persona e alla sua vicenda. E non c'è solo studio. C'è passione storica. Che investe, non solo i nostalgici, ma soprattutto, coloro che di Mussolini sono stati avversari di sempre.

Certo che il destino italiano, la dignità italiana sono legati, piaccia o no, al nome di Mussolini. Gli Italiani cominceranno a vedere chiaro nel futuro il giorno in cui coloro che dirigono le sorti del paese ricominceranno a comprendere la portata storica di Mussolini e oseranno rivendicarla di fronte a tutti i popoli.

Il prestigio che l'Italia, durante il ventennio mussoliníano, aveva riacquistato in tutto il mondo, seppur compromesso dalla vergognosa capitolazione dell'8 settembre, resta un fatto moderno di indiscutibile importanza. Accanto alle nostre vetuste e intramontabili glorie da museo, l'essere intervenuti da protagonisti nella storia mondiale della prima metà del secolo XX finirà un giorno per renderci più di quel che sinora ci è costato. Il vanto di avere affrontato per primi il problema comunista, di averlo temporaneamente risolto in casa nostra e di aver tenuto duro sul piano internazionale sino a che anche altri, più forti di noi, capissero quale pericolo stava minacciando le basi stesse del vivere civile e si decidessero ad assumere la guida della resistenza antibolscevica, appartiene all'Italia.

Piaccia o no, Mussolini non è solo un ricordo: egli rimane nella vita degli Italiani come una speranza.

 

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Grossi vinai, grandi esportatori, grandi sofisticatori. Due famiglie emiliane, plurimiliardarie, nel mirino dei giudice Bruno Catalanotti di Bologna.

Il consumo dello zucchero nella zona, da quando è cominciata l'indagine della magistratura, è sceso da 32.000 quintali del giugno 1981 a meno di 15.000 in agosto dello stesso anno. Finiva tutto nel vino.

1 gennaio 1982. Ore tredici. La Guardia di Finanza, che su ordine della magistratura, tiene sotto controllo il telefono di uno di questi vinai (Celso Resta), registra la seguente telefonata. È il figlio del Resta, Franco, latitante, che parla al padre, in libertà provvisoria dopo aver pagato una cauzione di 100 milioni. «Statti tranquillo papà. I nostri avvocati si danno da fare, anche se quel Damiani (è un avvocato dei Resta, N.d.R.) è un incapace». Ha avuto paura a denunciare il giudice Catalanotti. Comunque, stai tranquillo, perché siamo a buon punto. Grazie a quei nostri amici del Consiglio Superiore della Magistratura, abbiamo ottenuto il trasferimento di Catalanotti. Umberto (Umberto Cenni, civilista di Imola, anche egli legale dei Resta, N.d.R.) è stato proprio bravo a Roma e penso che ormai sia la volta buona. Quel rompiscatole di giudice ...».

Papà Resta, a questo punto, chiede: «Ma sei proprio sicuro?». E il figlio: «Te lo ripeto: con tutti quei soldi che abbiamo mandato a Roma possiamo stare tranquilli».

Cerchiamo di tradurre la conversazione in termini chiari. I soldi a chi vanno?

È lo stesso avvocato Cenni che racconta ai giudici la storia. Presi contatti con un suo amico di Busto Arsizio, tramite questi, arriva all'onorevole Francesco Forte, docente di scienza delle finanze, responsabile dei settore economia del PSI. All'amico di Busto Arsizio che fa da intermediario, i Resta regalano due milioni.

Poi a pranzo. È la fine di settembre 1981. Ristorante: l'Augusteo di Roma. Presenti: l'avvocato Damiani, l'avvocato Cenni e l'on. Forte.

Forte dà assicurazioni. I due membri socialisti del Consiglio Superiore della Magistratura, i professori Mario Bessone e Francesco Guizzi, eletti dal Parlamento il giugno scorso, si metteranno a disposizione. Faranno trasferire il giudice Catalanotti, così lo zucchero potrà, proficuamente, tornare ad essere usato per fare il vino (fasullo).

Il gioco è facile: Bessone (già assessore all'urbanistica al Comune di Genova per il PSI) passerà la richiesta al suo collega prof. Guizzi, docente di diritto romano a Napoli che, guarda caso, è membro della terza Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura, proprio quella che decide sui trasferimenti.

