domenica 24 maggio 2009

Eugenio Montale, Discorso all'Accademia di Svezia per il conferimento del premio Nobel per la Letteratura 1975

[... ] "Evidentemente le arti, tutte le arti visuali, stanno democraticizzandosi nel senso peggiore della parola. L'arte è produzione di oggetti di consumo, da usarsi e da buttarsi via in attesa di un nuovo mondo nel quale l'uomo sia riuscito a liberarsi di tutto, anche della propria coscienza. L'esempio che ho portato potrebbe estendersi alla musica esclusivamente rumoristica e indifferenziata che si ascolta nei luoghi dove milioni di giovani si radunano per esorcizzare l'orrore della loro solitudine. Ma perché oggi più che mai l'uomo civilizzato è giunto ad avere orrore di se stesso? Ovviamente prevedo le obiezioni. Non bisogna confondere le malattie sociali, che forse sono sempre esistite ma erano poco note perché gli antichi mezzi di comunicazione non permettevano di conoscere e diagnosticare la malattia. Ma fa impressione il fatto che una sorta di generale millenarismo si accompagni a un sempre più diffuso comfort, il fatto che il benessere (là dove esiste, cioè in limitati spazi della terra) abbia i lividi connotati della disperazione.Sotto lo sfondo così cupo dell'attuale civiltà del benessere anche le arti tendono a confondersi, a smarrire la loro identità. Le comunicazioni di massa, la radio e soprattutto la televisione, hanno tentato non senza successo di annientare ogni possibilità di solitudine e di riflessione. Il tempo si fa più veloce, opere di pochi anni fa sembrano «datate» e il bisogno che l'artista ha di farsi ascoltare prima o poi diventa bisogno spasmodico dell'attuale, dell'immediato. Di qui l'arte nuova del nostro tempo che è lo spettacolo, un'esibizione non necessariamente teatrale a cui concorrono i rudimenti di ogni arte e che opera una sorta di massaggio psichico sullo spettatore o ascoltatore o lettore che sia. Il deus ex machina di questo nuovo coacervo è il regista. Il suo scopo non è solo quello di coordinare gli allestimenti scenici, ma di fornire intenzioni a opere che non ne hanno o ne hanno avute altre. C'è una grande sterilità in tutto questo, un'immensa sfiducia nella vita. In tale paesaggio di esibizionismo isterico quale può essere il posto della più discreta delle arti, la poesia? La poesia cosiddetta lirica è frutto di solitudine e di accumulazione. Lo è ancora oggi ma in casi piuttosto limitati. Abbiamo però casi più numerosi in cui il sedicente poeta si mette al passo coi nuovi tempi. La poesia si fa allora acustica e visiva. Le parole schizzano in tutte le direzioni come l'esplosione di una granata, non esiste un vero significato, ma un terremoto verbale con molti epicentri. La decifrazione non è necessaria, in molti casi può soccorrere l'aiuto dello psicanalista. Prevalendo l'aspetto visivo la poesia è anche traducibile e questo è un fatto nuovo nella storia dell'estetica. Ciò non vuol dire che i nuovi poeti siano schizoidi. Alcuni possono scrivere prose classicamente tradizionali e pseudoversi privi di ogni senso. C'è anche una poesia scritta per essere urlata in una piazza davanti a una folla entusiasta. Ciò avviene soprattutto nei paesi dove vigono regimi autoritari. E simili atleti del vocalismo poetico non sempre sono sprovveduti di talento. " [...] (estratto dal discorso di Eugenio Montale all’Accademia di Svezia per il conferimento del premio Nobel per la Letteratura 1975)

1 commento:

  1. ...E simili atleti del vocalismo poetico non sempre sono sprovveduti di talento. :-)

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