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a  bordo  dei  dischi

 

volanti

 

 

 

 

 

GEORGE  ADAMSKI

 

 

 

 

 

1955

 

1996

 

2010

 

 

www.angelo-luce.it

 

www.angels-heaven.org

 

 

 

 


(*)

Introduzione

(**)

Prefazione

(1)

Il ritorno del venusiano

(2)

A bordo di un Ricognitore venusiano

(3)

L'astronave-madre venusiana

(4)

Il mio primo sguardo nello spazio

(5)

Incontro con un maestro

(6)

Domande e risposte a bordo dell'astronave

(7)

Il Ricognitore di Saturno

(8)

Lastronave-madre saturniana

(9)

Il laboratorio

(10)

Un altro maestro

(11)

Conversazione in un caffè

(12)

Ancora il maestro

(13)

A Palomar Terraces

(14)

Il banchetto d'addio

(15)

Un poscritto inaspettato

(16)

APPENDICE A

(17)

APPENDICE B

(18)

APPENDICE C

 

 


(**)

 

Introduzione

 

 

Nell'introduzione di questo libro, desidero per prima cosa ricordare che, sebbene sia impossibile non giudicare affascinante il suo contenuto, mi rendo perfettamente conto che susciterà inevitabilmente un'incredulità piú o meno grande. Alcuni accetteranno le affermazioni di George Adamski, e considereranno reali e autentiche le sue esperienze a bordo delle astronavi. Molti, avvertendo la sincerità con cui egli narra la sua vicenda, lo definiranno un uomo onesto ma illuso, e classificheranno le sue avventure nella categoria dei prodotti di menti malate o psicopatiche. Altri ancora, abituati a respingere tutto ciò che non è dimostrato nelle tre dimensioni abituali, si compiaceranno di giudicare il tutto un'abile impostura.

 

Per quanto io stessa abbia visto le astronavi in parecchie occasioni, sia qui nelle Bahamas, dove abito, che a Palomar durante le varie settimane del mio soggiorno, la scorsa estate, non sono mai stata a bordo di una di esse. E a quanto mi risulta, non ho mai conosciuto un uomo dello spazio. Tuttavia ho conosciuto George Adamski. E conoscerlo significa pervenire almeno ad una certezza incrollabile: è un uomo di un'onestà indiscutibile.

 

Poiché avevo letto Flying Saucers Have Landed (*) e poiché ero diretta comunque in California per trascorrervi l'estate in compagnia della mia famiglia, scrissi ad Adamski, riferendogli gli avvistamenti da me effettuati, e gli chiesi se potevo andare a trovarlo. Mi rispose invitandomi cordialmente a fargli visita.

 

(*) Tr. it.: I dischi volanti sono atterrati, Roma 1974; nuova edizione, 1996 (N.d.C.).

 

Non esito a confessare che feci la mia prima visita a Palomar Gardens tenendo le dita incrociate, per scaramanzia. Ero pronta a trovarmi davanti un individuo che poteva essere un pazzo geniale o un innocuo illuso; o magari un altro dei tanti culti californiani convenientemente e lucrosamente appeso al gancio della moda dei dischi volanti. Trovai invece un uomo ben lontano da tutto questo, e piuttosto difficile da descrivere.

 

Il mio primo pensiero fu che era stato un vero peccato lasciare che venisse pubblicata, sulla sovraccoperta dell'edizione americana di Flying Saucers Have Landed, una fotografia cosí inadatta e fuorviante. Non soltanto Adamski è, a modo suo, un bell'uomo, ma ha anche stampata l'onestà sul volto. Inoltre, come ho scoperto durante le settimane del mio soggiorno, dal suo volto non scompare mai un'espressione di bontà e di pazienza. Questo non significa che Adamski si sia evoluto a tal punto che le piccole irritazioni capaci di far salire la pressione sanguigna ai comuni mortali abbiano completamente cessato di punzecchiarlo. Tutt'altro. Quando si trova di fronte a un incidente, come un tubo recalcitrante, nella sua veste di idraulico dilettante, o quando non riesce a ritrovare il martello prediletto, usa un vocabolario perfettamente eguale a quello di chiunque altro. Ma è molto difficile che la sua irritazione si riversi su di un suo simile. Tutti coloro che bussano alla sua porta, siano seccatori, scocciatori o avversari bellicosi, vengono accolti con la stessa paziente cortesia riservata alle persone intelligenti, simpatiche o importanti nel senso mondano del termine. Insomma, Adamski è un uomo dotato di comprensione e di compassione. Queste qualità, abbinate ad un senso dell'humour sempre desto, lo rendono estremamente avvicinabile, nel senso piú integrale della parola. Inoltre, non pretende affatto che tutti credano a ciò che lui crede ed afferma. La sua è l'umiltà autentica che esclude ogni prepotenza e presunzione.

 

Il fatto che Adamski possieda piú saggezza che istruzione è, nel suo caso, un grosso vantaggio, perché lo rende libero da quei ceppi che spesso ostacolano gli individui dotati di una mentalità accademica. Nello stesso tempo, però, è straordinariamente informato in moltissimi campi, ad esempio per quanto riguarda gli avvenimenti mondiali e le loro cause. Forse, in parte è proprio per questa ragione che Adamski è un po' un profeta. A parte un'assenza quasi totale del fiuto per gli affari, che qualche volta induce gli altri ad approfittare di lui, Adamski appare come un uomo insolitamente equilibrato.

 

Sono propensa a credere che la straordinaria pazienza manifestata da Adamski debba avere avuto un ruolo molto rilevante nel fatto che egli è stato scelto come importante emissario sulla Terra dai nostri fratelli venuti da altri pianeti. La pazienza di Adamski non è quella facile e semplice dell'individuo che si accontenta di attendere e di sognare accanto al fuoco o all'ombra di un albero: è una pazienza sostenuta dall'azione. Per esempio, non appena si convinse dell'origine extraterrestre degli strani oggetti che aveva scorto nel cielo, si mise all'opera per procurarsi una documentazione fotografica della loro realtà. E' evidente che si trattò di un'iniziativa di portata e di proporzioni veramente notevoli.

 

Le condizioni meteorologiche ed il lungo tempo necessario per la sua realizzazione non scoraggiarono Adamski. In effetti, trascorsero cinque anni, dal 1948 fino a tutto il 1952, prima che, dopo centinaia e centinaia di tentativi, gli riuscisse di ottenere una o più fotografie riuscite di ogni tipo diverso di astronave da lui osservato. Soltanto allora ritenne di avere completato la fase iniziale della sua ricerca sui dischi volanti. In seguito, sono state pubblicate parecchie fotografie scattate in molte parti del mondo, che mostrano navi dello stesso tipo fotografato da Adamski.

 

Leonard Cramp ha realizzato disegni ortografici comparativi del Ricognitore Venusiano di Adamski e dell'apparecchio fotografato dal tredicenne Stephen Darbyshire (il cosiddetto « Disco di Coniston »), e ha dimostrato che si trattava di oggetti identici nelle misure e nella struttura. I disegni sono stati pubblicati nel libro di Cramp, Space, Gravity and the Flying Saucer, un'opera consigliabile agli scienziati e a quanti sono dotati di una preparazione tecnica (*).

 

(*) I disegni ortografici di Leonard Cramp sono stati inclusi anche in I dischi volanti sono atterrati, cit. (N.d.C.).

 

Prima di lasciare Palomar Terraces, suggerii che, per edificazione di quanti avrebbero inevitabilmente preteso « una prova concreta », sarebbe stato opportuno includere nel presente libro qualche conferma testimoniale da parte di persone che .non sono tenute a starsene sempre zitte per motivi di sicurezza o per considerazioni personali, e magari anche qualche fotografia dell'interno di un'astronave, o di qualche oggetto fabbricato su di un altro pianeta. Per quanto comprendessi perfettamente le spiegazioni di Adamski, secondo la cui opinione tali prove sarebbero servite a poco o a nulla, mi interessava ancora osservare le reazioni di tutti i miei amici e conoscenti: tra questi figurano scienziati eminenti, giornalisti, professori di varie materie e « profani » dotati di vasta cultura.

 

Avevo avuto modo di accorgermi che l'interesse per i dischi volanti era assai piú vivo di quanto avessi immaginato. Inoltre, non soltanto vi era uno scetticismo sorprendentemente ridotto al minimo circa la presenza effettiva di quegli strani apparecchi nei nostri cieli, ma anche una notevole disponibilità a credere che essi avessero un'origine interplanetaria. Pochissimi, però, erano disposti a credere che George Adamski avesse veduto i nostri simili venuti da altri pianeti, avesse parlato con loro e fosse stato portato a bordo delle loro navi.

 

Tutti erano pronti ad ammettere di non possedere una conoscenza esauriente dello spazio aperto. La maggioranza dei nostri scienziati non ritiene più che tra i pianeti esistano distanze impercorribili, e il vecchio metro degli anni-luce non è più alla base dei criteri di misurazione dell'elemento tempo. Le correnti dello spazio (in assenza di un termine più preciso) sono riconosciute come misteri degni di indagine; la vittoria sulla gravità appartiene ancora al futuro.

 

Poiché la scienza ha compiuto innegabilmente passi da gigante, in questi ultimi tempi, qualche volta noi dimentichiamo facilmente di essere ancora al livello dei bambini, per quanto riguarda la nostra conoscenza dell'Universo immenso di cui siamo una piccolissima parte. Trascuriamo l'insegnamento ricorrente nella storia dell'umanità, che impone l'abbandono obbligato o la modificazione delle supposizioni e delle conclusioni di ieri alla luce delle nuove scoperte di oggi. Quanto piú diviene matura la mente dell'uomo, tanto piú questi comprende pienamente che i miracoli infiniti di un'infinita creazione non possono venire misurati con i metri da lui inventati nel passato, nel presente e nell'avvenire. E' una rivelazione affascinante, non spaventosa e scoraggiante. Soltanto la mente immatura si affretta a respingere come impossibile o inquietante tutto ciò che sta al di là della sua piccola esperienza fisica o al di là della comprensione della sua immaginazione limitata.

 

Studioso della storia e della natura umana, Adamski si rende perfettamente conto che, narrando esperienze tanto lontane dagli eventi normali del nostro inquieto pianeta, si espone ad attacchi provenienti da fonti prevedibilissime. E, per quanto io mi renda conto che qualsiasi insinuazione avanzata sulla sua sanità mentale e sulla sua veridicità non ha il potere di turbarlo personalmente, so anche quanta importanza egli attribuisce al compito di diffondere la verità a proposito delle astronavi e della loro missione amichevole presso i popoli divisi della nostra Terra. Per queste ragioni, e anche perché mi era stato richiesto di fornire « prove concrete » che sostanziassero le affermazioni di Adamski, gli scrissi nuovamente, per chiedergli se era disposto a permettermi di includere nel presente libro qualche prova di tal genere. Sono convinta che la risposta che mi inviò giustifichi il suo punto di vista in modo assai più eloquente di quanto potrei fare io o chiunque altro. Perciò, gli chiesi e ottenni il permesso di citare la sua lettera.

 

Palomar Terraces,

Star Route, Valley Centre, California

 

 

 

Cara Charlotte,

ho letto la sua lettera con il massimo interesse, e sebbene da un punto di vista ogni brano appaia perfettamente sensato, da un altro punto di vista le cose stanno diversamente. Non voglio criticare nessuno, ma molte persone che hanno ricevuto una preparazione in un particolare campo, indipendente da quello che sono e dalla posizione che occupano, sono spesso dominate da un'aderenza troppo ossequiente alla mentalità tradizionale e convenzionale.

 

Come le ho già detto, vi sono testimoni di uno dei miei viaggi a bordo di un'astronave. Sono entrambi scienziati che occupano posizioni molto elevate. Non appena saranno in grado di fare una dichiarazione, la situazione cambierà dal giorno alla notte. Tuttavia, dato come stanno attualmente le cose per quanto riguarda tutto ciò che rientra nell'ambito del problema della sicurezza, questi due scienziati devono rimanere, almeno per il momento, nell'ombra. Quando riterranno di poter confermare il mio racconto senza mettere in pericolo la sicurezza nazionale e se stessi, hanno promesso che lo confermeranno a mezzo stampa. Quando avverrà? A questo proposito, io ne so quanto lei. Ma poiché i due scienziati erano con me dietro richiesta dei Fratelli, vi sono certe cose che si muovono in favore sia dei Fratelli che del grosso pubblico, e che altrimenti non sarebbero mai potute incominciare. Anche se ci terremmo moltissimo, non possiamo ancora parlare di queste cose, perché le buone intenzioni potrebbero suscitare reazioni pessime. Qualunque azione prematura potrebbe rovinare l'inizio più promettente.

 

Ricordi, inoltre, che questo problema delle prove ha un altro aspetto, dal quale lei è perfettamente informata; quindi comprenderà la ragione per la quale dobbiamo attendere con pazienza che le nostre speranze si realizzino. Proprio l'altro giorno ho ricevuto una lettera, dalla quale risulta che tali possibilità si vanno presentando, e sembra che alla fine si avrà una conferma da quella fonte, il che sarebbe una vera benedizione per il mondo. Quindi devo attendere con fede, e lasciare che sia giudice il tempo.

 

Possono comprendere benissimo ciò che mi dice a proposito di testimoni individuali che, non vincolati da ragioni di sicurezza o personali, potrebbero essere liberi di parlare e di confermare il mio racconto. Ma, come gli scettici sono pronti a mettere in dubbio la mia dichiarazione, sicuramente metterebbero in dubbio quella di chiunque altro. Lo si è visto nei confronti delle testimonianze giurate delle persone presenti all'incontro descritto nel Flying Saucers Have Landed. Quando un critico è critico davvero, gli si può portare davanti anche Dio Onnipotente, e quello continua egualmente a dubitare. E l'uomo normale è incline a dubitare di tutto ciò che gli giunge nuovo.               200-countries-download.org

 

Per quanto riguarda poi gli oggetti concreti fabbricati su altri pianeti, che io potrei mostrare, servirebbero veramente a qualcosa? A parte l'evidente impossibilità di mostrarli a tutti i lettori del libro, si ripeterebbe la vecchia storia delle fotografie di oggetti del genere. Non immagina quali sarebbero i commenti? « Adamski ha fabbricato questo o quello e poi l'ha fotografato »; oppure: « Che cosa c'è di diverso in quella coppa, o in quel pezzo di stoffa? ». E per la verità, a giudicare da tutto ciò che ho visto con i miei occhi a bordo delle astronavi, in effetti non esiste una differenza superficiale, tra una coppa venusiana e una delle nostre, più spiccata di quanto non avvenga tra le migliaia e migliaia di tipi diversi prodotti qui sulla Terra.

