sabato 21 marzo 2009

DIALOGHI FRA I MASSIMI (D'ALEMI) SISTEMI - parte seconda




Introduzione [della fine] tra lacrime



REVISIONISMO ROSSO

In questa era di perdizione e poca nulla verità abbiamo pure dimenticato le predizioni.
Ne sapevamo quasi nulla dei profeti, allora. Figurati cosa ne possiamo conoscere adesso.
Se ce ne sono di nuovi se ne stanno ben nascosti. Lontani dal pericolo di noi umani. E, comunque,
dalla cultura devastata che rappresentiamo.
Occidente accidentato, sembra non avere più speranza questa cosa italiana.
Non è Paese, tanto meno Stato. E' territorio più facile da descrivere con negazioni.
Di positivo c’è praticamente nulla.
Italia non libera,
non accogliente,
non ridente,
non coraggiosa,
non convivente democratica,
non pacifica,
non lungimirante,
non famiglia,
non bella figura europea,
non simpatica internazionalmente,
non scioperante,
non amante dei suoi studenti,
non tutelante,
non sincera,
ladra, truffaldina, vigliacca, disonesta, mascherata,
lassa, totalitaria, razzista...
Ma questo è quasi un discorso da poeti. E i poeti più o meno riconosciuti non solo hanno le parole mute ai più. Adesso li riducono con vitalizio presidenziale. Alla fame. Preferiscono lasciarli vivi, ma che siano sopravviventi ai sopravvissuti dei quali scrivono. Coi morsi della fame e gli zuccheri bassi.
Così stanno calmi, i poeti e, per riflesso, i garanti del sonno nazionale.
Nella vigilia di questa altra primavera, nella quale siamo ancora vivi [ma lo siamo?], per l'appunto, i poeti li lasciano dimenticati; così possono scrivere e pubblicare quello che vogliono, all'incirca, ma sotto tono, a volume ridotto, se hanno la bronchite e faringite da freddo è meglio. Così i garanti di questo ordine nuovo ci fanno pure una bella figura culturale e di apertura mentale.
Ora li mandano pure al Maurizio Costanzo Show o da Bonolis “i poeti è vero ci fanno paura perché accarezzano troppo le gobbe amano l’odore delle armi odiano la fine della giornata perché i poeti aprono sempre la loro finestra anche se noi diciamo che è una finestra sbagliata” (Claudio Lolli, Ho visto anche degli zingari felici, parte 1^)
Ma i poeti, nelle altre primavere, quelle del sangue, li ammazzavano ancor prima di assassinarli. Gliela rendevano dura la parola da far riconoscere. Un processo dietro l’altro, linciaggio pubblico e privato, censura e tagli, diffamazione, scomunica, sequestro delle opere… non solo dai mastini del potere. Anche dai “compagni”. [ Cronologia degli “eventi” giudiziari ] E quel poeta ricordato come Pasolini lo ritrovarono all’Idroscalo di Ostia, sfigurato dall’auto che gli era passata sopra per aprirgli viso e torace dopo le sprangate. Beh ma in fin dei conti era un frocio, non se l’era cercata?
Fu trucidato senza poter finire del tutto “Salò e le 120 giornate di Sodoma”, che strane le coincidenze nelle vite dei profeti. In quella sceneggiatura si trattava di nuovo fascismo, di gioventù ridotta a merce e carne per i Signori neri, si vedevano tavole finemente apparecchiate con Ginori presentare pietanze di merda [letteralmente] e i commensali la dovevano mangiare controllati dalla milizia, l’avevano anche mangiata prima, ma, quella, era dei soldati padroni Sado che si eccitavano nel vedere l’atto. Ridotti come cani, portati al guinzaglio, nudi, a camminare a “quattro zampe” verso ciotole colme di boli di polenta ripieni di spilli: deglutite ora e silenzio! Con i mitra spianati in un crescendo di orrore che conduce alla tortura finale in pubblica piazza dei giovani sequestrati. Giovani come Giorgiana Masi uccisa nella piazza Navona di Cossiga.
Il film usci appena dopo 20 giorni dal suo assassinio. I guardiani della “stabilità” lo sequestrarono poco e ne ordinarono il rogo.