A questo punto che succede? La Procura generale di Bologna, sulla base delle intercettazioni telefoniche e delle confessioni del Cenni, emette due mandati di cattura (Resta e avv. Damiani) e due comunicazioni giudiziarie per interesse privato in atti di ufficio contro i due ... alti membri socialisti del Consiglio Superiore della Magistratura.

Finale: il consiglio superiore della magistratura (a questo punto lo scrivo con lettere minuscole), analizzati i fatti in riunioni segrete, mette sotto accusa il giudice Catalanotti. Il Ministro di Grazia e Giustizia non aspetta tempo: inizia l'azione disciplinare contro Catalanotti. Imparerà così a stare più attento. E ad imparare che quando si ha in tasca la tessera del PSI, tutto è permesso: imbrogliare, truffare, rubare, avvelenare. E, se occorre, c'è il consiglio superiore della magistratura, cioè il supremo organismo della Giustizia, a punire coloro che non si adeguano alle ruberie socialiste.

 

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12 febbraio 1982

 

Tra le carte del processo ANAS, che si è svolto all'Inquirente con risultati (scandalosi) che tutti sanno, ci sono episodi davvero gustosi.

Come quello di una conversazione fra l'ing. Ennio Chiatante, direttore generale dell'ANAS per volontà di Giacomo Mancini, e certo Cresci Eliano, emissario, come attesta il relatore on. Olivi, del sen. Luigi Anderlini, eletto nelle liste del PCI e presidente del gruppo parlamentare della sinistra indipendente.

Il Cresci vuole da Chiatante il famoso «numerino» perché la ditta Tebi di Roma possa, indovinando il ribasso, vincere una gara d'appalto di diversi miliardi per la costruzione di un tronco autostradale.

La conversazione, infarcita anche di salaci barzellette, sarebbe tutta da raccontare. Il Cresci inizia con il dire che Mancini, messosi politicamente nei guai per il suo carattere calabrese, avrà presto bisogno, per venirne fuori, dell'appoggio di tutta la sinistra, compresi i comunisti. E questo appoggio, assicura il Cresti, ci sarà. Quindi sia buono e comprensivo il Chiatante, se vuole bene al ministro Mancini, passi il numerino. Anche perché, dopo tutto, è la stessa segretaria del ministro a raccomandarlo.

E il numerino viene fuori: ribasso del 9,975. Poi Cresci, ringraziando, lascia il proprio recapito: sen. Luigi Anderlini, Senato della Repubblica, interno 456. Chiatante avrà cura di segnare questo numero, in rosso, sulla sua agenda personale. Rosso: persona importante, da tenere presente.

Luigi Anderlini, senatore della Repubblica. È sempre passato per un integerrimo moralizzatore. Incorruttibile. Si ricordano di lui gli interventi nella vicenda SIFAR: un Catone redivivo. Fecero arrabbiare perfino Aldo Moro. Sempre l'indice puntato contro qualcuno. Sempre accuse feroci sulla sua bocca e negli scritti vergati per "Astrolabio", la rivista della sinistra indipendente, pura e intatta come l'acqua sorgiva delle alte montagne.

Peccato: sull'ANAS, sulla sua vicenda (e sono sette anni che è sul proscenio), nemmeno un rigo.

Senatore Anderlini, che le è successo? L'ANAS, per caso, lo mette in panna.

 

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Notata nella seduta conclusiva e decisiva della Commissione Inquirente sul caso ANAS l'assenza del senatore Liberato Riccardelli del gruppo senatoriale della sinistra indipendente.

Come mai? Era impegnato altrove? Ma valeva la pena disertare quella votazione (e che votazione)?

E il presidente dei Gruppo, il senatore Anderlini, era d'accordo su quella assenza? L'ha decisa lui? E perché mai?

Nel giugno 1976 il Comune di Forlì, amministrato dal PCI, chiede la bollatura e paga il relativo importo all'Ufficio dei Registro di Forlì di tre cambiali per 360 milioni.

Le cambiali sono dell'avvocato Carlo Gotti Porcinari a favore della Società per azioni OMSA, calzificio di Faenza e della SAOM-SIDAR di Forlì.

Ci si chiede: perché il Comune di Forlì si è assunto l'onere di pagare detta bollatura? Come mai gli amministratori (rossi) di Forlì versano denaro pubblico per un atto di privati che regolavano cambialmente i loro rapporti?