 

Pensi a quello che hanno detto delle fotografie delle astronavi che mostrano oggetti completamente diversi da quelli esistenti sulla Terra... e che sono state scattate da molte persone in diverse parti del mondo! Perciò, indipendentemente da quello che lei può pensare al riguardo, se una persona non ha in sé quel quid necessario per riconoscere la verità, non può contare nulla ciò che viene presentato a titolo di prova: quella continuerebbe a chiedere prove concrete congeniali alla sua mentalità e alla sua comprensione, ignorando tutte le altre menti del mondo.

 

Le cose stanno più o meno cosí: chi ha dentro di sé la profondità della vita non ha bisogno di tali prove; ma chi non l'ha, come disse Gesù, « chiederà dei segni, ma non gli verrà dato alcun segno »: perché, se anche venissero mostrati, i dubbiosi non li comprenderebbero. Le parole di Gesú sono vere anche oggi.

 

Chi possiede la verità non chiede prove, perché il suo sentimento intimo riconosce quella verità, che è di per se stessa la prova. E ne abbiamo una conferma inconfutabile per quanto riguarda Flying Saucers Have Landed. Come lei sa, io non sono nessuno; vivo di preferenza tra le montagne, piuttosto che in una città, dove potrei conoscere « le persone giuste ». In quel libro c'era abbastanza materiale per mettere all'opera gli psicologi, gli psicanalisti ed i critici di professione... e quelli si sono messi veramente all'opera! Però il libro ha fatto il giro del mondo. Lei ha letto parecchie delle lettere che abbiamo ricevuto e ha potuto vedere che, per quanto alcune abbiano un tono critico e scettico, quasi tutte erano di elogio. Lei ha potuto osservare che molte persone hanno narrato esperienze personali di cui non osavano parlare, perché non erano in grado di fornire « prove concrete »; o, se hanno osato parlarne con amici e parenti, ne hanno ricavato risultati deludenti!

 

In passato non furono forse le cosiddette autorità ufficiali a criticare ed a svilire tutto ciò che veniva proposto per migliorare l'uomo? Il tipo di prova che essi pretendevano era prematuro, e non era saggio concederlo. Ma il tempo e la pazienza finirono per dare ragione a coloro che avevano prospettato quelle idee. Oggi l'umanità è assai migliore grazie a loro... non già grazie agli scettici! Ma mi permetta di rassicurarla su di un punto. I Fratelli non ci abbandoneranno, se noi seguiremo la loro guida, come non ci hanno abbandonato in Flying Saucers Have Landed. Noi umani abbiamo fatto finora ben poco per diffondere questa verità, ma deve averlo fatto qualcun altro. Perciò seguiamo, senza troppi cambiamenti, il procedimento che abbiamo seguito nel primo libro. Sono certo che non ci sbaglieremo. Lasci che i critici chiedano! La loro opposizione potrà servire come stimolante alla loro stessa curiosità, spingendoli a compiere ricerche o analisi più approfondite. La verità trionferà sempre, nonostante le opinioni personali o limitate.

 

Per quanto riguarda l'analisi del pezzetto di metallo di cui parlo nel libro e che lei stessa ha maneggiato, ho molto esitato, a causa di un'esperienza precedente. Alcuni anni or sono feci eseguire l'analisi chimica di un frammento di lega metallica che, come sapevo con assoluta sicurezza, non proveniva da questo pianeta: pensai subito a fare eseguire un'analisi, e lo consegnai perciò ad uno scienziato perché l'effettuasse. Quando telefonai per la prima volta per chiedere i risultati, lo scienziato era molto eccitato. Ma quando mi recai nel suo laboratorio, si era perfettamente controllato — o qualcun altro aveva provveduto a questo — e cercò di accantonare con molta leggerezza l'intera faccenda. Quando mi disse che il pezzo di metallo non era molto diverso da quello che si poteva trovare in qualunque cantiere di demolizione, naturalmente io insistetti e gli chiesi di precisare ciò che aveva scoperto. Allora egli ammise che vi erano « lievi differenze » di composizione, rispetto a tutte le leghe conosciute; ma dichiarò che la cosa poteva essere stata causata da una variazione del calore o da qualche « incidente di poco conto » ch sul momento non era 5tato notato, e quindi era molto improbabile che la lega venisse riprodotta.

 

Questa esperienza è stata per me una lezione, e non desidero affatto perdere quel pezzetto di metallo che lei ha visto, e che io so che non è di questa Terra, e quindi non lo consegnerò a nessuno, fino a quando non avrò la certezza che chi lo riceverà cercherà sinceramente la verità e sarà pronto a proclamarla.

 

Riconosco che la mia saggezza è ben poca cosa in confronto a quella dei Fratelli. Perciò lascio a loro ogni decisione, come del resto farebbe anche lei. Ho ragione di credere che essi stiano cercando di stabilire contatti in altre parti del mondo, in modo che nessuno, neppure l'individuo più scettico, possa accusarmi di aver suggestionato un altro testimone, o di averlo corrotto per indurlo a corroborare la mia affermazione, se dovessi presentare come testimone qualcuno il cui nome non è considerato autorevole nel mondo.

 

Forse i Fratelli venuti dagli altri pianeti stanno aspettando che l'intimo degli uomini della Terra incominci a scuotersi e a protendersi verso il risveglio, nel desiderio di vivere in modo migliore tra i propri simili. Forse la fede ha veramente un'importanza suprema: non la fede cieca, bensì la fede consapevole che viene soltanto dall'intimo e che non può venire distolta da ciò che si sa essere vero. Il primo libro ha contribuito a determinare tale risveglio. Lo scopo di questo nuovo libro consiste nello stimolare tale attività, promuovendo una maggiore comprensione.

 

Per gli eventi narrati nel primo libro non esiste alcuna conferma scientifica. Ma dopo la sua pubblicazione sono accaduti altri avvenimenti, di cui si è avuta notizia da ogni parte del mondo; e tali eventi hanno costituito una conferma assai più convincente di qualunque cosa che io avrei potuto produrre al momento della pubblicazione. Tutto ciò è avvenuto nonostante le forze avverse che, per varie ragioni, non vogliono che la verità venga rivelata. Lo stesso avverrà anche con questo libro. Io sono stato ben guidato e protetto contro molte cose. Fino ad ora, i Fratelli non mi hanno mai abbandonato. Perciò, se attendiamo con pazienza e con serena fiducia, le cose andranno come dovranno. In tutto il mondo vi saranno prove assai più numerose di quelle che potrei mai ricevere ed a mia volta trasmettere io, che sono un uomo solo.

 

Sempre suo

 

 

George Adamski

 

 


(*)

 

Prefazione

di Desmond Leslie

 

 

Quando collaborai con George Adamski alla redazione di Flying Saucers Have Landed, ancora non lo conoscevo. Il mio editore ed io eravamo d'accordo nel convenire che, nella sua testimonianza del contatto con un Disco Volante sceso a terra, vi erano elementi convincenti a sufficienza per consigliare la pubblicazione del suo racconto. Gli eventi successivi confermarono che avevamo avuto ragione. Nel novembre 1953, un mese dopo la pubblicazione del volume, un oggetto quasi identico a quello fotografato da Adamski sorvolò Norwich, nel Norfolk, e venne osservato da sette membri dell'Associazione Astronomica Britannica e della Società Astronomica di Norwich; uno di essi, di nome Potter, fece un disegno che mostrava un Disco con una cupola e un cerchio di oblò, quasi identico alle fotografie di Adamski.

 

Il 15 febbraio 1954, due ragazzi, rispettivamente di tredici e di otto anni, scattarono una fotografia di un oggetto che era sceso dalle nuvole sopra Coniston, nel Lancashire. La foto era abbastanza sfocata, ma era tuttavia chiara quanto bastava per mostrare il Disco, la cupola, quattro oblò, ed una specie di carrello d'atterraggio composto di sfere, in tutto simili alle fotografie di Adamski. L'unica differenza, a quanto risultava da un'osservazione grossolana, consisteva nella diversa angolatura. Questa foto sembrava scattata da un angolo di circa 25 gradi rispetto all'asse verticale del Disco, mentre la corrispondente fotografia di Adamski era stata scattata da un angolo di 50 gradi. Un'indagine minuziosa dimostrò che i ragazzi non avevano truccato il negativo e non avevano fotografato un modello copiato dalle foto di Adamski. Un'altra conferma venne fornita in seguito da Leonard Cramp (autore di un recente testo scientifico intitolato Space, Gravity and the Flying Saucer) il quale, mediante un procedimento di proiezioni ortografiche, dimostrò che il Disco di Coniston aveva le identiche proporzioni del Disco di Adamski, e che se i ragazzi avessero fabbricato un modellino, avrebbero dovuto conoscere le proiezioni ortografiche, per costruire il modello in scala. Inoltre, avrebbero dovuto servirsi di un tornio per realizzare parecchie curvature paraboliche. I ragazzi non avevano un tornio a disposizione, non sapevano niente delle proiezioni ortografiche, e non credo che sapessero tagliare curve paraboliche.

 

Molti hanno accusato Adamski di avere fotografato un paralume. L'apparizione di un grosso « paralume » su Norwich e, in seguito, la sua improvvisa discesa dal cielo nel Lancashire, inducono a pensare che il « paralume » in questione fosse dotato di parecchie capacità sbalorditive, compresa quella di sorvolare l'Atlantico, e di compiere un percorso di novemila chilometri, partendo dalla California. Inoltre, va osservato che, se Adamski avesse effettivamente fotografato un paralume o qualsiasi altro oggetto, presumibilmente, prima o poi, un altro oggetto dello stesso genere sarebbe risultato in possesso di qualcuno ed avrebbe potuto venire identificato. I negativi di Adamski vennero esaminati dal migliore specialista di « effetti speciali » di Cecil B. de Mille, Pev Marley, il quale dichiarò che, se erano falsi, erano i migliori che avesse mai visti; e da Joseph Mansour, capo della Jetex Model Aircraft, il quale affermò che secondo lui non erano fotografie di modellini, ma di grandi oggetti dal diametro di almeno dieci metri.

 

Io mi recai in America e nell'estate del 1954 esaminai tutte le pellicole e tutti gli apparecchi di Adamski. Questi possiede uno splendido telescopio a riflettore newtoniano da sei pollici.

 

Sull'oculare, Adamski ha fissato una specie di macchina fotografica molto primitiva, che consiste semplicemente di una cassetta, di un otturatore a peretta e di un portalastre. Questa macchina viene montata direttamente all'oculare del telescopio, che funge da lente.

 

Servendomi di questa attrezzatura, fotografai un modellino di disco volante sospeso ad una certa distanza. Il risultato fu una fotografia che mostrava inequivocabilmente un modellino di disco volante sospeso ad una certa distanza.

 

I testimoni presenti al contatto di Adamski nel deserto, il 20 novembre 1952, mi raccontarono le loro storie. Avevano visto la grande astronave senz'ali, a forma di sigaro, che quella mattina aveva sorvolato Desert Centre. Avevano visto Adamski parlare con un'altra persona che vestiva un indumento in un solo pezzo, di color marrone. Quando avevano raggiunto Adamski, dopo la partenza del visitatore, avevano esaminato le due serie di impronte sulla sabbia del deserto: le impronte di Adamski e quelle che sembravano lasciate da scarpe di donna della « quarta misura ». Furono fatti calchi di gesso; uno di essi è sulla mia scrivania mentre sto scrivendo queste parole. Le impronte di Adamski provenivano dalla direzione in cui si trovavano i testimoni; le altre, invece, scomparivano proprio nel punto in cui era rimasto librato il Disco Volante.

 

Quell'agosto mi recai sul posto e scoprii che, sebbene la temperatura dell'aria fosse elevatissima, i miei piedi lasciavano impronte molto nitide. Secondo me, la sabbia in quel punto era cosí compatta perché un tempo vi era un corso d'acqua, ed è possibile che nel sottosuolo fosse rimasta una certa umidità.

 

Tutti i sei testimoni del contatto di Adamski, il dottor George Williamson e sua moglie, il signor Al Bailey e sua moglie, la signora Lucy McGinnis e la signora Alice Wells, affermano che aerei militari americani volavano in cerchio sulla zona, durante l'intero episodio; l'Aeronautica non ha mai confermato né smentito.

 

Adamski non fu il primo a proclamare di avere avuto contatti con un'astronave atterrata. Sei mesi prima (nel giugno 1952), un meccanico, Truman Bethurum, che stava lavorando sulla Mormon Mesa, nel Deserto di Mojave, avrebbe avuto diversi contatti con i membri dell'equipaggio di un grosso Disco Volante, che lo avrebbero invitato a bordo. Bethurum mi fece l'impressione di un uomo che non aveva abbastanza immaginazione per inventarsi tutta la storia. Inoltre, è risultato che il suo principale, E.E. White della Wells Cargo (non Fargo!) Construc-tion Company, aveva visto il Disco Volante scendere ed atterrare, a una distanza di oltre due chilometri, e nella luce piuttosto debole l'aveva scambiato per un aereo di linea in difficoltà. Inoltre, in un'altra occasione, White, insieme a parecchi altri, vide due membri dell'equipaggio del Disco Volante. Non credo che Bethurum abbia perfettamente compreso ciò che aveva visto, né quello che gli venne detto dai suoi strani visitatori: si rese semplicemente conto di avere avuto un'esperienza con un oggetto extraterrestre e con il suo equipaggio. Come avviene molto spesso, la storia si abbellì a furia di raccontarla. Ma esiste una registrazione su nastro, in cui Bethurum, preoccupato e spaventato, raccontò ciò che gli era accaduto, quando gli avvenimenti erano ancora freschi nella sua memoria.

 

Ebbi l'impressione, personalmente, che Bethurum fosse un brav'uomo, non dotato di molta immaginazione, semplice ma sincero, e che si trovasse alle prese con lo stesso genere di difficoltà che incontrerebbe un indigeno della giungla brasiliana se dovesse descrivere agli abitanti del suo villaggio l'elicottero che è atterrato e che aveva a bordo uno strabiliante equipaggio di uomini bianchi.