L’abbiamo veramente persa la memoria?
Le copie della pellicola che oggi circolano esistono perché la Legge prevedeva che ogni opera cinematografica fosse depositata nell’archivio centrale dei grandi fratelli di allora.
Una volta “estinto” Pasolini, ci misero anni a “riabilitarlo”; perché era maledetto lui e quelli altri che lavoravano con lui e rimasti soli non se lo scordarono. Lottarono per lui che non poteva più osare. E che lotta dura. Dura ancora.
Tanto che “Salò” è presente anche nel web ma non nella sua originalità. Alcune sequenze restavano e restano “invisibili”.
Se poi il poeta morto soffriva pure di vaticinio vero, allora la storia diventa più politicamente contorta.
Che possono dire oggi i mastini del potere, gli stessi di ieri, di fronte alla profezia della recessione?
E lo capiranno che non siamo di fronte all’esercito di clandestini che ci ruba il lavoro stupra le nostre figlie, ci porta la guerra e le malattie ma a movimenti di popoli che ci presentano il conto della colonizzazione passata?
L’avevano capito, letto, visto, lo sapevano di quella predizione?
Adesso se lo scoprono s’incazzano e lo vorranno morto di nuovo.
L’hanno già ammazzato.
In quella primavera.
Imbiancano e sbiancano. Buttano calce sui loro container pieni di distrazioni concentrate e ci soffiano fumo negli occhi, convinti, questi politicanti, di essere ancora detentori di qualcosa. Capacità di comunione?
Voglia di companatico?
Non credeteci.
Un antico adagio del sud Italia recita: “l’asino che mangia la pianta di fico, smette di farlo solo quando muore.”
Questi asini fanno quello che facevano.
Non possono manco essere lupi.
Perché se il lupo perde il pelo e non il vizio, loro hanno vizio [sempre quello], il pelo perso tutto, strada facendo.
Ma di chi sta parlando questo che scrive adesso?
Non si capisce: se la prende con i governanti o con la sinistra di centro? Con i “nuovi” democristiani abbronzati o con i compagni degli alberi del bosco, dei fiori semplici e composti? Con i non più fascisti che adesso vestono cravatte e oggi si sciolgono a Roma per diluirsi nella libertà di quella casa o con i rossi rosa lilla arcobaleno girotondiamo insieme?
La poesia annota solamente.
Poi prende quei moderni post-it e prova a lanciarli. Se arrivano a terra e qualcuno raccoglie allora è poesia spiegata.
Altrimenti è spietata e basta.
Che vi vada bene o meno è solo così.
Non abbiamo più tempo da perdere. “Attenzione a non svegliarci una mattina con qualche cosa da salvare, nei fori ancora aperti di un’idea”. [Claudio Lolli, Attenzione, da Disoccupate le Strade dai Sogni – tutt’oggi censurata]
E quelli dibattevano… Riabilitavano solo sulla carta, pubblicavano i simposi. Che bello! I compagni si rifacevano la faccia a colpi di revisionismo rosso. Peccato che quello che reintegravano poi non lo applicavano.
Era una azione di facciata.
Come quando nel ’78 “la Città Futura” [organo della FGCI] pubblicò con gran fragore culturale i seminari organizzati da loro insieme a Vattimo, ed altri filosofi partitici del tempo e, finalmente, ci dissero che si erano sbagliati a sinistra: Nietzsche non era un nazista, neppure aveva ispirato Hitler nella teoria del Superuomo… Mica aspettavamo che ce lo dicessero loro!
Ma ce lo dissero, anzi lo scrissero.
Si guardarono bene però di parlare del pangermanesimo kantiano o dei nazionalismi hegeliani.
Riabilitato Nietzsche, coscienza “culturale” a posto, fine del restyling, ma proprio fine.
Non è che presero quelle idee, riposizionate, e le confrontarono con le loro.
Nessun “dubito, ergo sum.”
Non cambiò assolutamente nulla.
Che religiosi maoisti!
Il Geymonat, manuale per gli Istituti Superiori, restò tale, invariatissimo. Nietzsche relegato sempre in pagine disimportanti, continuamente non necessario per l’esame di maturità.
