Skip to main content
Frasi BelleL'aforisma in Italia

L’aforisma narrativo nel romanzo di Pontiggia La grande sera

Annunci

Dino Basili scrive ironicamente nei Violini di Chagall, “A volte il romanzo è costituito da quattro arcate più o meno ardite, che collegano cinque aforismi”.

Si potrebbe però aggiungere che esistono dei romanzi che, nelle loro arcate vertiginose, collegano tra di loro centinaia e centinaia di aforismi. Uno di questi è il romanzo La grande sera di Pontiggia.

Uno dei più bei romanzi della letteratura italiana (Premio Strega 1989), che analizza il tema della nevrosi all’interno della società moderna e della relativa fuga, può così trasformarsi in una delle più straordinarie e inesplorate raccolte di aforismi, ricca come è di paradossi, sentenze e definizioni (non è lo stesso Pontiggia che nell’introduzione al suo romanzo ci fornisce un indizio a tal riguardo parlando di “aforisticità insistita“?)

Ho contato oltre 500 aforismi presenti nel romanzo La grande Sera in uno stile che unisce in modo sapiente la precisione della definizione con il paradosso, la battuta e la boutade con la riflessione filosofica. A mio parere a proposito di La grande sera si può parlare di “aforisma narrativo” o di “narrazione aforistica”, un modello di scrittura in cui i detti e citazioni del personaggio o dell’io narrante sono un vero e proprio filo conduttore all’interno della trama del romanzo.

A titolo di esempio citerò in questo articolo solo gli aforismi dei primi tre capitoli di La grande sera. Lascio al lettore la possibilità di leggersi gli altri capitoli del romanzo. L’uso dell’aforisma all’interno della narrazione si ritrova anche in molti altri romanzi di Pontiggia, a partire dal primo “La morte in banca“, Il raggio d’ombra, Il giocatore invisibile,  Nati due volte, L’arte della fuga seppure non in modo così insistito come in La grande sera:

Le citazioni sono tratte dall’edizione Oscar Mondadori, 2001, con postfazione di Daniela Marcheschi. La numerazione delle pagine è mia:

**

Giuseppe Pontiggia, La Grande sera, 1989 e poi edizione riveduta 1995, 2001  (capitoli 1, 2, 3, 4: “Appuntamenti”, “Domani ordine”, “Una serata di poesia erotica”, “Bellissimo, ma”)

Il problema non è sedurre una donna, ma lasciarla. P. 10

Io alludevo solo alle sfumature. Che sono l’essenziale, come sai. P. 13

Aveva provato, per attenuare gli insuccessi, ad attenuare le ambizioni. P. 15

Così aveva sostituito al progetto di un ordine parziale quello, rassicurante e inattuabile, dell’ordine totale P. 16

Accumulo le delusioni come un capitale. P. 17

“Io non ti riconosco più, non so chi sei”. Lui annuì: “E’ il destino delle coppie che durano”. P. 17

La maturità non è l’età delle svolte? Non fare più quello in cui non si crede. P. 18

Se si tratta di mettere i “non” tu sei un maestro. Non lavorare, non muoversi, non vivere. P. 18

Fidarsi sempre di chi parla male di sé. P. 18

“Parliamo sempre di cose marginali”.
“E quelle importanti?”.
“Ci vengono sempre in mente quando stiamo per lasciarci”. P. 21

L’età, cara. Il tempo ci inquieta. Si passa dall’eternità ai pochi anni che ci restano. P. 22

“E se invece una persona ti dice che sei la sua vita?”
“Dice solo una frase, suppongo”. P. 22

Io credo sia sbagliato contare su un’altra persona. Ti tradisce sempre. P. 23

Dice di non capire la poesia di oggi. Tu non sai quante angosce risparmia l’ignoranza. P. 23

Che cosa è l’eros? Migliaia di definizioni, quindi nessuna. P. 24

Desidero. Dunque sono. P. 24

A volte il nostro desiderio si concentra su una parte sola del corpo e la trasforma in una totalità visionaria. Circoscrivere significa dilatare. P. 26

Noi amiamo le catene. Guai se non ci fossero. Saremmo liberi. Ma gli uomini vogliono una sola libertà, quella di non scegliere. P. 26

Anche il desiderio ci inganna. Quello che noi vogliamo non è mai un corpo né un’anima, ma qualcos’altro. Un tempio da profanare. O una madre da uccidere. Oppure Dio. P. 26

Non dire la propria data di nascita. E’ uno degli ultimi privilegi che gli uomini hanno strappato alle donne. P. 27

Buona sera. Sarò breve. Anche se queste sono già due parole di troppo. P. 28

Non si può rinunciare a Platone solo perché viene divulgato. P. 29

C’è un solo genere letterario che non si può accettare. Il genere noioso. P. 29

Spesso si dà il meglio quando non ci si crede, solo che non si deve credere neanche a questo, altrimenti non funziona. P. 32

Aveva letto una frase di Napoleone: in amore per passare dalla tragedia alla commedia basta chiedere all’antagonista di sedersi. P. 35

Non facciamo che passare da una età decisiva a un’altra, finché un attimo decide, questa volta definitivamente, di tutto. P. 36

Giulia fu incoraggiata , da unanimi quanto deludenti consensi, a dedicarsi al fine che veniva attribuito alla donna, l’uomo.  Non c’è donna che, con il tempo, non ne rimanga costernata. L’unica variabile è il periodo necessario al risveglio: tre mesi, due anni, venticinque, subito, mai. P. 37

La mente succube di quello che accade in un’altra mente, in pochi centimetri quadrati di circonvoluzioni cerebrali. P. 38

Il matrimonio era stato forse un alibi sufficiente a farla assolvere con formula piena nel processo meno attendibile che si conosca, quello che celebriamo dentro di noi: giudice e imputato coincidono e collaborano, con solidarietà toccante, a incolpare un terzo, gravandolo di responsabilità di cui è all’oscuro. P. 39

Spesso quando si cerca di convincere gli altri, si tenta solo di placare i propri dubbi; e non c’è da stupirsi se si fallisce in entrambi gli intenti. P. 41

La sensazione che lo scrivere, come gli scacchi, fosse un gioco di cui si potesse apprendere la teoria, non sufficiente a vincere la partita, ma almeno a cominciarla. P. 41

Il coniuge, colui che vive, dice l’etimologia, sotto lo stesso giogo. P. 42

Convinta che il problema primo fosse credere in sé, aveva scoperto che ce n’era un secondo, ossia che ci credessero gli altri. P. 42