 

Per quanto riguarda Daniel Fry, la storia è molto diversa. Fry era un ingegnere che lavorava alle dipendenze del governo nel campo di collaudo di White Sands, Nuovo Messico, nel 1950. Una sera, secondo il suo racconto, atterrò un piccolo Disco, e una voce lo invitò a salire a bordo: proveniva da una specie di radio, perché il Disco era telecomandato da un'astronave-madre, e gli spiegò, per sommi capi, i criteri di costruzione e di propulsione. Il documento di Fry è esattamente il contrario della dichiarazione di Bethurum: tecnico, e preciso, è tipico di un ingegnere abituato ai fatti concreti e alle cifre. Fry afferma che il suo contatto ebbe luogo quattro anni fa, ma a quell'epoca lo disse a pochissime persone, perché temeva di perdere il posto o di venir creduto pazzo.

 

Poco dopo che io lo conobbi, Fry si offrí (alcuni dissero che invece fu costretto) a sottoporsi davanti alle telecamere ad una prova con la macchina della verità. Fry, che non per nulla era un ingegnere, prese la precauzione di fare una sua prova preliminare, per vedere se riusciva a scoprire le menzogne per mezzo della macchina della verità. Per questa ragione, diede deliberatamente un'età falsa, un luogo di nascita falso, e cosí via; e la macchina registrò per buone tutte le risposte. Per quanto riguardava la sua esperienza, invece, la macchina segnalò che non era vera. In seguito, una delle nostre ricercatrici, la signora Manon Darlaine di Hollywood, scrisse una lettera al riguardo al suo amico J. Edgar Hoover, capo delľFBI. Hoover rispose che non c'era affatto da fidarsi della macchina della verità, che è sensibile esclusivamente ai cambiamenti emotivi; e proprio per questa ragione ne aveva condannato l'uso nelle indagini. Le prove effettuate personalmente da Fry all'insaputa degli operatori dimostrarono con certezza che questo particolare tipo di controllo era inutile.

 

Tutti e tre, Adamski, Bethurum e Fry, affermano che le loro esperienze sono concrete e fisiche, e non hanno nulla a che vedere con il regno della psiche. Nelle loro conversazioni si mostrano estremamente realistici, e osservano che, a quanto risulta loro, si trovarono presenti per puro caso quando gli esponenti di una civiltà piú evoluta vennero a farci visita: nient'altro. Mi hanno fatto l'impressione di individui attendibili, ansiosi di dire la verità, pronti ad ammettere che era molto difficile raccontare, con le parole di tutti i giorni, un'esperienza tanto grandiosa. Tutti e tre hanno dovuto soffrire, a causa di tali esperienze. Senza dubbio gli indigeni che segnalarono l'atterraggio di un elicottero nella giungla dovettero anch'essi affrontare gli increduli e i superstiziosi.

 

E dal momento che stiamo parlando di superstizione, vale la pena di ricordare che un'intera orda di medium impreparati si è avventata sui Dischi Volanti e che di conseguenza l'intera faccenda rischia di venire del tutto screditata.

 

Sarebbe veramente molto triste se la verità andasse perduta dietro una cortina fumogena di sciocchezze. Infatti, se i Dischi Volanti sono reali, il nostro pianeta si trova alla vigilia delle piú grandi scoperte scientifiche, sociologiche e filosofiche della sua storia.

 

Un collaboratore sudamericano, Ed Martins, si recò a Monte Palomar mentre io stavo con Adamski, nel mese di luglio: portò parecchie notizie di atterraggi avvenuti nell'America meridionale che sembravano seguire lo stesso modello: una grande nave circolare, esseri umani normali e di bell'aspetto a bordo, un potente campo di forza elettromagnetico che circondava l'apparecchio. Dal Canada ricevemmo segnalazioni personali di un orologiaio di nome Galbraith, che abita presso Swastika, nell'Ontario. Egli afferma di aver visto atterrare due grandi navi nel 1948. Tutte e due le volte, ne scese un uomo che raccolse campioni di terra. L'uomo aveva un atteggiamento amichevole. Ma il campo di forza che emanava dalla nave era tanto potente che, per usare le parole di Galbraith, « appiattiva l'erba e mi faceva cadere ». La seconda volta, una pattuglia di agenti di Polizia stava frugando i boschi, alla ricerca di un evaso. I poliziotti videro la luce nella foresta, ma non poterono avvicinarsi: si trovarono di fronte, dissero, a un muro invisibile. Anche Galbraith dice che questo « muro » di energia gli impedí di avvicinarsi, tuttavia potè vedere bene la nave (si trovava dall'altra parte della foresta), mentre il suo occupante gli sorrideva come per rassicurarlo. Questo « muro » invisibile compare anche in diverse segnalazioni recenti di atterraggi avvenuti in Francia e in Italia. Il guaio è che quasi tutte le segnalazioni europee sono state fatte da contadini terrorizzati. E quando un uomo ha paura, non riesce a raccontare bene quello che ha visto. Un collaboratore, Jef Athierens, giornalista belga, mi disse di avere intervistato alcuni di questi contadini. Era convinto che avessero visto « atterrare qualcosa di molto insolito »: ma che cosa fosse esattamente era molto difficile accertarlo, a causa della paura che aveva impedito ai testimoni di effettuare osservazioni accurate.

 

In questi ultimi due anni si sono avute molte altre segnalazioni di atterraggi: alcune sono risultate evidenti imposture, e a questa categoria apparterranno probabilmente anche molte delle segnalazioni future. Ma non credo che tutti quanti siano matti o impostori. L'unico guaio è che, contro le loro testimonianze, abbiamo tutto il peso dell'astronomia moderna, la quale afferma di avere dimostrato che la nostra forma di vita non può assolutamente esistere su altri pianeti del nostro Sistema Solare. Quindi, o i testimoni o l'astronomia hanno torto. E' fin troppo facile non prestare fede a una piccola schiera di uomini, quando abbiamo la « scienza » che ci dà ragione: ma questa è la via d'uscita che va bene per i pigri. Le affermazioni secondo le quali la Terra era rotonda, la cera poteva registrare i suoni, l'etere poteva trasportare le onde radio, i raggi potevano penetrare la materia e « vedere nel suo interno », una macchina piú pesante dell'aria poteva volare, sono state tutte rifiutate, ai loro tempi, come impossibili e in contrasto con la conoscenza. Il libro più recente scritto sul pianeta Marte è opera del dottor Hubertus Strughold:

 

This Green and Red Planet. Il libro dimostra che, se i nostri strumenti e le informazioni da essi fornite sono esatti, la vita organica intelligente, quale noi la conosciamo, non potrebbe sopravvivere su Marte neppure per dieci secondi. Ma Strughold conclude ammettendo che forse noi abbiamo trascurato « alcuni fattori fondamentali », e che l'unico modo per essere sicuri sarebbe quello di andare noi stessi sugli altri pianeti a controllare di persona.

 

C'è un'alternativa: gli uomini di quei mondi vengono a trovarci per primi. Ci rivelano qualcosa della loro arte, della loro vita, delle loro tradizioni, della loro scienza, della loro religione e della loro filosofia, in modo che noi possiamo ricavarne qualche beneficio.

 

Ed è esattamente quello che sarebbe già accaduto, a quanto giurano alcune persone. George Adamski, per esempio, parla delle molte ore proficue e illuminanti che ha trascorso in compagnia di uomini venuti da mondi assai piú evoluti, ed è riuscito ad afferrare, in parte, la bellezza della loro conoscenza e della loro filosofia.

 

In un primo momento, sembrano esservi soltanto due possibili modi di considerare questo documento straordinario: o è vero o non lo è. Non posso dimostrare al lettore che sia vero, e non posso dimostrare che non lo sia. Ciascuno dovrà decidere da solo.

 

Tuttavia, la discussione è un po' prematura. L'importante è leggerlo e studiare gli insegnamenti in esso contenuto, perché potrebbero essere di grande aiuto per molta gente. Quando saranno stati assorbiti ampiamente e (si spera) applicati, altri che hanno avuto esperienze analoghe si faranno avanti a confermare le affermazioni di questo pioniere solitario.

 

Il primo che proclama al mondo una verità nuova (o meglio un aspetto ricorrente dell'Unica Verità), si trova invariabilmente sepolto sotto il ridicolo, il disprezzo e le accuse di essere un impostore. Il pioniere, per sua natura, è qualche decennio più avanti del suo tempo, e viene regolarmente maltrattato dai suoi simili; ma i nipoti di questi si grattano la testa e si domandano il motivo di tutta quella confusione, perché, per loro, i frutti dell'opera di quel pioniere solitario sono divenuti una realtà quotidiana e normalissima.

 

Fino ad ora Adamski si trova nella condizione imbarazzante dell'indigeno brasiliano al quale è stato dato un passaggio in elicottero. Ha compiuto il suo viaggio, e l'elicottero se ne è andato. L'indigeno cerca di descrivere alla sua tribú ciò che è accaduto, ma nella sua lingua non vi sono parole capaci di descriverlo adeguatamente.

 

Tuttavia, servendosi del semplice linguaggio di questa Terra, Adamski ha fatto del suo meglio per narrare un'esperienza che non è terrena. Riferire una tale esperienza nella sua totalità sarebbe impossibile. Deve venire necessariamente colorata dalla personalità e dallo stile del narratore, come avviene sempre.

 

Ma, nonostante queste difficoltà, Adamski è riuscito a darci un'idea di una civiltà che possiamo invidiare: una civiltà che forse i nostri nipoti avranno la fortuna di godere. A chi spetterà la decisione? Chi deciderà se le generazioni future percorreranno le vie stellate e ascolteranno la musica delle sfere o se, mutanti deformi, vivranno nelle caverne e gratteranno il suolo avvelenato con picconi primitivi, per sopravvivere miseramente in un mondo in cui trionferà l'orrore?

 

Saremo noi a deciderlo! La decisione spetta a noi. L'umanità si è posta di fronte a un ultimatum definitivo: vivere la Vita o perire per sempre. Su questa fossa dei serpenti, in cui si azzuffano i giganti atomici e la gente si trascina confusa e spaventata, appare un lampo di luce. Si irradia da una splendida nave cristallina a bordo della quale noi crediamo si trovino uomini che hanno dominato le loro passioni e che ci aiuteranno a dominare le nostre... se glielo permetteremo. Non possiamo prenderci il lusso di ignorarli. Non siamo in condizione di starcene seduti a spaccare i capelli in quattro mentre le fondamenta stesse del nostro pianeta sono scosse da una catastrofe imminente.

 

Perciò leggete quanto segue con mente aperta, e vedete se la luce di questi insegnamenti è vera o no.

 

 


(1)

 

Il ritorno del venusiano

 

 

Los Angeles è una città di luci e di rumori, di fretta e d'inquietudini, in sorprendente contrasto con il tranquillo splendore delle stelle ed il silenzio della mia casa sulla montagna. Era il 18 febbraio 1953. Non ero venuto in città per cercare svaghi, ma perché vi ero stato attirato da quell'impressione irresistibile che ho descritto in Flying Saucers Have Landed.

 

Seguendo l'abitudine che avevo ormai da molti anni quando mi recavo a Los Angeles, presi alloggio in un albergo del centro. Dopo che l'inserviente mi ebbe portato la valigia nella stanza, ebbe ricevuto la mancia e si fu ritirato, io rimasi incerto, ritto in mezzo alla stanza. Erano soltanto le quattro del pomeriggio, e poiché non sapevo, letteralmente, che cosa mi avesse condotto lí, mi sentivo piuttosto sperduto. Andai alla finestra e guardai la strada piena di traffico: ma non vi trovai certamente una ispirazione.

 

Poi, con una decisione improvvisa, scesi, attraversai l'atrio ed entrai nel bar. Il barista mi conosceva e, benché all'origine si fosse dimostrato scettico, dopo avere parlato con me e dopo avere visto le mie fotografie dei Dischi, aveva preso un vivo interesse alla cosa. Mi accolse cordialmente; chiacchierammo un po', e lui mi disse che molte persone si erano interessate ai suoi discorsi sui Dischi Volanti e l'avevano pregato di avvertirle se io fossi arrivato.

 

Rimase in attesa della mia risposta, e io non sapevo che cosa dirgli. Almeno per il momento, non avevo nessun progetto. Non me la sentivo di tenere una piccola conferenza improvvisata ad un gruppo di sconosciuti, ma d'altra parte mi pareva un sistema come un altro per passare il tempo in attesa di... beh, in attesa di quello che stavo aspettando!

 

Accettai, e poco dopo attorno a me si radunò un gruppo di uomini e di donne. Il loro interesse mi pareva sincero e risposi alle loro domande nel miglior modo possibile.

 

Erano quasi le sette quando mi scusai e uscii, per recarmi ad un ristorante poco lontano. Preferivo stare solo, e come unica compagnia avevo la persistente impressione che « stesse per succedere qualcosa ».

 

Dopo aver mangiato senza molto appetito, ritornai all'albergo. Nell'atrio non c'era nessuno che io conoscessi, e il bar non mi attirava.

 

All'improvviso, pensai a Miss M., una mia giovane allieva che abitava in città. Da un po' di tempo non aveva potuto venire su in montagna da noi e mi aveva pregato di chiamarla, la prima volta che fossi capitato in città. Entrai in una cabina telefonica e feci il suo numero. Lei fu molto felice della mia chiamata ma, poiché non aveva la macchina, mi spiegò che avrebbe impiegato un'ora o più per arrivare con il tram.

 

Comprai un giornale della sera e, per non incontrare qualcuno che potesse riconoscermi, salii in camera mia. Dopo avere letto ciò che mi interessava, mi feci forza e incominciai a leggere anche le notizie che di solito avrei saltato: era un tentativo di placare l'inquietudine che ormai permeava tutto il mio essere.

 

Prima che fosse trascorsa un'ora, tornai nell'atrio, per aspettare Miss M., che arrivò un quarto d'ora dopo. Parlammo per un po' e io riuscii a chiarirle un certo numero di problemi che, racchiusi nella sua mente, avevano finito per assumere proporzioni esagerate. La sua gratitudine fu commovente: mi disse che aveva sempre pensato e sperato che io sarei venuto in città e che l'avrei aiutata.

 

Mentre l'accompagnavo ali 'angolo della strada, dove doveva prendere il tram, mi chiesi se l'impulso che mi aveva raggiunto lassú, in montagna, poteva essere per caso un suo messaggio telepatico. Ma quando mi ritrovai di nuovo nel silenzio dell'atrio dell'albergo mi resi conto che la spiegazione non poteva essere quella. La sensazione era ancora in me, più forte che mai!