E pesa ancora come un mattone zavorrato malamente “la distruzione della ragione” in 2 tomi di G. Lukacs. Su questo sì che si danno gli esami obbligatori nelle facoltà del pensiero che altri ti pensano, hanno pensato e penseranno per te [ma penseranno?].
Che marxisti vaticani!
A scorrere la memoria, che al poeta non è persa del tutto [il poeta=non chi scrive] lo stesso accadde con Carmelo Bene.
Dapprima considerato fascista, violento, matto, provocatore fine a se stesso, borghese [?], improponibile, fuori da questa cultura [la loro?]. Tanto che le sue “lezioni” le doveva tenere all’estero. E di nuovo: censura, denunce, cancellazioni… poco spazio alla diffusione dell’Idea Altra, al progresso; perché il dubbio e Dio ragionati per teologia vera, dove [in teologia] si danno solo domande, e non risposte:
“la stampa informa i fatti non sui fatti e la stampa mente come sempre, un panino glielo vogliamo dare al mese almeno? Sono anni che prendo a calci in culo me stesso, e così mi sono fatto fuori, sono io mia moglie! Mia moglie in clausura. Io sono per il grande Teatro in quanto non comprensibile. La vita si comprende? No! Occupiamoci della vita: basta con il sociale! Lei non può parlare con me perché io non esisto. E’ ora di cominciare a capire, a prendere confidenza con le parole, non dico con la Parola… e invece il linguaggio vi fotte, vi trafora, vi trapassa, non ve ne accorgete… voi siete dannati, ma io non vi sfido, non vi vedo!” [Carmelo Bene, uno]
“non parlo a chi mi rompe i coglioni con l’essere e con l’esserci, non voglio parlare con l’ontologia, abbasso l’ontologia, me ne strafotto; andate a parlare con Heidegger, non con me, andate a farmi un tè; io sono la mia Signora: Io sono parlato, non parlo. Io ho disappreso nei secoli, non vi auguro di disapprendere tanto! Non mi interessano i cattolici cristiani, del demonio me ne fotto. La democrazia garantisce la invivibilità della vita. Non risolve la vita. Chi sceglie la democrazia, la libertà, sceglie il deserto. La democrazia non è niente, è mera demagogia. Non si sfugge mai dalla catena di montaggio. Nella rivoluzione, nell’amore la macchina si fa sentire, ossessiva anche nell’entusiasmo. Mi sento molto vicino all’immateriale, all’inorganico. La felicità è nel differire la vita non nell’averla. Il mio contro linguaggio è barbarico, ma non sono barbaro, sono un capolavoro. L’arte deve essere incomunicabile Non posso dare appuntamenti con l’ovvio, il reale, il logico, il razionale. Non so se rendo la non idea. Il discorso non appartiene all’essere parlante: io che sto parlando per questo non sono io.” [Carmelo Bene, due]
“Il non capire non è una prerogativa degli scemi, non è il privilegio dell’idiota, è l’abbandono, essere nell’abbandono che significa smarrirsi, non essere più in casa, maledette le case, le famiglie, le mogli, i padri, i figli, lo Stato, l’anima. Facciamola finita con questa fine. Siamo sempre nel senso di colpa. Siamo sempre nella parola. Questa non è prosa. Non è neppure, grazie a Dio, quella merda detta poesia. Bisogna fare di sé stessi dei capolavori. Io ho trovato in me da molti millenni il deserto e quindi è un deserto che parla ad un altro deserto. E non più al deserto dell’Altro. Nietzsche si è meritato di impazzire, se lo è meritato, qui invece di pazzi ne abbiamo fin troppi che non se lo sono sudato, non se lo sono guadagnato e sono squallidi, mediocri, come i nostri governanti, i vostri governanti. Ma chi l’ha votato questo Stato, chi lo ha eletto? Io sono la mia S’ignora, sono s’ignorante, sono un s’ignore. Non ho quotidiano. Basta con gli scandali, basta con Gesù, non era generoso Gesù, non spendeva, non ha dilapidato quello che io ho dilapidato, aveva suo Padre, è questo il peggio! Io sono orfano. Sono venuto qui per disgustarmi, voglio vomitare! Siete cessi, cessi diceva Totò, io mi vomito sempre addosso, ve lo sto dicendo, le parole sono in libertà, qualunque tuttologia è cazzata, e qualunque problema è un falso problema, questa sera stiamo dicendo che non stasera si parla di cazzate, ma che sempre si parla soltanto di parole, cioè di cazzate.” [Carmelo Bene, tre]
Insomma: un altro Bernard Henri-Levi.