Forse perché su quelle cambiati figura l'avallo di neo-deputati e di ex-deputati del PCI? È vero, o no, che le tre cambiali risultano controfirmate dall'onorevole Angelo Satanassi, all'epoca sindaco di Forlì, e dall'onorevole Giancarlo Ferri di Bologna, già deputato emiliano del PCI?

E come mai la Procura della Repubblica di Milano, che indagò sul fallimento pilotato della OMSA e della SAOM-SIDAR, escluse l'uso di denaro pubblico nell'operazione di sostegno finanziario a queste industrie private?

Il mistero è stato diradato. Il magistrato che si occupò del fallimento e perseguì nel 1978-79 Gotti Porcinari, era il sostituto procuratore della Repubblica di Milano, Liberato Riccardelli.

Rieccolo.

Magistrale il suo verdetto: nessuna responsabilità politica nella vicenda. Nessun peculato da parte dell'allora sindaco di Forlì, e oggi deputato comunista, Angelo Satanassi!

Poteva il PCI dimenticarsi della cortesia fattagli dal magistrato Liberato Riccardelli?

Non sia mai detto. Infatti a Riccardelli Liberato viene riservato il collegio sicuro a Monza. Ed oggi è senatore della Repubblica.

Non solo. È membro della Commissione di Inchiesta sulla P2. Dopo essere stato consulente del "Corriere della Sera" grazie a Tassan Din. Quel Tassan Din che il giorno 16 dicembre si reca al Senato a trovarlo, insieme al responsabile del settore stampa della DC, onorevole Antonio Mario Mazzarrino. E il giorno 17 dicembre, a Milano, l'avvocato di Tassan Din (ma che sbadato ...) smarrisce sulla poltrona del viceprefetto di Milano una delle bobine contenenti le registrazioni telefoniche di Gelli al direttore generale del "Corriere della Sera", registrazioni che Liberato Riccardelli, in anteprima, sempre grazie a Tassan Din, ha potuto ascoltare. Dal che, polverone. In questo caso PCI (Riccardelli) e DC (Mazzarrino) contro il PSI. Con collaborazione di Tassan Din.

L'unica cosa certa è che il senatore Liberato Riccardelli è sempre nel mezzo quando c'è da rendere qualche favore al PCI.

Ma non è finita. Una delle cambiali di 160 milioni, quella avallata dall'onorevole Ferri, all'epoca presidente dell'Ente regionale di valorizzazione del territorio, viene scontata, su richiesta del Ferri stesso, presso la Banca del Monte di Bologna e di Ravenna, dove non solo il PCI è di casa ma dove il direttore generale «amico» è il socialista Danilo Bellei, piduista di grido.

Ma la P2 è presente anche a Forlì dove il presidente di quel Tribunale, Antonio Buono, dimessosi da magistrato per la sua amicizia con Licio Gelli, collabora con Riccardelli, e le tre cambiali avallate dagli esponenti comunisti, spariscono dalle carte processuali.

È una vergogna. Una vergogna che "l’Unità" si guarda bene da raccontare.

 

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16 febbraio 1982

 

La vigliaccheria dei comunisti, in quel di Arezzo, diventa proverbiale.

Dopo avere pesantemente accusato, in Consiglio comunale, durante il dibattito sulla P2, l'avvocato Oreste Ghinelli, segretario provinciale del MSI-DN, per presunte colleganze con i terroristi che misero la bomba sull'Italicus, chiamati a rendere ragione delle loro accuse con ampia facoltà di prova, davanti alla magistratura, si sono visti condannare duramente (otto mesi di reclusione, cinque milioni di danni morali) per le infamie uscite dalle loro bocche.

Da qui la mobilitazione ricattatoria che servendosi della Camera e del Senato come casse di risonanza per i loro strilli, si è estesa fino ad indire in Arezzo una manifestazione pubblica contro la «sentenza vergognosa».

In un paese serio, queste intimidazioni ricattatorie sarebbero state fatte pagare. In Italia no. In Italia il magistrato che si azzarda a condannare il PCI, entra nel suo mirino e tutto viene adoperato, dalle Camere al Consiglio superiore della Magistratura, perché il «reo» (o i rei) paghi le conseguenze del proprio comportamento. Questo è il PCI.