 

Diedi un'occhiata al mio orologio da polso: erano le dieci e mezzo. Il fatto che fosse cosí tardi e che non fosse ancora accaduto nulla di significativo, mi fece provare una fitta di delusione. E proprio in quel momento di depressione, mi si avvicinarono due uomini, uno dei quali mi chiamò per nome.

 

Mi erano del tutto sconosciuti: ma i loro modi, mentre mi si avvicinavano, non tradivano la minima esitazione; e nel loro aspetto non vi era nulla che indicasse che fossero qualcosa di diverso da due normali, giovani uomini d'affari. Poiché avevo tenuto conferenze a Los Angeles, ero apparso alla radio e alla televisione, e avevo ricevuto molte visite, nella mia casa di Palomar Gardens, da parte di parecchia gente venuta dalla città, essere abbordato da sconosciuti non era, per me, un'esperienza nuova.

 

Notai che tutti e due erano ben proporzionati. Uno era alto un po' più di un metro e ottantacinque e sembrava avere passato da poco i trent'anni. Aveva un colorito rubizzo, gli occhi di un castano molto scuro, con quella specie di luccichio che tradisce la gioia di vivere. Il suo sguardo era straordinariamente penetrante. Aveva i capelli neri, ondulati e tagliati secondo la nostra moda corrente. Indossava un abito marrone scuro, ma non portava cappello.

 

Il suo compagno era più giovane e più basso; giudicai che fosse alto un metro e settantacinque. Aveva un volto rotondo, fanciullesco, colorito chiaro e occhi di un azzurro-grigio. I suoi capelli, pure ondulati e tagliati secondo la nostra moda corrente, erano di un biondo molto chiaro. Indossava un abito grigio e non portava cappello. Mi chiamò per nome e mi sorrise.

 

Quando risposi al saluto, mi tese la mano, e quando la toccai, mi sentii invadere da una grande gioia.

 

Il segnale era lo stesso che mi era stato dato dall'uomo che avevo incontrato nel deserto quel memorabile 20 novembre 1952 (*). Compresi subito che quegli uomini non erano abitanti della Terra. Tuttavia, mi sentii interamente a mio agio mentre ci stringevamo la mano; il piú giovane disse: « Dovevamo incontrarci con lei. Ha tempo di venire con noi? ».

 

(*) L'incontro è descritto in I dischi volanti sono atterrati, cit., nella sezione della quale è autore lo stesso Adamski (N.d.C.).

 

Senza che una sola domanda, un solo dubbio prendesse forma nella mia mente, senza la minima apprensione, io risposi: « Mi affido completamente a voi ».            ashtar-sheran.org

 

Uscimmo insieme dall'albergo; io stavo in mezzo a loro. Un isolato piú a Nord, svoltammo in un parcheggio, dove c'era una macchina che li aspettava. Durante quel breve tragitto non avevano pronunciato neppure una parola, tuttavia io sapevo che quegli uomini erano veri amici. Non provavo l'impulso di domandare dove avevano intenzione di condurmi, e non mi sembrava affatto strano che non mi avessero fornito informazioni in proposito.

 

Un inserviente portò la macchina, e il più giovane dei mici compagni sedette al volante, facendomi cenno di prendere posto accanto a lui. L'altro sedette al nostro fianco, sullo strapuntino anteriore. La macchina era una berlina nera a quattro portiere, una Pontiac.

 

L'uomo che si era messo al volante sembrava sapere perfettamente dove doveva andare, e guidava con molta abilità. Non conoscevo bene tutte le nuove autostrade che partono da Los Angeles, quindi non avevo un'idea della direzione in cui ci eravamo avviati. Viaggiammo in silenzio, ed io mi accontentai di aspettare il momento in cui i miei compagni si sarebbero presentati ed avrebbero spiegato la ragione del nostro incontro.

 

Mi rendo perfettamente conto che un simile atteggiamento fiducioso potrebbe apparire normalmente assurdo, se si tiene presente il disordine e la delinquenza che oggi regnano nel mondo. Ma era l'atteggiamento adottato da uomini di altre civiltà alla presenza di uomini riconosciuti in possesso di una saggezza più grande. E' la consuetudine adottata anche dagli indiani d'America per mostrare rispetto e umiltà, pazienza e fede. Io lo comprendevo benissimo e mi comportavo di conseguenza, poiché nella presenza di quegli uomini io percepivo una potenza che mi faceva sentire come un bambino di fronte ad esseri dotati di grande saggezza e compassione.

 

Le luci e gli edifici si diradarono, quando lasciammo la periferia della città. Il più alto dei miei compagni parlò per la prima volta.

 

« E' stato molto paziente », mi disse. « Sappiamo che si sta domandando chi siamo e dove la stiamo portando ».

 

Ammisi che, in effetti, mi ero domandato proprio questo; ma aggiunsi che ero disposto ad aspettare che fossero pronti a darmi tali informazioni.

 

L'uomo che mi aveva parlato sorrise e indicò il guidatore.

 

« Lui viene dal pianeta che voi chiamate Marte. Io vengo da quello che chiamate Saturno ».

 

La sua voce era sommessa, gradevole, e il suo inglese era perfetto. Avevo notato che anche il più giovane parlava sommessamente, benché la sua voce avesse un tono più acuto. Mi domandai come e dove avevano imparato a parlare cosi bene la nostra lingua.

 

Mentre quel pensiero mi attraversava la mente, venne immediatamente percepito. Il marziano parlò, per la prima volta da quando ci eravamo incontrati nell'atrio dell'albergo.

 

« Noi siamo quelli che voi, sulla Terra, potreste chiamare "Specialisti dei Contatti". Viviamo e operiamo qui perché, come lei sa, sulla Terra è necessario guadagnarsi il denaro per acquistare abiti, cibo, e le molte cose che la gente ritiene necessarie. Ormai viviamo da molti anni su questo pianeta. All'inizio, avevamo un leggero accento, ma ormai lo abbiamo eliminato e, come può vedere, tutti ci scambiano per terrestri.

 

« Nel nostro lavoro e durante le ore libere ci mescoliamo agli abitanti della Terra, senza mai lasciar capire che siamo abitanti di altri mondi. Come ben sa, potrebbe essere pericoloso. Vi comprendiamo meglio di quanto, in generale, vi comprendiate voi stessi, e vediamo con molta chiarezza le ragioni di molte delle condizioni di infelicità in cui vi trovate.

 

« Sappiamo perfettamente che lei stesso ha dovuto affrontare il ridicolo e critiche spietate perché ha proclamato la realtà della vita umana su altri pianeti, che i vostri scienziati considerano inadatti ad ospitare la vita. Quindi può bene immaginare che cosa capiterebbe a noi se lasciassimo intuire che le nostre patrie si trovano su altri pianeti! Se affermassimo questa semplice verità, se dicessimo che siamo venuti sulla vostra Terra per lavorare e per imparare, cosi come alcuni di voi si recano a vivere e a studiare in altre nazioni... ci considererebbero pazzi.

 

« Ci è permesso di fare brevi visite ai nostri pianeti d'origine: anche a noi, come a voi, fa piacere cambiare aria e rivedere i vecchi amici. Naturalmente, è necessario fare coincidere queste assenze con le vacanze, o magari anche con un week-end, in modo che coloro che frequentiamo qui sulla Terra non si accorgano che siamo scomparsi ».

 

Non domandai se i miei compagni era sposati e avevano famiglia qui, sul nostro pianeta, ma ebbi l'impressione che non fosse cosí. Per qualche minuto si ristabilí il silenzio, mentre io pensavo alle notizie che mi avevano comunicato. Mi accorsi che mi stavo chiedendo perché mai proprio io ero stato prescelto per ricevere la loro amicizia e queste informazioni. Qualunque fosse la ragione, io mi sentivo molto umile e molto riconoscente.

 

Mentre stavo pensando a tutto questo, il saturniano mi disse gentilmente: « Lei non è né il primo né il solo uomo di questo pianeta con cui abbiamo parlato. Ve ne sono molti altri, abitanti in diverse parti della Terra, con i quali ci siamo messi in contatto. Alcuni che hanno osato parlare delle loro esperienze sono stati perseguitati... alcuni sono stati anzi perseguitati "a morte", come dite voi. Di conseguenza, molti hanno preferito mantenere il silenzio. Ma quando il libro al quale lei sta lavorando attualmente raggiungerà il pubblico, la storia del suo primo contatto nel deserto con il nostro Fratello venuto dal pianeta da voi chiamato Venere incoraggerà altri di molti Paesi a scriverle le loro esperienze » (*).

 

(*) La verità di questa predizione venne dimostrata dopo la pubblicazione di Flying Saucers Have Landed (N.d.C.).

 

Io provavo non soltanto un forte senso di fiducia in questi nuovi amici, ma anche la sensazione soverchiante che in realtà noi non fossimo estranei l'uno agli altri. Provavo inoltre la profonda convinzione che quegli uomini potessero rispondere a tutte le domande e risolvere tutti i problemi relativi al nostro mondo; persino compiere azioni impossibili ai terrestri, se l'avessero ritenuto necessario ed in armonia con la missione che erano venuti a compiere.

 

Procedemmo per molto tempo sulle autostrade, all'incirca per un'ora e mezzo. Non avevo ancora la piú vaga idea della direzione in cui ci stavamo avviando; mi ero semplicemente accorto che eravamo entrati in una zona deserta. Era troppo buio perché potessi osservare i particolari. La mia mente era tuttora assorbita nel riconsiderare ciò che mi avevano detto, e, come ho già osservato prima, non facemmo molta conversazione.

 

Venni strappato alle mie meditazioni quando, all'improv-viso, abbandonammo l'autostrada per addentrarci su di una strada stretta, dal fondo sconnesso. Il marziano disse: « Abbiamo una sorpresa per lei! ».

 

Non incontrammo macchine su quella strada che continuammo a percorrere per circa quindici minuti. Poi, con crescente eccitazione, vidi in distanza l'oggetto che stava al suolo, e che irradiava una dolce luce bianca. Ci fermammo ad una quindicina di metri di distanza. Calcolai che fosse alto da cinque a sei metri e notai che era straordinariamente simile al Disco Volante, o Ricognitore, del mio primo incontro, che avevo visto circa tre mesi prima.

 

Quando ci fermammo, mi accorsi che accanto all'apparecchio luminoso stava ritto un uomo. Quando fummo scesi dalla macchina, i miei compagni lanciarono un grido di saluto. L'uomo che era uscito dal Ricognitore sembrava impegnato a lavorare su qualcosa. Ci avviammo tutti e tre verso di lui e, con mia grande gioia, riconobbi il mio amico del primo contatto: l'uomo di Venere!

 

Indossava un'uniforme dello stesso tipo di quella che aveva indosso in quella prima occasione: ma questa era marrone chiaro, con strisce arancioni sopra e sotto la cintura.

 

Il suo sorriso radioso mi dimostrò che condivideva la mia felicità per quel nuovo incontro. Dopo che ci fummo scambiati i saluti, mi disse: « Mentre stavamo scendendo, si è avariato un pezzo di questa nave, cosí ne stavo preparando un altro, in attesa del vostro arrivo ».

 

Guardai incuriosito, mentre l'uomo vuotava sulla sabbia il contenuto di un piccolo crogiuolo. « Il tempo è stato calcolato perfettamente », disse lui. « Stavo proprio completando l'installazione quando siete arrivati ».

 

All'improvviso mi accorsi che stava parlando inglese, con un accento lievissimo, mentre nel corso del nostro primo incontro mi era sembrato che non fosse capace di parlare la nostra lingua. Sperai che mi spiegasse quel fatto, ma poiché non ne parlò, mi astenni dal fargli domande in proposito.

 

Invece mi chinai e toccai, cautamente, quello che mi sembrava un mucchietto di metallo fuso, e che il venusiano aveva appena rovesciato. Sebbene fosse ancora caldo, non lo era tanto da impedirmi di prenderlo in mano; lo avvolsi accuratamente nel mio fazzoletto, e lo riposi nella tasca interna della mia giacca. Quel pezzetto di metallo è ancora oggi in mio possesso.

 

Per quanto i miei compagni ridessero di quel mio gesto, nella loro allegria non vi era traccia di sarcasmo. Benché probabilmente conoscesse già la risposta, il venusiano mi domandò: « Perché lo vuole? ».

 

Gli spiegai che speravo che quell'oggetto potesse costituire una prova della realtà della loro visita, e dissi che di solito la gente chiedeva « prove concrete » per dimostrare che io non mi inventavo tutto, quando parlavo del mio primo incontro con lui.

 

Sempre sorridendo, mi rispose: « Sí: e voi siete una razza di cacciatori di ricordi, non è vero? Comunque, vedrà che questa lega contiene gli stessi metalli che si trovano sulla Terra, poiché sono più o meno uguali su tutti i pianeti ».

 

Ritengo che questo sia il momento più opportuno per chiarire ai miei lettori che nessuna delle persone venute da altri mondi con le quali mi incontrai mi diede il proprio nome, almeno cosí come noi intendiamo i nomi. Me ne fu spiegata la ragione, ma non posso riferirla dettagliatamente in questa sede. Basti dire che non c'è niente di misterioso; vi è piuttosto una concezione completamente diversa dei nomi, rispetto alla nostra.

 

Benché questa carenza di nomi non creasse il minimo imbarazzo nei miei incontri con questi nuovi amici, mi rendo conto che potrebbe crearlo per il lettore, specialmente nell'ultima parte del libro, in cui i contatti si fanno più numerosi. Perciò, siccome su questo mondo noi ci serviamo dei nomi, li indicherò.

 

Benché desideri precisare con la massima chiarezza che i nomi da me indicati per questi nuovi amici non sono i loro nomi esatti, devo aggiungere che ho ottime ragioni per averli scelti, e che non sono privi di significato, in rapporto a coloro che li portano nelle pagine del mio libro.

 

Chiamo Firkon il marziano. Il saturniano è Ramu. E il venusiano lo chiamerò Orthon.

 

 


(2)

 

A bordo di un Ricognitore venusiano

 

 

Poco dopo il nostro arrivo, Orthon si volse e sali a bordo della nave, facendomi cenno di seguirlo. Firkon e Ramu lo seguirono immediatamente. Come ho già detto, il Ricognitore poggiava saldamente sul terreno, e bastava un passo per salire a bordo.

