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sabato 18 luglio 2009

FRANCESCA DA RIMINI E PIA DEI TOLOMEI ACCOMUNATE DALL'INTERDETTO

“Siede la terra dove nata fui
su la marina dove il Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.
Amor,ch’al cor gentile ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense”.[…]
[…] “Nessun maggior dolore
Che ricordarsi del tempo felice
Ne la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore.
Ma s’a conoscer la prima radice
Del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse
Quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
Esser basciato da cotanto amante,
questi,che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante”.
(V canto dell’ Inferno)

Francesca è protagonista dei vv. 97-138 dell’Inferno.
Poche sono le notizie pervenute su di lei.
Sappiamo che era nata intorno alla metà del XIII secolo, che era figlia di Guido da Polenta, che andò in sposa a Gianciotto, signore di Rimini. Il matrimonio aveva un significato politico perché sanciva la pace tra due famiglie che erano state a lungo avversarie.
Francesca, secondo quanto riferisce, sarebbe stata ingannata all’atto del matrimonio, avrebbe cioè creduto di sposare Paolo, che invece in quell’occasione rappresentava per
procura il fratello.
Le parole di Francesca riflettono fin dall’inizio l’eleganza di una società aristocratica.
La narrazione della vicenda è scandita su tre fatti essenziali: il
luogo di nascita, la passione per Paolo e la morte atroce. È come se la vita
intera del personaggio trovasse il proprio senso compiuto tra i due estremi della nascita e della morte, nell’esperienza amorosa.

Passiamo ora alla seconda cantica: canto V Purgatorio versi 130-136, i morti violentemente.

[…]"Ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che 'nnanellata pria
disposando m'avea con la sua gemma". »
(V canto del Purgatorio)

Pia de’ Tolomei è una nobile senese andata sposa a un signorotto
guelfo del castello maremmano della Pietra, Nello dei Pannocchieschi che
l’avrebbe fatta uccidere defenestrandola per gelosia o per risposarsi
forse con Margherita degli Aldobrandeschi. Secondo la ricostruzione più
recente Nello sarebbe partito per la guerra e durante la sua assenza
quello che lui credeva il suo migliore amico, Ghino, corteggiò Pia senza
ottenerne i favori. Meschino e vendicativo, Ghino andò a riferire a Nello
che Pia lo tradiva. Distrutto dalla gelosia, Nello credette all’amico e
richiuse Pia in un castello in Maremma dove la donna si sarebbe ammalata
di malaria.
La donna riassume in una terzina la sua tragica sorte: i luoghi della vita e della morte

Il punto che accomuna Francesca a Pia è il fatto che :
  • A Francesca non è stata data l’opportunità di giustificare l’atto che fece perdere la vita a lei e a Paolo;
  • A Pia non è stata data una spiegazione plausibile, è stata uccisa con crudeltà dal marito.

Ci si chiede se queste cose non siano state dette per mancanza di volontà o perché non si è avuta l’occasione?

Una risposta ci è data dal filosofo francese Michel Foucault ne << L’ordine del discorso>> (testo della lezione inaugurale al Collège de France letta il 2 dicembre 1970) che vuole capire quali sono sugli altri gli effetti dei discorsi pronunciati. E si interroga sulle inquietudini delle parole pronunciate e scritte di un discorso eseguito in quel momento.
Introduce anche le procedure d’esclusione composta da tre grandi sistemi:l’interdetto, la partizione e la volontà di verità.

La più evidente è quella dell’interdetto.
Secondo la procedura dell’interdetto non si ha il diritto di dir tutto, non si può parlare di tutto in qualsiasi circostanza, che chiunque non può parlare di qualunque cosa. Il dire è un diritto privilegiato o esclusivo del soggetto che parla.

Esiste un altro principio d’esclusione: una partizione ed un rigetto.
Nel Medievo la parola del folle era valutata come nulla perché la follia era riconosciuta proprio attraverso le sue parole. Ma un medico si interessò delle parole del folle e soprattutto del modo in cui era detto e il motivo per cui era detto e da qui in poi il folle non deve più trattenersi, ma viene ascoltato.
Si ha l’ascolto di un discorso che è investito dal desiderio di essere pronunciato,carico di angoscia e di “terribili poteri”.

Dante è affascinato dal discorso di Francesca in quanto si rende conto che viene pronunciato per la prima volta e che è l’unico modo che ha Francesca per riscattarsi dell’assassinio che “ ‘l modo ancor m’offende”
Francesca da Rimini è stata privata del diritto di dir tutto. Francesca non è riuscita a salvarsi e maledice il suo assassino. Parlando trova la possibilità di riscattarsi e di far conoscere la sua vera storia alle generazioni anche se, ormai, non ha nient’altro da sperare, se non pregare affinché colui che le tolse la vita finisca nella Caina.

Pia dei Tolomei in una terzina racconta tutta la sua storia. Lei, a differenza di Francesca, è stata privata del diritto di sapere. Lei non sa quale è stato il vero motivo della sua morte.

Se avessero avuto una il diritto di parola e all’altra sarebbe stata data una spiegazione fattibile cosa sarebbe successo? Sarebbero finite tragicamente le due storie?

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