L'episodio di Arezzo è, sia pure in formato ridotto, quello che l'Italia diventerebbe se il PCI fosse chiamato a governare. Tutti al suo servizio. Perché il PCI è tutto: è la verità, è perfino giudice. E guai se qualcuno contraddice. La galera -a suon di tamburi, di grida, di intimidazioni, di minacce, di ricatti- lì pronta, ad accogliere i dissenzienti.

Questo è il PCI. Non altro. La sua «diversità» è questa.

Si è scritto all'inizio: vigliaccheria del PCI. È presto dimostrata. È in corso la vicenda P2. Ebbene il PCI, nell'intento di alimentarla ai suoi fini, vigliaccamente, se la prende con falsi obiettivi, quelli che ritiene più esposti e i più indifesi. Ad Arezzo attacca (e ne rimane scornato) l'avvocato Oreste Ghinelli, ma si guarda bene, per vile opportunismo, di colpire i bersagli veri.

Infatti si dà tanto risalto (e clamore) quando l'avvocato massone Siniscalchi calca la mano sulle «trame nere» e P2; ma si tace quando lo stesso avvocato afferma che la loggia massonica "Adriano Lemmi" guidata dal venerabile Angelo Sambuco, segretario del Gran Maestro Salvini, si svuotò, in polemica con il Salvini stesso, per i suoi rapporti e legami con Licio Gelli. «L'unico a non dimettersi», ha detto Siniscalchi ai commissari, «fu l'onorevole Seppia».

E chi è Seppia se non il vice presidente del gruppo parlamentare del PSI alla Camera, aretino, membro della Commissione di inchiesta sulla P2?

Ora se dell'appartenenza alla massoneria dell'avvocato Ghinelli non c'è -né può esserci- nemmeno l'odore, per Seppia non ci sono dubbi. Per giunta si afferma: «Era amico di Gelli, tanto che non si dimise». C'è di più: Seppia abita ad Arezzo, centro di tutte le trame (così dicono) piduiste.

Ebbene: il PCI tace. Se la piglia con i missini. Non è cialtroneria questa?

Ma se la P2, come affermano i comunisti, è responsabile di tutto, comprese le stragi che hanno insanguinato l'Italia, che si aspetta a mettere in galera i ministri, i sottosegretari, i membri del Consiglio superiore della Magistratura, i generali, gli ammiragli, i finanzieri, i banchieri, i politici che a Gelli facevano corona? Perché prendersela con bersagli prefabbricati e che non c'entrano nulla?

E già che ci siamo, mettiamo «dentro» anche politici e amministratori del PCI che, dopo avere lungamente usufruito dell'appoggio corale del quotidiano, inquinato di piduismo "Corriere della Sera", hanno anche attinto fior di miliardi dalle casse dell'Ambrosiano del piduista Roberto Calvi e ciò per finanziare, attraverso il quotidiano "Paese Sera", il PCI. E di ciò hanno pagato, con il licenziamento, ben 44 giornalisti.

Perché il PCI -così sicuro di sé- non organizza, a tale proposito, in Arezzo un dibattito pubblico con la partecipazione del MSI-DN?

Infangare, per uccidere moralmente il proprio avversario, senza nemmeno dargli la possibilità di difendersi, è in uso fra le tribù antropofaghe.

Si fa, o no, questo dibattito, questo confronto? Di che cosa ha paura il PCI? Di essere sbugiardato?

Avanti, coraggio comunisti: fate vedere che non siete solo dei volgari e calunniosi delatori.

 

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27 febbraio 1983

 

L'istituto di diritto pubblico, l'Enciclopedia italiana Treccani, di cui "Rosso e Nero" si è ampiamente interessato (26.9.1981), continua nella sua allegra amministrazione, in barba ad una delle quattro emergenze di spadoliniana memoria, quella della moralizzazione della vita pubblica.

Infatti il direttore dell'Istituto, Vincenzo Cappelletti, dopo avere assunto presso l'ente, da lui diretto, la moglie Maurizia Alippi (Dizionario biografico degli italiani), è andato oltre.

Anche il fratello della moglie, nonché suo cognato, Adriano Alippi è stato sistemato presso l'Enciclopedia del Novecento.