 

Sebbene quando ci eravamo avvicinati al Ricognitore in attesa io immaginassi qualcosa del genere, ora che mi trovavo effettivamente a bordo, ero pieno di una gioia indescrivibile. Quando diedi una prima rapida occhiata intorno, mi chiesi se avessero soltanto l'intenzione di mostrarmi l'interno di uno dei Ricognitori o se — quasi non osavo sperarlo — intendessero veramente condurmi a fare un viaggio nello spazio...

 

Entrammo direttamente nella cabina, passando per una porta abbastanza grande per permettere a Ramu, il saturniano, che era il piú alto di tutti, di passare senza chinarsi. Quando Ramu, che fu l'ultimo ad entrare, pose piede nella cabina, la porta si chiuse silenziosamente. Avvertii un ronzio lievissimo che sembrava provenire tanto dal pavimento quanto da una pesante spirale che pareva incorporata nella sommità della parete circolare. Nel momento in cui incominciò il ronzio, la spirale prese a risplendere di una fulgida luce rossa, ma senza emettere calore. Ricordai che avevo notato una spirale luminosa come quella sul Ricognitore del mio primo contatto: però, in quell'occasione, aveva irradiato luci di colori diversi, rossa, azzurra e verde, come un prisma che lampeggiasse al sole.

 

Non sapevo che cosa dovevo guardare per prima cosa. Mi meravigliai nuovamente dall'abilità incredibile con cui erano riusciti a connettere i vari pezzi in modo che le giunture risultassero impercettibili. Come non ero riuscito a scoprire una traccia della porta d'ingresso nel Ricognitore del mio primo incontro, adesso non vi era piú segno della porta che si era chiusa dietro di noi; vedevo soltanto quella che mi sembrava una parete compatta.

 

Era sembrato che avvenisse tutto simultaneamente: la porta che si chiudeva, il ronzio sommesso simile a quello di uno sciame d'api, lo splendore della spirale e l'aumento di luce all'interno dell'apparecchio.

 

Era tutto cosí affascinante che fui costretto ad impormi un fermo autocontrollo, per potermi concentrare su di una cosa alla volta. Desideravo di poter lasciare quell'astronave con un'immagine chiara di ogni cosa, per poter offrire una descrizione lucida e precisa di quello che vedevo.

 

Calcolai che il diametro interno della cabina doveva essere approssimativamente di cinque metri e mezzo. C'era una colonna, del diametro di una sessantina di centimetri, che scendeva dalia sommità della cupola fino al centro del pavimento. In seguito, mi venne spiegato che quello era l'asse magnetico della nave, per mezzo del quale i suoi operatori attiravano le forze della Natura, sfruttandole come mezzo di propulsione; tuttavia non mi dissero esattamente in che modo veniva fatto tutto questo.

 

« L'estremità superiore dell'asse », mi indicò Firkon, « è normalmente positiva, mentre la parte inferiore, che come noterà passa attraverso il pavimento, è invece negativa. Tuttavia, quando è necessario, i poli possono venire invertiti: è sufficiente premere un pulsante ».

 

Notai che un'area di almeno un metro e ottanta, al centro del pavimento, era occupata da una lente rotonda, trasparentis-sima, attraverso la quale passava l'asse magnetico. Ai lati di questa lente enorme, proprio vicino all'orlo, vi erano due seggiolini, piccoli ma comodi, incurvati in modo da seguirne la circonferenza. Venni invitato a sedermi su uno di essi, e Firkon sedette su quello di fronte, mentre Orthon si portava ai pannelli dei comandi. I pannelli erano situati contro la parete esterna, tra le due panche, proprio di fronte alla porta, ora invisibile, da cui eravamo saliti a bordo del Ricognitore.

 

Quando ci fummo seduti, una sottile sbarra flessibile scattò al suo posto, all'altezza della nostra cintura. La sbarra era composta o almeno ricoperta di una specie di sostanza morbida come la gomma. La sua funzione era evidente: si trattava di un semplice strumento di sicurezza per impedire ai passeggeri di cadere in avanti o di perdere l'equilibrio.

 

Firkon spiegò: « Quando una nave scende a terra, e poi riparte interrompendo il contatto, si può avvertire un brusco scossone. Benché non capiti molto spesso, preferiamo essere sempre preparati ». Sorrise e aggiunse: « Si tratta dello stesso principio sul quale sono basate le cinture di sicurezza dei vostri aerei ».

 

Era ancora molto difficile riuscire a credere che stesse capitando proprio a me un'avventura tanto meravigliosa. Fin dal mio primo incontro con il venusiano, dopo che lui se ne era andato e che in me era rimasto un indicibile senso di desolazione ed il desiderio di andare con lui, avevo sperato e sognato che un giorno mi potesse toccare un simile privilegio. Ora, poiché appariva evidente che ci stavamo preparando a un viaggio nello spazio, faticavo a frenare la mia gioia. Continuavo a ripetermi che dovevo fissarmi nella memoria tutto ciò che avrei visto e appreso, per poter condividere la mia esperienza con altri, sia pure in modo inadeguato.

 

« Questa nave », continuò Firkon, « è stata costruita per un equipaggio di due persone, al massimo tre. Tuttavia, in un caso di emergenza, può prendere a bordo, senza pericoli, un numero di passeggeri molto maggiore. Ma non accade spesso che questo sia necessario ».

 

Non mi forni ulteriori spiegazioni e io mi chiesi se, per « emergenza », intendesse una missione di salvataggio, nel caso che un altro Ricognitore si trovasse in difficoltà. Ero cosí colpito dalla visione diretta dei risultati sbalorditivi delle loro cognizioni scientifiche che mi era quasi completamente impossibile immaginare un loro qualsiasi insuccesso. Dovetti ricordare a me stesso che, in fondo, anche loro erano esseri umani e che, per quanto fossero progrediti assai piú di noi, dovevano essere ancora soggetti ad errori e vicissitudini.

 

Rivolsi la mia attenzione sui grafici e sui diagrammi che coprivano la parete, per circa un metro, sui due lati della porta che non riuscivo più a scorgere, e che si stendevano dal pavimento al soffitto. Erano qualcosa di affascinante, di completamente diverso da tutto ciò che avevo avuto occasione di vedere sulla Terra, e cercai di immaginare quale fosse la loro funzione. Non c'erano aghi né quadranti, ma lampi di colore e di intensità variabili. Alcuni erano linee colorate che si muovevano su di un particolare diagramma; alcuni si muovevano in su e in giù, altri a zig-zag, mentre altri ancora assumevano le forme di diverse figure geometriche. Non mi vennero spiegati né il loro significato né le loro funzioni, e penso che non li avrei neppure compresi; notai, tuttavia, che i miei tre compagni seguivano con grande attenzione i cambiamenti che si stavano verificando. Ebbi l'impressione che quegli strumenti indicassero, tra le altre cose, la direzione del volo, l'approssimarsi di qualunque altro oggetto e le condizioni dell'atmosfera e dello spazio.

 

Per una distanza di circa tre metri, direttamente dietro alle panche su cui eravamo seduti, la parete sembrava massiccia e liscia, mentre il tratto che si trovava di fronte al punto dal quale eravamo entrati mostrava altri diagrammi abbastanza simili, che tuttavia differivano in certi particolari che ho descritto più sopra. Il cruscotto dei comandi del pilota era ben diverso da come lo avrei potuto immaginare. Il paragone più calzante che riesco a trovare è questo: era abbastanza simile alla tastiera di un organo. Tuttavia, al posto dei tasti e degli interruttori, vi erano file di pulsanti. Piccole luci splendevano direttamente su queste file; erano collocate in modo che ognuna di esse illuminava cinque bottoni alla volta. A quanto riesco a ricordare, le file di pulsanti erano sei, e ciascuna di esse era lunga all'incirca un metro e ottanta.

 

Di fronte a questa specie di tastiera c'era un sediolo, molto simile alle panche sulle quali stavamo noi. Molto vicino al sediolo, collocato in modo da essere a portata del pilota, vi era un curioso strumento collegato direttamente all'asse magnetico centrale.

 

Firkon confermò la mia tacita intuizione circa il suo uso, dicendomi: « Sí, è proprio un periscopio, abbastanza simile a quelli usati dai vostri sommergibili ».

 

Mentre osservavo le luci che sfrecciavano sui diagrammi e sui grafici della parete, e che ora crescevano, ora diminuivano di intensità, compresi chiaramente perché viene riferito tanto spesso che queste navi traslucide cambiano colore mentre volano nei nostri cieli. Ma vi sono anche altri fattori che contribuiscono a determinare tali risultato. Molti dei cambiamenti di colore e gli aloni luminosi che spesso circondano i Dischi Volanti sono il risultato delle intensità diverse dell'energia che si irradia nell'atmosfera e che rende luminosa quella che circonda direttamente la nave, in seguito ad un processo piuttosto affine alla ionizzazione.

 

All'interno di quell'apparecchio non vi era neppure un angolo buio. Non riuscii a comprendere da dove provenisse la luce: sembrava permeare ogni cavità, ogni angolo, con una lucentezza sommessa e gradevole. E' impossibile descrivere esattamente quella luce. Non era bianca, non era azzurra, non era di nessuno degli altri colori che potrei nominare. Sembrava consistere, piuttosto, di un dolce miscuglio di tutti i colori, anche se qualche volta avevo l'impressione che predominasse l'uno o l'altro.

 

Ero cosí assorto nel tentativo di risolvere quel mistero, e nello stesso tempo nel cercare di vedere e di assorbire tutti i dettagli di quel piccolo apparecchio sorprendente, che non mi accorsi neppure che avevamo decollato, benché avvertissi all'improvviso una lieve sensazione di movimento. Ma non provai affatto la sensazione di accelerazioni enormi, né di cambiamenti nella pressione e nell'altezza, come sarebbe avvenuto a bordo di uno dei nostri aerei che volasse ad una velocità anche inferiore alla metà di quella del Disco. Non si erano neppure avvertite scosse quando avevamo perduto il contatto con il terreno. Avevo un'impressione di enorme solidità e di scioltezza, e avvertivo il movimento poco piú di quanto si avverta la velocità della Terra, che pure ruota su se stessa, girando attorno al sole a ben diciotto miglia e mezzo al secondo. Anche altre persone che hanno avuto il privilegio di viaggiare a bordo dei Dischi Volanti sono state molto colpite dalla stessa sensazione di movimento... o meglio, dalla sua assenza pressoché totale. Ma rimane il fatto che, preso dallo spettacolo di tante meraviglie, soltanto molto più tardi, quando fui ritornato nuovamente sulla Terra e riconsiderai mentalmente le mie esperienze di quella notte, potei incominciare ad analizzarle.

 

La mia attenzione venne attratta dalla grande lente che stava ai miei piedi, e ai miei occhi si offri uno spettacolo sbalorditivo! Sembrava che sfiorassimo i tetti di una cittadina: riuscii ad identificare gli oggetti, come se ci trovassimo a non piú di una trentina di metri dal suolo. Mi fu spiegato che in realtà ci trovavamo ad una quota di tre chilometri abbondanti, e continuavamo a salire: tuttavia quello strumento ottico aveva un tale potere d'ingrandimento che si potevano individuare ed esaminare le persone, se si voleva, anche quando il Disco Volante si trovava, fuori di vista, ad un'altezza di parecchi chilometri.

 

« La colonna centrale dell'asse magnetico ha una duplice funzione », mi spiegò il mio compagno. « Oltre a fornire gran parte dell'energia necessaria per il volo, funge anche da telescopio potentissimo, con una estremità che passa attraverso la cupola e punta verso il cielo, e l'altra che passa dal pavimento per osservare la terra sottostante. Le immagini vi vengono proiettate dalle due grandi lenti che si trovano nel pavimento e nel soffitto, come può vedere lei stesso ».

 

Non mi spiegò se questo avveniva grazie ad apparecchi elettronici o mediante qualche altro procedimento. L'ingrandimento si poteva variare a volontà, e ritengo che si trattasse di qualcosa di molto piú complesso del semplice sistema ottico conosciuto sulla nostra Terra.

 

Sollevai lo sguardo in direzione della cupola traslucida. Le stelle mi erano sembrate sempre tanto vicine da poterle toccare, nell'aria limpida della mia residenza di montagna: ma vedute attraverso la lente inserita nel soffitto sembravano letteralmente sopra di noi. Mentre osservavo alternativamente le meraviglie del cielo e il rapido passaggio della Terra sotto di noi, notai quattro cavi che sembravano scorrere all'interno della lente inserita nel pavimento, o immediatamente al di sotto di questa, unendosi alla colonna centrale e formando una croce.

 

Il marziano, notando che il mio interesse aveva cambiato oggetto, mi spiegò: « Tre di quei cavi trasportano l'energia dalla colonna magnetica alle tre sfere che si trovano sotto la nave e che, come lei ha già visto, vengono usate talvolta come supporto negli atterraggi. Le sfere sono cave, e benché possano venire abbassate in caso di atterraggi di emergenza e ritirate durante il volo, la loro funzione più importante è quella di agire come condensatori dell'elettricità statica che proviene dalla colonna magnetica. E' un'energia presente in tutto l'Universo. Una delle sue manifestazioni naturali, ma concentrate, è il fulmine.

 

« Il quarto cavo », prosegui poi, « si estende dalla colonna fino ai due strumenti simili a periscopi, uno accanto al sediolo del pilota e l'altro direttamente dietro a questo sediolo, ma vicino all'orlo della lente centrale, come lei può vedere. Tali strumenti sono, in pratica, estensioni del sistema ottico principale e permettono al pilota di vedere tutto quello che succede, senza lasciare il suo posto. Possono venire accesi e spenti, e regolati a piacere, in modo che entrambi i membri dell'equipaggio-tipo possano servirsi del telescopio senza intralciarsi a vicenda ».

 

Tutti i macchinari erano sistemati sotto al pavimento di quella cabina in cui mi trovavo, e sotto la flangia esterna, come si vede chiaramente nella fotografia del Ricognitore (*). Non vidi nessuno di questi macchinari, tuttavia venni fatto entrare in un locale piccolissimo che serviva tanto da ingresso al compartimento macchine quanto da officina per le riparazioni di emergenza. C'era una piccola forgia e alcuni armadietti che, a quanto intuii, dovevano contenere gli utensili ed il materiale indispensabile.

 

(*) La fotografia alla quale si allude è riprodotta in questo libro alla Tavola 1 (N.d.C.).

 

Mentre stavo guardando in questo locale attraverso la porta, il nostro pilota disse: « Prepararsi all'atterraggio. Siamo vicini alla nostra nave-madre ».

 

Non riuscivo a crederlo. Mi pareva che fossero trascorsi solamente pochi minuti da quando eravamo saliti a bordo del Ricognitore.