Ah, compagni, se sapeste essere anche voi un poco S’ignore di voi stessi, provare a sorridere e s’ignorarvi anche solo per un po’, dubitarvi del vostro punto d’appoggio, levarvi le ancore dal culo e salpare verso l’ignoto, ancora per voi ignoto, e smetterla con la parola cominciando a frequentare finalmente dei fatti; prendere il coraggio, anche da soli, d’essere diversi, non più con la paura di perdere la stima del Principe. Fottendosene. Della stima. Del valore.
Per una volta veramente disistimati.
Ma in mezzo a noi, persi, irriconoscibili, senza essere.
Negandovi di voi stessi e per voi stessi.
Senza poi venire a ridire con la parola, che è sconveniente sempre di più, marcia addirittura se stampata, che Carmelo Bene lo avere riabilitato.
Ma era morto finanche da vivo, e ve lo diceva, se ne fotteva anche di voi.
Che leninisti legolandiani!
La vostra parola non ci serve. Neppure la nostra serve.
Non serve la parola.
E noi/voi non serviamo. Siamo servi e basta. Agire, riconoscere i Segni, farli propri, attuarli.
A che serve oggi, a voi/noi, servi dei servi, riconoscere l’entrata di Ilona Staller in Parlamento come prosecuzione di una battaglia europea, solitaria, per il cambio di costume e della morale comune senso del pudore?
Riconoscere perché si conosceva/conosce cosa?
Che cosa dovete conoscere di nuovo se non conoscevate?
La Staller votata a sorpresa quasi più di Marco Pannella, seconda eletta, nelle liste del partito radicale. Quindi più votata di Pannella sicuramente, per il risultato non per i voti.
E voi che avete fatto?
Ci avete mandato Rutelli allora, che pontificando in sermone, avvertiva gli italiani sui presunti comportamenti che avrebbe o meno assunto l’onorevole Cicciolina dagli scranni dei morti viventi in Parlamento.
Ma che compagni di cosa?
Lei, la Staller, in Parlamento c’è stata, smentendovi [una pornostar che riesce a sbugiardare i cremlini è rivoluzionaria arte pura],
Riabilitata anche lei, ora passa sulle poltrone di Chiambretti Night e ha ancora delle cose da dire.
Vi sfuggono di mano le situazioni che voi stessi avete desiderato.
E come tutti i desideri non ve li siete saputi godere, prerogativa di ogni desiderio e di ogni compagno compassato, cioè di tutti i compagni.
Neppure avete capito l’altro pornostar eletto, quel Toni Negri, che una volta in immunità garantita, scappa e non si fa più vedere.
Vi arrabbiaste pure.
Si arrabbiarono tutti.
Voi che eravate contro gli ergastoli, le pene di morte, le patrie galere, i giudici neri, l’assenza di contraddittorio e guerrigliavate per la verità…
Lui, Toni Negri non lo avere revisionato.
Adesso però usate sdoganamento al posto di riabilitazione, perché forse avete capito che…
E non ce la facciamo veramente più.
Così in questo 21 marzo 2009, nell’inizio e non nel mezzo di questa nostra primavera senza colori, abbattuti, sconfortati, di nuovo manganellati nelle università dalle polizie dei nani più nani, sempre più dimenticati: decretiamo il vostro stato di insolvenza cronica e vi dichiariamo falliti come azienda.
Senza appello.
E preghiamo in silenzio, nei nostri deserti che non comunicano con l’altro ma solo con altri deserti preganti, chiedendo la Grazia di un nuovo e vero maggio francese.
Che vi spazzi via con gioia e letizia.


Area Urbana

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