Il gioiello romanico di Petrella

 

Le origini e le vicende architettoniche della chiesa di San Giorgio Martire a Petrella Tifernina, dichiarata monumento d’interesse nazionale nel 1901, non sono facilmente ricostruibili. I pochi documenti che si conoscono non offrono informazioni significative a tal proposito.

- La chiesa di San Giorgio Martire a Petrella Tifernina -

La piccola epigrafe collocata nella lunetta del portale principale riporta il nome di un certo maestro Epididio (o Epidio) e una data non ben leggibile, intesa da alcuni esperti come 1211. Tuttavia si ritiene che la costruzione dell’edificio e la realizzazione dei rilievi che lo ornano si debbano collocare almeno nel secolo precedente.

Il complesso si compone essenzialmente di tre parti: la cripta, la sagrestia e la chiesa. La struttura più antica (IX-X secolo) è la cripta che in origine era in parte interrata e in parte sopraelevata (se ne trovano diversi esempi nel nord della Puglia). Più recente è la sagrestia eretta sulla cripta sebbene le due piante non coincidano perfettamente.

La chiesa presenta una struttura d’insieme a forma di romboide, con tre navate absidate e un prospetto non ortogonale all’asse centrale dell’impianto; ciò fa ritenere che si dovette tener conto di preesistenti edifici civili e, in generale, della situazione urbanistica.

La facciata è a salienti interrotti con uno pseudoprotiro centrale sormontato da una grande finestra; il portale risulta preceduto da una scalinata di forma quadrangolare mentre il paramento murario mostra blocchi di pietra locale, sistemati a filari asimmetrici.

La decifrabilità del codice delle numerose decorazioni presenti sia all’esterno che all’interno - sicuramente scontata per gli eruditi medioevali - ha richiesto agli studiosi un grosso lavoro interpretativo e non sempre è possibile oggi trarre conclusioni certe e condivise da tutti. Proviamo ad esaminarle.

- San Giorgio Martire, particolare della facciata -

La cornice superiore della fronte principale, che segue la linea del tetto, è costituita da 18 conci con archetti; all'interno di ognuno compaiono protomi umane, teste di ariete, elementi sferici (simboli di corpi celesti), animali e motivi floreali. Più in basso la finestra, posizionata al posto del rosone, presenta l'archivolto decorato con un tralcio sinuoso che circonda foglie e fiori. Nello stipite di sinistra si intravedono due uccelli, una girandola, altri fiori. Nello stipite di destra un gambo vegetale si intreccia formando tre cuori dentro cui sono collocati fiori, foglie e un grifone (metà aquila e metà leone rappresenta la doppia natura, umana e divina, di Gesù Cristo); alla base della lesena di destra è scolpita una testa umana mostruosa inquadrata tra due animali contrapposti, visti di profilo (si allude all'uomo che cerca di resistere alle tentazioni del peccato, traslate nelle bestie).

Nel complesso le variegate figure della parte superiore della facciata possono essere intese come una sintesi di tutte le forme viventi - umane, animali e vegetali - in attesa del giudizio divino.

Nella parte inferiore emerge il timpano dello pseudoprotiro; tutto lo spazio tra la lunetta e la cornice a doppio spiovente è occupato da una serie di archivolti decorati. Quello più esterno che grava sulle paraste laterali è composto da sei conci curvilinei: nel primo compaiono un uomo inghiottito da un mostro e un guerriero, nel secondo un fiore ad otto petali, nel terzo due pavoni che si abbeverano al calice eucaristico (simbolo della vita eterna, della resurrezione), nel quarto due leonesse contrapposte (allegoria della forza della fede), nel quinto un altro fiore ad otto petali e un grappolo d'uva, ed infine, nel sesto un tralcio sinuoso con foglie e grappoli d'uva (altro simbolo della resurrezione). Il secondo archivolto contiene solo una serie di piccole foglie stilizzate. Il terzo è caratterizzato da modanature con sporgenze e rientranze. Infine il quarto archivolto è intagliato con nastri labirintici (figurazione del mistero e dell’ignoto) che formano un doppio disegno: cerchi a cui si sovrappongono rombi; tali nastri partono dalle bocche di quattro mostri, disposti all'inizio del decoro, due a destra e due a sinistra.

- San Giorgio Martire, lunetta del portale principale -

La lunetta, l’elemento senza dubbio più interessante, ritrae la vicenda di Giona, rappresentato mentre viene ingoiato e poi rigettato da un animale che ha zampe anteriori molto lunghe, parte posteriore a coda di pesce annodata, e cinghie passanti sul dorso. Si tratta, evidentemente, di una pistrice, un mostro marino derivato dalla mitologia greca e romana, che qui simboleggia la paura verso l’ignoto. In basso, sotto le zampe del mostro, vi è un grosso serpente (emblema del demonio), in posizione capovolta, con coda a spirale e testa protesa verso l'alto, che si contrappone ad un agnello crocifero (Agnus Dei, emblema di Cristo risorto). Sul fondo si vedono delle lettere incise: in alcune è leggibile il nome Ioaii (Giona), di altre non è possibile alcuna sicura decifrazione.

Nella Bibbia il profeta Giona (Libro di Giona 1-2), ricevuto da Dio l’incarico di convertire i pagani nella ostile città di Ninive, spaventato, decide di fuggire e s’imbarca a Giaffa su una nave in direzione della lontana Tarsis. Allora Dio, per punirlo, scatena una tempesta e quando Giona confessa all’equipaggio di essere la causa di tale sventura viene buttato in acqua. Inghiottito da un grosso pesce, egli si pente e prega il Signore; tre giorni più tardi, viene rigettato, illeso, su una spiaggia.