 

Fino a un istante prima, la parete dietro alla panca su cui eravamo seduti era apparsa compatta: ma adesso, incominciava ad apparirvi un'apertura rotonda! Osservai, sbalordito, mentre continuava ad aprirsi come l'otturatore di una macchina fotografica. In pochissimo tempo, apparve un oblò dal diametro di una cinquantina di centimetri. Questo spiegava gli oblò che si scorgevano nelle mie fotografie dei Dischi Volanti, e dei quali, fino a quel momento, non avevo visto la minima traccia. Come la porta dalla quale eravamo saliti a bordo, le loro coperture aderivano in modo perfetto, tanto da essere inidentificabili quando erano chiuse. Ricordando ciò che si vedeva nelle mie fotografie,

 

pensai che dovevano esservi quattro oblò da ogni parte, per un totale di otto oblò.

 

« E' esatto », annuí Orthon, in segno di conferma. « E basta toccare un pulsante per aprirli tutti oppure uno per uno... e ovviamente, si chiudono allo stesso modo ».

 

Quando il pilota ci avverti che stavamo per atterrare, il marziano disse: « Credo che questo ľinteresserà! ».

 

Alla prospettiva di atterrare in una astronave-madre, la mia emozione crebbe al punto di diventare indescrivibile. Cercando, a fatica, di darmi un contegno, mi chiesi dove si trovasse l'astronave-madre, e in che modo saremmo atterrati.

 

Subito Orthon rispose a entrambe le domande, che pure non avevo formulato.

 

« E' la stessa astronave-madre che sgomentò lei ed i suoi compagni nel deserto, Panno scorso, in occasione del nostro primo incontro. Ci ha aspettato quassú, ed al momento si trova a circa dodicimila metri di altezza dalla superficie della Terra. Stia a guardare e vedrà in che modo queste nostre piccole navi atterrano ed entrano nelle astronavi-madre ».

 

Guardai dagli oblò, affascinato. Là, sotto di noi, riuscii a distinguere una gigantesca ombra nera, immobile. Quando ci avvicinammo, la sua massa enorme sembrò estendersi, fino a perdita d'occhio, e io potei scorgere i suoi fianchi immensi che si incurvavano verso l'esterno e verso il basso. Lentamente, molto lentamente, ci avvicinammo, fino a quando ci trovammo proprio al di sopra dell'astronave-madre. Non rimasi troppo sbalordito quando il mio compagno mi disse che aveva un diametro di cinquanta metri ed una lunghezza molto prossima ai trecento metri.

 

Lo spettacolo di quella gigantesca astronave-madre a forma di sigaro, librata immobile nella stratosfera, non potrà mai svanire dalla mia memoria.

 

 


(3)

 

L'astronave-madre venusiana

 

 

Il nostro minuscolo apparecchio scivolò verso la sommità dell'astronave-madre, in modo molto simile a quello in cui un aereo si appresta ad appontare su di una portaerei. Mentre osservavo, apparve un'apertura, una botola incurvata, che mi fece pensare ad una enorme balena che spalancasse la bocca. Coloro che hanno visto le fotografie di questa astronave ricorderanno che ha un muso tozzo, leggermente incurvato verso il basso (*). La botola era situata all'estremità del corpo cilindrico, immediatamente prima che avesse inizio la curvatura del muso. Scendemmo, e il Ricognitore entrò nella botola, inclinandosi verso il basso, per incominciare il percorso all'interno di quella nave possente. Fu allora che, per la prima volta, avvertii una sensazione di caduta, alla bocca dello stomaco. Immagino che questo avvenisse perché il Disco Volante non utilizzava più la propria energia, ma era soggetto alla gravità dell'astronave-madre.

 

(*) Vedere le illustrazioni 3 e 10 e le foto 5, 6, 7 e 8 di questo stesso volume (N.d.C.).

 

Scendemmo ad un angolo non troppo ripido; la flangia del Ricognitore scorreva su due binari, lentamente e senza scosse, e la sua velocità di discesa era controllata dall'attrito e dal magnetismo della flangia. Scoprii che Orthon dirigeva completamente il movimento, perché una volta io persi quasi l'equilibrio, e lui fermò per qualche istante l'apparecchio, per permettermi di recuperarlo. Poi il moto di discesa lento e agevole continuò, fino a quando avemmo raggiunto una posizione che io giudicai a metà strada tra la parte superiore e quella inferiore dell'astronave-madre. A questo punto il Ricognitore si fermò, e immediatamente la porta si apri.                angels-light.org

 

Vidi un uomo all'esterno; stava ritto su di una piattaforma lunga circa cinque metri e larga due. Teneva in mano qualcosa che sembrava un grosso morsetto metallico fissato ad un cavo. Non era molto alto, all'inarca un metro e sessantacinque, e notai che aveva una carnagione piú scura di tutti gli altri esponenti del popolo dello spazio che avevo veduto fino a quel momento. Indossava una tuta simile per colore e per taglio a quella che Orthon portava in occasione del nostro primo incontro. Sotto il berretto scuro spuntavano i capelli neri.

 

Firkon uscí per primo dal Ricognitore, io lo seguii e Ramu venne dopo di me; Orthon uscí per ultimo. L'uomo dal berretto sorrise e rivolse un cenno di saluto a ciascuno di noi, mentre scendevamo dalla piattaforma, ma non venne scambiata neppure una parola.

 

Da quella piattaforma, una scala di una dozzina di gradini portava ad uno dei ponti dell'enorme astronave. Mentre scendevo, ebbi la possibilità di osservare che il nostro Ricognitore si era fermato immediatamente prima di incrociare uno scambio dei binari. Una coppia di binari proseguiva all'interno della nave, e scendeva, incurvandosi e scomparendo alla vista. In mezzo vi era uno spazio scuro, che impediva di vedere che cosa c'era piú sotto. L'altra coppia di binari continuava diritta, oltre lo scambio davanti al quale si era fermato il Ricognitore, e correva verso poppa, in direzione di un enorme hangar o ponte sul quale potei vedere parecchi altri Ricognitori identici, allineati sui binari.

 

« Quello è l'hangar nel quale vengono trasportati gli apparecchi durante i voli interplanetari », mi spiegò Firkon, fermandosi per un istante sullo scalino, accanto me. « Se dovessimo dirigerci subito verso un altro pianeta, il nostro Ricognitore si sarebbe fermato alla piattaforma solo per il tempo necessario per farci scendere. Poi sarebbe passato sullo scambio, e si sarebbe diretto verso il suo posto, nel grande hangar. Ma poiché piú tardi ritorneremo sulla Terra, il Ricognitore deve venire ricaricato a quella piattaforma ».

 

Mi voltai indietro a guardare e vidi che l'uomo sulla piattaforma aveva già infilato il morsetto collegato al cavo al di sopra della flangia del Ricognitore, in modo che fosse in contatto tanto con la flangia stessa quanto con la sottostante ringhiera.

 

Non ho idea del perché di quella operazione di ricarica: a me quel morsetto sembrava perfettamente identico ai comuni, grossi morsetti da meccanico che vengono usati sulla Terra. Non riuscii neppure a vedere a che cosa fosse collegata l'altra estremità del cavo. Forse il contatto fra morsetto e ringhiera era necessario per completare il circuito; o per quello che ne so io, poteva darsi che il morsetto fosse stato fissato a una terminazione invisibile, al di sotto dell'orlo del Ricognitore. Non volli causare ulteriore ritardo facendo domande in proposito.

 

Per quanto non rispondesse direttamente alla domanda che aveva preso forma nella mia mente, Firkon mi disse, spontaneamente: « Questi apparecchi piú piccoli non sono in grado di generare direttamente una grande quantità di energia, e compiono soltanto viaggi relativamente brevi, partendo dalle astronavi-madre, prima di ritornare a ricaricarsi. Vengono impiegati per una specie di servizio di spola fra le grandi navi e i punti di contatto o d'osservazione, e per ricaricarsi devono sempre dipendere dall'impianto dell'astronave-madre ».

 

Discesi i gradini, entrammo in una grande sala comando, che aveva forma rettangolare ma gli angoli arrotondati. Direi che la sala misurava circa undici metri per quattordici, ed era alta una dozzina di metri. Non considerando le aperture delle due porte, le pareti erano interamente ricoperte da grafici e da diagrammi colorati, simili a quelli che avevo visto a bordo del Ricognitore: solo, erano piú grandi e più numerosi.

 

Su tutti e quattro i lati della sala si estendevano varie file di piattaforme, lungo le quali si potevano osservare e studiare numerosi strumenti. Sulla piattaforma più alta c'era un telescopio, e un altro stava sulla piattaforma più bassa. Da entrambi partivano collegamenti elettronici che si estendevano a molti strumenti in molte altre parti dell'astronave: mi fu detto che in tal modo era possibile usare quei due telescopi dai vari locali della nave.

 

Nella sala vi era inoltre uno strumento-robot, che mi venne chiesto di non descrivere. Avevo notato una versione miniaturizzata di questo robot a bordo del Ricognitore. Nella sala comando c'erano anche diversi macchinari: e nessuno, a quanto mi fu possibile osservare, era dotato di parti mobili.

 

Mi sarebbe piaciuto moltissimo fermarmi in quella sala per osservare piú minuziosamente grafici, diagrammi, colori, macchine e strumenti, ed ottenere il permesso di formulare domande circa il loro funzionamento: ma questo privilegio non mi venne accordato. Invece, attraversammo direttamente la sala-comando e passammo da una seconda porta, che conduceva nel più bel salone, o soggiorno, che avessi mai visto in vita mia. La sua semplicità e il suo splendore mi tolsero il respiro: rimasi a bocca aperta, arrestandomi per un attimo sulla soglia, preso da meraviglia non soltanto alla vista della ricchezza dell'arredamento, ma anche dall'armonia meravigliosa che se ne irradiava.

 

Non saprei dire quanto tempo mi occorse per riprendermi da quell'esperienza inaspettata: ma alla fine riuscii a guardarmi intorno, con un interesse più vivo per i particolari.

 

Giudicai che il soffitto fosse alto all'incirca cinque metri, e la sala non poteva essere meno di dodici metri per dodici. Una dolce, misteriosa luce bianco-azzurra la riempiva: tuttavia non vidi lampadari, e la luminosità appariva costante.

 

Poi, mentre varcavo la soglia ed entravo in quella sala lussuosa, la mia attenzione venne immediatamente attratta da due giovani donne, incredibilmente belle, che si alzarono da uno dei divani e ci vennero incontro.

 

Per me fu una sorpresa grandissima perché, per qualche ragione, non avevo mai pensato che esistessero anche viaggiatrici spaziali. La loro presenza e la loro bellezza straordinaria, l'amicizia con la quale vennero ad accoglierci, insieme allo sfondo lussuoso di quella nave extraterrestre, mi sbalordirono.

 

La meno alta delle due donne mi toccò la mano nel saluto convenzionale, poi si allontanò immediatamente e si diresse verso un'altra parte della sala. Allora la donna più alta, e in apparenza anche più giovane, si tese in avanti, e mi sfiorò lievemente la guancia con le labbra. La prima bellissima donna ritornò reggendo un minuscolo bicchiere di liquido incolore, e me lo porse.

 

Profondamente commosso dalla calda amicizia manifestatami, la ringraziai e presi il bicchiere. L'acqua (poiché era appunto acqua) aveva il sapore della nostra acqua di fonte piú pura. Tuttavia sembrava leggermente più densa, con una consistenza piuttosto simile a quella di un olio molto fluido. Mentre la sorseggiavo, cercai di riprendere il controllo, e di imprimermi indelebilmente nella memoria l'aspetto di quelle giovani donne tanto belle e graziose.

 

Quella che mi aveva offerto l'acqua era alta all'incirca un metro e sessantatré. Aveva la pelle chiarissima, ed i suoi capelli d'oro scendevano, ondulati, poco più giù delle spalle, in armoniosa simmetria. Anche nei suoi occhi predominava un colore dorato; avevano un'espressione che era dolce e gaia nello stesso tempo. Ebbi la sensazione che stesse leggendo ogni mio pensiero. La sua pelle quasi trasparente era perfetta, squisitamente delicata, sebbene salda e ricca di una calda radiosità. I lineamenti erano cesellati con grande finezza, le orecchie minute, i denti piccoli e splendidamente regolari. Sembrava assai giovane: giudicai che non poteva avere passato da molto i venťanni. Notai che sia lei che la sua compagna non portavano trucco sul volto e sulle unghie. Tutte e due avevano le labbra di un rosso carico naturale. Non portavano gioielli di sorta: e per la verità qualunque ornamento sarebbe servito soltanto a sminuire la loro naturale bellezza.

 

Entrambe indossavano abiti drappeggiati di una stoffa simile al velo, che scendevano fino alle caviglie, e stretti alla vita da bellissime cinture di colori contrastanti, nelle quali sembrava fossero intessuti dei gioielli.

 

L'abito della ragazza bionda era di un celeste purissimo, e i suoi minuscoli sandali erano dorati. In seguito, venni a sapere che era cittadina del pianeta che noi chiamiamo Venere. La chiamerò Kalna.

 

Ilmuth — cosí chiamerò l'altra donna — era più alta, e di colorito bruno. Anche lei portava i capelli in una cascata che le giungeva poco più giù delle spalle: erano neri, bellissimi, ondulati, con sfumature marrone rossiccio. I suoi grandi occhi erano neri, luminosi, con lampi castano scuro: avevano la stessa espressione gaia degli occhi della sua compagna, e io ebbi la sensazione che anche lei potesse leggere i miei pensieri più profondi. Anzi, ho avuto questa impressione per quanto riguarda tutte le persone di altri mondi da me incontrate. La veste di questa incantevole bruna era di un intenso verde chiaro, e i sandali color rame. Ilmuth, come Firkon, era un'abitante del pianeta Marte.

 

Mi rendo perfettamente conto che, cercando di descrivere queste donne venute da altri mondi, io sto tentando l'impossibile. Forse, usando come punto di partenza la mia descrizione inadeguata, il lettore potrà frugare nella propria mente alla ricerca di un'immagine di perfetta bellezza: e anche in questo caso, riuscirà ad avere solo una pallida idea della realtà.

 

Mentre terminavo di bere l'acqua, venni invitato a sedermi, e fui lieto di accettare quell'invito.