Non ci siamo fermati qui. Anche Virginia Cappelletti, sorella del direttore generale, è venuta a far parte della grande famiglia dell'Enciclopedia Treccani. E «Virginia», con una serie di ben calibrati certificati medici, sarebbe riuscita, contemporaneamente, a percepire lo stipendio dalla Dante Alighieri, dove era inizialmente impiegala, e dall'Enciclopedia italiana dove non aveva ancora fatto un'ora di lavoro. Non solo. Grazie agli accorgimenti medici, usufruirebbe di una liquidazione e di una anzianità non dovute.

Non è finita. Rimaneva disoccupato Marco Castelluzzo, il fidanzato, nientemeno, della figlia del direttore generale.

Come era possibile lasciarlo a spasso?

E così, anche lui, è entrato alla Enciclopedia italiana, sezione Enciclopedia giuridica.

Il tutto si potrebbe titolare: Vincenzo Cappelletti, ovvero come ti amministro il denaro pubblico.

E la Magistratura? Vincenzo Cappelletti, già consigliere culturale della Presidenza del Consiglio dei ministri, è al di sopra di ogni sospetto?

L'aver collocato nell'Istituto, senza concorso, una delle figlie dell'onorevole Giulio Andreotti, lo rende intoccabile?

 

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Centoquaranta dipendenti delle Unità sanitarie locali della Regione Emilia Romagna hanno compiuto un viaggio in URSS per «una presa di contatto con le autorità sanitarie di quel paese».

Il viaggio è costato mezzo miliardo di lire.

Chi ha pagato? La Regione Emilia Romagna.

Ora la stessa Regione organizza un altro viaggio, sempre per i dipendenti delle USL. Questa volta si va nelle Filippine.

La salute degli emiliani è così assicurata.

 

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È morto Valdo Magnani, partigiano, già segretario provinciale del PCI di Reggio Emilia, parente strettissimo di Nilde Jotti.

Trenta anni fa, per aver affermato sul comunismo russo quello che oggi predica Berlinguer, venne espulso dal PCI. Come «un rinnegato senza princìpi»; come «un volgare e spregevole strumento delle forze reazionarie»; come «un denigratore dell'URSS, paese del socialismo, baluardo inflessibile della lotta per la pace, la libertà, l'indipendenza dei popoli».

Se, per caso, Magnani, trenta anni fa, fosse stato in Russia l'avrebbe aspettato il capestro.

E "l'Unità", così come fece per Slansky e tanti altri, avrebbe cantato la sua morte come giusta e doverosa.

Magnani ha avuto la ventura di vivere in Occidente e muore, riabilitato nel suo letto.

I comunisti non si vergognano della sua vicenda. Sono andati, in massa, ai suoi funerali scandendo che «aveva ragione», che «era un buon uomo», un ottimo compagno, un onorato combattente antifascista.

Anche questa è finzione. Come si può aver fiducia in un partito che, all'unisono, dice «si» a ciò che aveva detto «no» il giorno prima?

 

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Il PCI cambia segretario amministrativo. I bene informati dicono che il provvedimento è dovuto allo scandalo della società editrice "Rinnovamento" -che già vide, fra i suoi consiglieri di amministrazione, l'avvocato Calogero Cipolla di Palermo, fratello del senatore del PCI, poi apparso nelle società di Michele Sindona- e ai prestiti bancari che il quotidiano "Paese Sera" (organo della segretaria del PCI) ha ricevuto dal piduista Roberto Calvi dell'Ambrosiano.

Il nuovo segretario amministrativo del PCI, in sostituzione di Franco Antellí, sarà Renato Pollini, attuale assessore alle Finanze della Regione Toscana. Nato a Grosseto, Pollini, scrive "l'Unità", è un personaggio di spicco del comunismo toscano. Senz'altro. Nelle apologetiche, manca però un particolare di ... spicco.

Renato Pollini, prima di militare nel PCI, ha fatto parte della Repubblica Sociale Italiana. Quella, per intenderci, di Benito Mussolini.

 

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I giornalisti hanno chiesto a Donat Cattin che cosa sarebbe accaduto se i terroristi fossero riusciti a realizzare l'attacco contro la sede della DC che secondo quanto riferito dal ministero degli Interni sarebbe stato previsto nei piani sequestrati a Senzani.

«Fanfani si sarebbe salvato perché sarebbe passato sotto la linea del fuoco», ha risposto Donat Cattin.

Fanfani è alto 1,60 cm.

Indice 1982