Secondo il Vangelo di San Matteo (12,40) in questa storia vi è una prefigurazione della morte e della resurrezione di Gesù: «Come Giona stette tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’Uomo starà tre giorni e tre notti nel cuore della terra».

- Giotto, Giona inghiottito dalla balena, 1304, Padova, Cappella degli Scrovegni -

L’immagine, proprio per il suo simbolismo, compare nell’antica arte funeraria, specialmente sui sarcofagi e nelle catacombe romane, e poi in alcuni mosaici pavimentali (inizio IV secolo) del complesso basilicale di Santa Maria Assunta - aula del vescovo San Teodoro - di Aquileia, in provincia di Udine; anche Giotto, nella Cappella degli Scrovegni a Padova (1304), dipinge Giona inghiottito dalla balena (il grosso pesce è stato interpretato dagli artisti in diverso modo come una pistrice, un ippocampo, un delfino o appunto una balena). Nell’Ottocento ispira, tra gli altri, il romanziere statunitense Herman Melville per il suo Moby Dick, o la Balena Bianca (1851), il pittore francese James Tissot e persino il narratore Carlo Collodi per la favola di Pinocchio (il «pesce-cane» che ingoia Geppetto e il burattino).

Sul fianco destro della chiesa si apre un secondo portale: l’architrave è decorato con girali mentre la lunetta presenta un altro Agnello crocifero (Agnus Dei) circondato da due lepri, tre pesci e un pavone. La rappresentazione simbolica, piuttosto complessa, potrebbe essere interpretata come una sintesi della storia del cristianesimo con la figura di Cristo (agnello) che si immola sulla croce ma risorge (pavone) e, attraverso gli apostoli (pesci), fa giungere le sue parole agli uomini fragili e paurosi (lepri).

Sul fianco sinistro si trova una porta - che consente l’accesso ad un cortile interno da cui si raggiunge la torre campanaria - con architrave ed archivolto decorati a girali e con una lunetta affollata di animali non facilmente identificabili (metafore, comunque, del bene e del male che si contrappongono). Accanto, sulla destra, compare una piccola lastra in cui è raffigurato San Giorgio a cavallo che uccide il drago.

Anche le monofore che si trovano su entrambi i fianchi presentano cornici scolpite che ripropongono, in linea di massima, gli stessi soggetti già visti negli altri elementi.

- San Giorgio Martire, interno con il fonte battesimale in primo piano -

Lo spazio interno viene suddiviso da pesanti pilastri cruciformi sui cui capitelli multipli (uno diverso dall’altro) sono concentrate le decorazioni; oltre ai soliti motivi vegetali emergono figure comuni e meno comuni nella plastica medievale: aquile, fiere, cervi, tori, maschere demoniache, sirene bicaudate (allusione alla doppia valenza della vita, alla possibilità di scegliere tra il bene e il male).

La rappresentazione iconografica di più difficile interpretazione si trova sul capitello del quinto sostegno della navata destra: due uomini nudi visti di spalle, con la testa in una posizione innaturale - girata all’indietro di 180° - si aggrappano a delle piccole volute angolari; essi hanno il volto segnato da profonde incisioni ed anelli ai polsi e alle caviglie mentre dei cinturoni, con una grossa borchia circolare, proteggono loro le reni; la testa di un toro occupa il rimanente spazio centrale.

- San Giorgio Martire, particolare di un capitello (uomo con il cinturone) -

Alcuni studiosi riconoscono nell'uomo con il cinturone, in generale, una allegoria della potenza divina incarnata in una persona per fondare o sostenere la Chiesa; quindi le misteriose figure di Petrella Tifernina potrebbero essere due anziani (le incisioni sul volto simulerebbero le rughe) che, caricati di forza divina, innalzano l’ultima colonna dell’edificio. Altri, invece, interpretano i personaggi come funamboli che sfidano la morte (emblematizzata dal bucranio, ovvero dal toro) e trionfano su di essa.

Una ulteriore figura antropomorfa particolarmente curiosa è collocata sotto la quinta colonna dell’arco trasversale della navata sinistra; sono visibili unicamente il volto, dall'espressione atterrita, e le braccia che, sollevate verso l'alto, si aggrappano al basamento della struttura che la schiaccia. Forse rappresenta il peccatore oberato dal peso delle sue colpe oppure, di nuovo, un uomo che, forte del potere divino, sorregge con le sole braccia la struttura della chiesa.

Rimane da segnalare, infine, il fonte battesimale emisferico, ricavato da un unico blocco di pietra (apertura interna di circa un metro di diametro), decorato con ricercati girali vegetali distribuiti su due registri.

Petrella Tifernina, un piccolo paese (1305 abitanti) del Molise, ai più sconosciuto, possiede uno straordinario gioiello architettonico che, dopo circa nove secoli, è giunto ai nostri giorni pressoché integro (lavori di restauro effettuati negli anni ’50 del Novecento hanno liberato la chiesa dalle innumerevoli aggiunte ed alterazioni apportate, seguendo modelli barocchi, nel Settecento e nell’Ottocento), preziosa testimonianza - con le storie, le allegorie ed i simboli scolpiti sugli apparati decorativi - della complessa cultura medioevale.

Se i beni culturali ricevessero lo stesso trattamento della produzione industriale: investimenti, strategie, contributi, attenzione mediatica, incentivi, questo paese sarebbe meno piccolo e sicuramente meno sconosciuto.

                                                                                                                                                                                           Alessandro Cimmino


Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. Disegni, elaborazioni grafiche e foto, ove non specificato, sono dell'autore.

Articolo pubblicato sul mensile "Il Ponte", a. XXII, n. 4, aprile 2010, pp. 40-42.