 

Sulla parete diametralmente opposta alla porta dalla quale eravamo entrati, era appeso un ritratto che — ne ebbi subito la certezza — doveva rappresentare la Divinità. L'emozione che la bellezza delle due giovani donne aveva suscitato in me venne momentaneamente dimenticata, quando la radiosità meravigliosa di quel ritratto mi pervase. Mostrava la testa e le spalle di un Essere che poteva avere da diciotto a venticinque anni, e nel cui volto era incarnato il perfetto equilibrio del maschile e del femminile, ed i cui occhi esprimevano una saggezza ed una compassione indescrivibili (*).

 

(*) Circa il simbolismo dell'Androgine (cui evidentemente, con parole sue, allude Adamski), vedi: Mircea Eliade, Mefistofele e l'Androgine, Roma, 1972; e anche Julius Evola, Metafisica del sesso (1958), Roma, 1994 (N.d.C.).

 

Non saprei dire per quanto tempo rimasi assorto, rapito nella contemplazione di quella bellezza. Non vi furono interruzioni, fino a quando io stesso non ritornai a rendermi conto di ciò che mi circondava.

 

Non ebbi bisogno di domandare chi fosse quell'Essere. Kalna ruppe il silenzio, dicendo: « Quello è il nostro simbolo della Vita Eterna. Lo troverà in tutte le nostre navi, come pure in tutte le nostre case. E' appunto perché teniamo sempre davanti a noi questo simbolo, che non osserverà segni di età avanzata nella nostra gente ».

 

Su di un lato della sala c'era un lungo tavolo, circondato da molte sedie. Ebbi l'impressione che l'equipaggio della nave se ne servisse per prendervi i pasti, e che venisse usato anche come tavolo per conferenze. Avevo l'impressione che i componenti l'equipaggio fossero piú di un centinaio, benché in quell'occasione ne avessi veduti soltanto pochi. Quest'impressione non ricevette conferma, ma ciò che pensavo di quel tavolo venne confermato da Firkon. Appresi inoltre che la sala serviva anche come soggiorno dall'equipaggio e dagli ospiti, quando i compo-

 

nenti dell'equipaggio non erano ai loro posti, durante i voli. Il resto del salone era arredato con divani, divanetti e poltrone di disegno e di grandezze molto diverse, piú o meno secondo la consuetudine terrestre. Ma questi erano più bassi e più comodi dei nostri, e più eleganti ed aggraziati di modello e di aspetto. Erano ricoperti di una stoffa morbida e pelosa, con un effetto di broccato. I colori erano diversi, ed estremamente gradevoli alla vista: ricchi, caldi e smorzati.

 

Oltre alle poltrone ed ai divani, c'erano bassi tavolini dal piano di vetro o di cristallo, con interessanti centrini ornamentali. Non vidi nulla, tuttavia, che assomigliasse sia pure vagamente a un portacenere. Mi resi conto, istintivamente, che quella gente non aveva il vizio del fumo, e lasciai in tasca le sigarette. Una volta, però, per pura forza d'abitudine, feci per prenderle. Osservando il mio gesto, la giovane donna di Venere sorrise e disse: « Può fumare, se vuole. Le troverò un ricettacolo per la cenere. Vede, solo i terrestri hanno questa strana abitudine! ».

 

Io la ringraziai e tornai a riporre il pacchetto in tasca senza prendere la sigaretta.

 

Per proseguire la mia descrizione: l'intero pavimento era ricoperto da un unico, lussuoso tappeto che si stendeva da una parete all'altra: era di un marrone di media intensità, perfettamente liscio, morbido e alto. Era delizioso camminarvi sopra.

 

Quando venimmo invitati a sederci, mi trovai su uno dei divani più lunghi, tra Firkon e Ramu. Proprio di fronte a me, ad una distanaza ideale per conversare, c'era un altro divano della stessa grandezza e della stessa forma. Li sedettero le due giovani donne, e Orthon prese posto in mezzo a loro. Io avevo ancora in mano il bicchiere d'acqua ormai vuoto, e lo posai sul tavolino basso che stava davanti a noi.

 

Mi interessava il materiale di cui era fatto il bicchiere. Era trasparente come il cristallo, senza disegni di alcun genere. Al tatto era diverso dal nostro vetro e dalla plastica. Non riuscii a immaginare di quale sostanza fosse fatto, ma ebbi l'impressione nettissima che fosse infrangibile.

 

Dopo avere notato gli elementi più caratteristici dell'arredamento, lasciai vagare il mio sguardo sulle pareti. Alla mia destra, osservai una porta grande e molto bella, leggermente socchiusa, senza maniglia e senza serratura. Kalna mi disse che conduceva in un magazzino, e aggiunse: « Spesso l'astronave rimane assente a lungo dal nostro pianeta patrio, quando noi viaggiamo e studiamo lo spazio. Non sempre facciamo sosta su altri pianeti, durante questi viaggi. Di conseguenza, dobbiamo disporre di magazzini, per tenervi le provviste e l'equipaggiamento. Quella porta che vede là, nella parete di fronte, identica a quella che conduce al magazzino, dà su una cucina ».

 

Quella porta si apriva nella zona della sala che ritenevo fosse usata come angolo-pranzo. Non venni condotto, comunque, in nessuno di quei locali.

 

Studiai con vivo interesse un grande quadro, vicino alla porta, appeso alla parete sulla mia destra. Mostrava una città che a prima vista sembrava poco differente da quelle della nostra Terra, a parte il fatto che la sua pianta era circolare, anziché essere organizzata in rigidi rettangoli, come sono abitualmente le nostre città. Ma l'architettura era enormemente diversa. Non saprei come descriverla, perché nessuno dei nostri numerosi stili architettonici vi si avvicina. C'era la perfezione della leggerezza elegante e della delicatezza che molti dei nostri moderni architetti si sforzano di raggiungere, ma non hanno mai ottenuto in modo completo. Era quel tipo di città di cui gli uomini sognano, ma che sulla nostra Terra non si vede mai. Avevo già indovinato, prima che me lo confermassero, che la città si trovava su Venere, il pianeta dal quale proveniva l'astronave.

 

Anche dall'altro lato della porta c'era un dipinto: una scena pastorale di colline e di montagne, con un fiume che scorreva in mezzo a terreni coltivati. Quella scena avrebbe potuto passare ancora più facilmente per una rappresentazione della Terra: ma le fattorie non erano sparse nella campagna a caso, e seguivano anch'esse una planimetria circolare. Mi fu detto che quella disposizione era stata giudicata più pratica, in quanto permetteva ai gruppi di fattorie di diventare piccole comunità autosufficienti, capaci di provvedere il necessario per gli abitanti delle campagne. Su Venere esiste una vera eguaglianza, sotto tutti i punti di vista, compresa l'organizzazione dei servizi. Le gite in città, quindi, vengono intraprese solo per piacere o per motivi personali.

 

Sulla parete opposta, dietro alla lunga tavola, notai una raffigurazione di una grande astronave-madre, e mi chiesi se rappresentava proprio quella in cui ci trovavamo. Ma, mentre questo pensiero mi passava nella mente, la giovane donna venusiana lo corresse, dicendo: « No, la nostra nave, in realtà, è molto più piccola. Quella è molto simile ad una vera città volante, più che ad una nave: è lunga parecchi chilometri, mentre la nostra non supera i seicento metri ».

 

Mi rendo perfettamente conto che i miei lettori, con ogni probabilità, giudicheranno incredibili queste dimensioni; e mi affretto a riconoscere che anch'io non ero preparato a un'idea tanto fantastica. Tuttavia è necessario ricordare che, non appena avremo imparato a dominare le grandi energie della natura, anziché dipendere dalle forze meccaniche, non dovrebbe essere più difficile costruire città entro navi gigantesche di quanto lo sia costruirle al suolo. Londra e Los Angeles sono città lunghe quasi sessanta chilometri, e furono costruite per la massima parte da macchine rozze e dalla mano d'opera umana: e anche questa è una realizzazione prodigiosa. Una volta dominata la gravità, anche per noi potranno diventare realtà le città dell'aria.

 

« Sono state costruite molte navi del genere », spiegò Kalna. « Non solo su Venere, ma anche su Marte e Saturno e su molti altri pianeti. Tuttavia, non sono destinate a venire usate soltanto da un determinato pianeta, ma hanno lo scopo di contribuire all'istruzione e al piacere di tutti i cittadini dell'intera fratellanza dell'Universo. Gli esseri umani, per natura, sono grandi esploratori. Perciò, nei nostri mondi viaggiare non è privilegio di pochi, ma il diritto di tutti. Ogni tre mesi un quarto degli abitanti dei nostri pianeti si imbarca su quelle navi gigantesche e intraprende una crociera nello spazio, fermandosi su altri pianeti, come i vostri transatlantici si fermano nei porti stranieri. In questo modo, la nostra gente impara a conoscere l'immenso Universo e può vedere con i propri occhi alcune delle "molte dimore" della casa del Padre di cui parla la vostra Bibbia ».

 

« Nei templi della saggezza, sui nostri pianeti, abbiamo molte apparecchiature meccaniche, per mezzo delle quali i nostri cittadini possono studiare le condizioni esistenti in altri mondi e in altri sistemi, e nello spazio stesso. Ma, da noi come da voi, nulla può sostituire l'esperienza diretta. Perciò abbiamo costruito flotte di navi gigantesche, come quella che vede rappresentata qui, e che potrebbero venire definite, alla lettera, piccoli pianeti artificiali. Contengono tutto ciò che è necessario al benessere ed al piacere di migliaia di persone per un periodo di tre mesi. A parte le dimensioni, la differenza principale consiste nel fatto che i pianeti hanno forma sferica, sono creati dalla divinità, e si muovono in orbite ellittiche attorno ad un sole centrale, mentre questi minuscoli pianeti costruiti dall'uomo sono cilindrici e possono muoversi a volontà nello spazio ».

 

Una visione sempre piú vasta dei nostri cieli tempestati di stelle si spiegò davanti alla mia mente, mentre riflettevo sull'informazione che mi era appena stata fornita. Mi chiesi a quali « altri pianeti » intendeva alludere Kalna.

 

Rispondendo al mio interrogativo mentale, Orthon intervenne per spiegare, spontaneamente: « Le nostre astronavi non hanno visitato soltanto tutti gli altri pianeti del nostro Sistema Solare, ma anche quelli di sistemi vicini al nostro. Tuttavia, vi sono innumerevoli pianeti, negli infiniti sistemi dell'Universo, che non abbiamo ancora raggiunto ».

 

Ancora una volta un pensiero meravigliato mi passò per ja mente, mentre mi chiedevo che cosa avessero trovato sugli « altri pianeti » che avevano visitato.

 

Gli occhi del venusiano scintillarono ed un lieve sorriso gli sfiorò le labbra, quando percepì il mio pensiero. Continuò a parlare, senza interrompersi. « Con la sola eccezione costituita dagli abitanti della Terra, abbiamo trovato molto amichevoli i popoli degli altri mondi. Anch'essi possiedono gigantesche navi spaziali per il piacere e per l'istruzione dei loro simili. Come noi visitiamo i loro pianeti e siamo accolti con cordialità, anche loro visitano i nostri, da amici. Soltanto alla Terra, queste grandi astronavi-passeggeri non si avvicinano mai. E non verrà loro permesso di farlo fino a quando la sua gente non avrà una maggiore comprensione dello spirito di fraternità e dell'Universo, al di là dei confini ristretti del vostro minuscolo pianeta.

 

« Durante questi voli, coloro che si recano in crociera hanno molto tempo per dedicarsi agli svaghi, oltre ad orari ben precisi dedicati all'apprendimento. Quando sbarcano su altri pianeti, hanno luogo riunioni di grande interesse per tutti. Insomma », precisò con molta chiarezza, « i popoli degli altri mondi non sono estranei eli uni agli altri, ma sono tutti amici, e sono accolti con gioia dovunque vadano.

 

« Noi consideriamo i pianeti di tutto l'Universo come un unico, immenso mare di vita. I miliardi di pianeti lontanissimi che non abbiamo ancora visitato verranno esplorati quando avremo perfezionato ancora le nostre astronavi. Vi sono alcuni pianeti cosi lontani che dovremmo impiegare due o tre anni per raggiungerli. Al contrario, nel nostro sistema, le distanze tra i pianeti possono essere coperte in poche ore, al massimo in pochi giorni ».

 

Riconsiderando le nostre concezioni delle distanze, esclamai: « E' davvero sconvolgente, per me! A quale velocità siete in grado di viaggiare, per poter coprire distanze tanto enormi in un tempo tanto breve? ».

 

« Per noi », fu la risposta, « la velocità non ha lo stesso significato che ha per voi. Infatti, quando un'astronave è lanciata nello spazio aperto, la sua velocità è eguale all'attività nello spazio. Invece di essere mosse con mezzi artificiali, come i vostri aeroplani, le nostre navi procedono sulle correnti dello spazio ».

 

Incominciai a nutrire qualche speranza circa i progressi futuri della Terra, quando i miei amici ammisero francamente che, durante i primi tentativi di conquistare lo spazio, gli abitanti di Venere e quelli di altri mondi si erano trovati di fronte esattamente agli stessi problemi che oggi ci costringono a segnare il passo. Affermarono nuovamente che è necessario vincere la gravità, perché quella è la condizione fondamentale per il volo spaziale.

 

 


(4)

 

Il mio primo sguardo nello spazio

 

 

A questo punto, un uomo che dimostrava all'incirca la mia età entrò da una porta che si trovava nell'angolo sinistro della sala, sorridendo con un'espressione amichevole. Per quanto avessi notato una scala a pioli in quell'angolo, e avessi pensato che doveva portare a un ponte superiore dell'astronave, non avevo visto nessuna porta, fino a quando l'uomo la varcò.

 

Non appena comparve, le due giovani donne si scusarono, ed uscirono passando dalla porta che conduceva in sala comando. Poco dopo tornò Ilmuth, la marziana. Si era tolta Pincantevole abito e aveva indossato una tuta da pilota, simile a quelle portate dagli uomini. Era di un colore marrone chiaro, con strisce di marrone piú scuro sopra e sotto la fascia della cintura. Fui molto lieto quando mi chiese se desideravo accompagnarla nella cabina di pilotaggio.

 

Firkon si uní a noi, e mentre salivamo la scala che portava al ponte superiore, notai che Orthon stava andandosene, passando per la sala comando in cui eravamo entrati subito dopo essere atterrati a bordo dell'astronave-madre. L'uomo piú anziano e Ramu, il saturniano, rimasero nel salone.

 

Mentre stavamo percorrendo il corridoio del ponte superiore, Firkon disse: « Ognuna di queste grosse astronavi ha a bordo molti piloti, che lavorano a turni di quattro per volta: due uomini e due donne. Kalna e Ilmuth sono anche loro piloti di questa nave venusiana ».

 

Il corridoio, come tutte le altre parti dell'astronave che avevo veduto fino a quel momento, era gradevolmente illuminato da una sorgente di luce invisibile, e si inclinava un poco verso l'alto, fino a portare in un piccolo locale, all'estremità della grande nave.

 

Quando entrammo nel locale, un giovane che era piegato su di una specie di diagramma alzò la testa, fece un cenno di saluto con il capo e sorrise: tuttavia, non vi furono presentazioni. Immaginai che fosse il compagno di turno di Ilmuth.

 

« Mi sembra il momento adatto », disse Firkon, « per fornire qualche altra spiegazione a proposito di questa astronave. Porta dodici Ricognitori come quello con il quale siamo arrivati. In pratica, l'interno non è affatto ampio come potrebbe sembrare giudicando dall'aspetto esterno. Ciò è dovuto al fatto che gran parte dei meccanismi sono installati in mezzo alle paratie ».

 

« Questa nave, in particolare », aggiunse Ilmuth, « ha quattro paratie, o "pelli". Altre ne hanno di più, altre di meno, a seconda delle dimensioni e dello scopo per il quale sono state costruite ».

 

Mentre guardavo i numerosissimi, strani strumenti che si trovavano nel locale, provai la curiosità di sapere quali fossero i « meccanismi » installati tra le paratie. Firkon disse: « Lo spiegherò meglio che potrò, in questi pochi minuti disponibili. L'intera sezione della nave che abbiamo attraversata entrando è riservata al parcheggio dei Ricognitori, ad accezione di una grande officina nella quale possono venire effettuate le riparazioni necessarie. Nonostante la grande cura e l'esperienza con cui vengono fabbricati i Ricognitori, alcune parti si rompono, mentre i materiali subiscono un'inevitabile usura. Un veicolo che viaggia nello spazio è sottoposto a sforzi grandissimi.

 

« L'impianto di pressurizzazione che mantiene una temperatura adatta in tutta l'astronave è installato tra le paratie, dove vi sono inoltre molti altri apparecchi, la cui spiegazione richiederebbe un tempo assai superiore a quello di cui disponiamo per il momento. Vi sono porte d'accesso che si aprono nelle paratie e che conducono in ogni punto della nave. A bordo vi sono parecchi meccanici che lavorano a turno: quindi c'è sempre qualcuno di servizio per ispezionare e revisionare tutti i pezzi. Perciò è molto difficile che qualche avaria o qualche difetto passi inosservato e causi gravi difficoltà ».

 

Nella cabina di pilotaggio potevo guardare in alto, in basso o all'esterno, in qualunque direzione volgessi la testa. Quando Firkon ebbe finito di parlare, il giovane tese una mano e premette un pulsante. Immediatamente, incominciarono ad apparire altre aperture simili ad oblò in quella che mi era sembrata una paratia compatta. Poi i due piloti presero posto nei sedioli, sui lati opposti del locale. Ebbi una lieve sensazione di movimento, e la nave sembrò puntare il muso verso l'alto.

 

Il cuore mi batteva violentemente, mentre mi domandavo se, per caso, avevano intenzione di condurmi sul loro pianeta. Ma quella speranza ebbe vita breve. Sembrò che fosse trascorso soltanto un momento, prima che la nave si fermasse e rimanesse nuovamente librata nello spazio. Ilmuth sollevò la testa, mi sorrise e disse: « Ora siamo a circa settantacinquemila chilometri di distanza dalla Terra ».

 

Firkon mi accennò di avvicinarmi ad uno degli oblò e mi disse: « Credo che le farà piacere guardare lo spazio ».

 

Guardai fuori, e subito dimenticai la mia delusione. Rimasi sbalordito nell'accorgermi che lo spazio è completamente buio. Tuttavia, intorno a noi, da ogni parte, vi erano curiose manifestazioni, come se miliardi e miliardi di lucciole lampeggiassero dovunque, muovendosi in tutte le direzioni come fanno appunto questi insetti. In quel caso, tuttavia, erano di molti colori: un gigantesco fuoco celeste, la cui bellezza incuteva quasi un senso di timore.

 

Lanciai un'esclamazione, di fronte a quell'immenso splendore, e Firkon mi suggerì di voltarmi a guardare la Terra, per vedere come appare il nostro piccolo globo osservato da quella distanza.

 

Guardai, e con mia grande sorpresa, il nostro pianeta irradiava una luce bianca, molto simile a quella riflessa dalla Luna, e tuttavia meno pura del chiaro di luna in una serena notte terrestre. Lo splendore bianco che circondava la massa terrestre era nebuloso, e la sua grandezza era paragonabile a quella del Sole, quando lo vediamo sorgere all'orizzonte di prima mattina. Sul nostro pianeta non si scorgeva alcun segno che permettesse di identificarlo: sembrava semplicemente una grande sfera di luce, sotto di noi. Da quella distanza, sarebbe stato impossibile a chiunque immaginare che brulicava di miriadi di forme di vita.

 

Arrivati ad un'altezza di settantacinquemila chilometri, i piloti avevano innestato i comandi-robot; Ilmuth ci raggiunse e mi spiegò: « Ogni cabina di pilotaggio ha un robot. Operando singolarmente o insieme, questi robot possono governare perfettamente la rotta della nave, e avvertirci degli eventuali pericoli ».

 

Il pilota rimase al suo posto e Ilmuth spiegò: « In ogni cabina di pilotaggio deve rimanere sempre di turno uno dei piloti ».

 

Poi mi chiese se mi sarebbe piaciuto dare un'occhiata piú da vicino agli strumenti.

 

Da un lato, presso ciascuno dei sedioli, c'era un piccolo strumento che sembrava costituito da un tubo inserito nel pavimento, alto quanto bastava perché il pilota potesse guardarvi dentro senza fatica. « Questo », spiegò Ilmuth, « è collegato con il telescopio che lei probabilmente avrà notato nella grande sala comando, quando l'ha attraversata dopo essere entrato nella astronave ».

 

In quel momento, tuttavia, il telescopio non era in funzione, e ne dedussi che doveva venire adoperato esclusivamente quando l'astronave stava compiendo un volo interplanetario, o forse anche quando restava librata immobile per eseguire studi e osservazioni.

 

Tutto il pavimento di quella parte della stanza era formato da una lente d'ingrandimento simile a quella che avevo veduta nel pavimento del Ricognitore. Tuttavia, l'angolazione della nave, in quel particolare momento, era tale che sarei stato costretto a inginocchiarmi, se avessi voluto guardarvi attraverso.

 

Lo spazio e la sua attività mi tenevano li, inchiodato e affascinato, mentre cercavo di vedere tutto ciò che avveniva al di fuori. A parte le straordinarie lucciole, vidi molti grossi oggetti luminosi che passavano: quelli più grandi, a quanto potei vedere, non ardevano, e si limitavano ad emanare una luminosità. Uno di essi, in particolare, sembrava irradiare tre colori ben distinti: rosso, violaceo e azzurro. Domandai se poteva trattarsi di un'altra astronave.

 

« No », rispose Ilmuth con un sorriso: tuttavia non mi forní ulteriori spiegazioni.

 

Potei osservare, inoltre, che di tanto in tanto passavano anche oggetti scuri, più scuri dello stesso spazio, e di dimensioni assai diverse. Nessuno di quegli oggetti, però, sfiorò l'astronave. Qualche volta, persino quei corpi scuri diventavano parzialmente luminosi. Mi venne detto che erano quelle che noi chiamiamo meteoriti, e che diventano visibili, per noi che stiamo sulla Terra, soltanto quando determinano attrito passando attraverso la nostra atmosfera.

 

Domandai, allora, che cosa impediva alle meteoriti di urtare l'astronave, quando sembrava che si dirigessero verso di essa in una rotta di collisione.

 

« La nostra astronave », spiegò Firkon, « sfrutta un'energia della natura: un'energia "elettromagnetica", mi pare che la chiamiate cosí. Ne ha sempre in eccesso, e parte di questa quantitá eccessiva, attraverso le paratie, si disperde nello spazio, fino ad una certa distanza, talvolta non molto grande, anche se in altre occasioni la sua influenza può estendersi per parecchi chilometri. Questo costituisce uno scudo che ripara da qualunque particella e dai "detriti spaziali", come li chiamate voi terrestri, in quanto li respinge grazie a questa energia che si irradia costantemente ».

 

Firkon passò poi a spiegarmi che tutti i corpi nello spazio sono negativi, rispetto allo spazio stesso, e in pratica si muovono in un mare di forza elettromagnetica. Perciò una radiazione negativa respinge tutti i corpi negativi, mentre nello stesso tempo impedisce che la nave si surriscaldi a causa dell'attrito.

 

Sarei rimasto lí, per ore ed ore, a godermi quello spettacolo magnifico: ma ebbi a disposizione solo poco tempo, perché i piloti ripresero i loro posti e ritornammo ad una quota di dodicimila metri, la stessa a cui si trovava la nave quando eravamo arrivati.

 

Non si avverti la discesa, né alcun altro senso di deviazione. Il movimento dell'astronave era tanto dolce che quasi non si notava, e l'unico suono percettibile era lievissimo, non più forte di quello di un ventilatore elettrico.

 

Nessuno di noi aveva caschi speciali, o apparecchi respiratori, o altri mezzi per mantenersi in equilibrio: ma la mia mente stava di continuo all'erta.

 

Venni colpito parecchio dal fatto che tutti gli strumenti da me visti fino a quel momento a bordo dell'astronave sembravano azionati per mezzo di pulsanti. E non avevo visto assolutamente nulla che assomigliasse, sia pure alla lontana, ad un'arma distruttiva. Tuttavia, dopo avere osservato che la forza repulsiva della natura, nello spazio, era controllata grazie alle radiazioni emesse dall'astronave, avevo ormai l'impressione nettissima che quella forza avrebbe potuto venire usata in modo molto efficiente per fini difensivi, nel caso che si fosse presentata un'eventualità del genere.

 

Firkon si affrettò a rispondere a questo mio pensiero, dicendomi: « Sí, è effettivamente cosí. Sino ad ora, tale eventualità non si è ancora presentata. Inoltre, se fossero in gioco soltanto le nostre vite, contro le vite dei nostri fratelli, persino di quelli tanto bellicosi del suo pianeta Terra, preferiremmo venire annientati, piuttosto di uccidere un nostro simile ».

 

Il significato di quella semplice affermazione mi colpí profondamente. Non potei fare a meno di riflettere, con molta tristezza, sul punto di vista completamente diverso dei miei compatriotti terrestri: sui popoli divisi, sulle nazioni tuttora impegnate in una gara per produrre armi di distruzione sempre più terribili, capaci di portare morte, infermità e dolore a milioni e milioni di esseri umani in tutto il mondo. Pensai al credo di odio verso il « nemico », instillato nelle menti dei giovani, quale parte necessaria della loro preparazione al massacro. Infatti, il desiderio di uccidere non è per nulla innato nell'uomo naturale che comprende, sia pure in minima parte, quale è il suo posto nella Creazione. Pensai all'indescrivibile bestemmia delle preghiere rivolte all'Eterno Padre amoroso di tutti, per chiedergli la benedizione degli eserciti, tradendo in questo modo l'umanità stessa dell'eredità comune.

 

Ilmuth e Firkon tacquero mentre questi pensieri mi attraversavano la mente. Per quanto molte altre volte, in precedenza, io avessi riflettuto su quelle stesse cose, non erano mai penetrate nella mia coscienza in modo altrettanto vivo, e compresi che quella sensazione sarebbe rimasta in me per sempre.                himmels-engel.de

 

Un attimo dopo, Firkon attirò la mia attenzione su di un apparecchio che non era molto più grande di una grossa radio, e nel quale vi era uno schermo simile a quello dei televisori.

 

« Con questo », mi spiegò, « possiamo osservare e registrare tutto ciò che accade sulla Terra o su qualunque pianeta sul quale ci libriamo o al quale passiamo accanto. Non soltanto possiamo udire le parole che vengono pronunciate: vengono anche raccolte le immagini, che appaiono sullo schermo,. Un meccanismo, all'interno, le spezza in vibrazioni sonore, che vengono tradotte simultaneamente in parole della nostra lingua, e che vengono registrate mediante un principio molto simile a quello dei vostri registratori ».

 

Poi, per chiarire meglio le cose, mi spiegò che tutte le parole sono costituite da vibrazioni o scale simili a quelle di un'ottava musicale, cosí come tutte le melodie sono composte di certe note. Conoscendo questa legge, è possibile imparare in breve tempo una lingua del tutto sconosciuta. Quando appaiono vibrazioni incomprensibili, queste vengono trasposte in forma d'immagine, mostrando cosí, in modo esatto, ciò che significano quelle parole o vibrazioni strane. E' superfluo aggiungere che il nastro mostratomi da Firkon era diverso da tutti quelli che avevo visto sulla Terra.

 

Mi sembrava una specie di rompicapo, e senza dubbio l'espressione del mio volto doveva tradire la mia sorpresa. Ilmuth rise gaiamente e chiese: « La sorprenderebbe sapere che alcune razze vissute sulla sua Terra, molti secoli or sono, avevano compreso perfettamente le leggi universali del suono e della vibrazione, ed erano capaci di servirsene? ».

 

Dichiarai che da molto, ormai, sospettavo che tale fosse la verità.

 

« Benché questa conoscenza sia andata completamente perduta per le vostre civiltà moderne », continuò Ilmuth, « alcuni individui, qua e là, si stanno destando e si rendono conto vagamente delle sue possibilità. Sugli altri pianeti, queste leggi costituiscono un insegnamento fondamentale nei programmi d'istruzione. Con questa base, gli allievi possono apprendere molto rapidamente, in tutti i campi della conoscenza e dell'espressione ».

 

A questo punto, Firkon disse: « Ora dobbiamo ritornare nel salone ». Mentre mi scostavo per lasciare passare Ilmuth, domandai per quale ragione non si era avvertito, in pratica, il minimo senso di movimento, quando la grande astronave era passata da un'altezza di dodici a settantacinque chilometri.

 

« Semplicemente perché la nave è costruita in modo da non dare la sensazione del movimento », rispose Firkon; poi aggiunse: « Qualcosa di simile avviene anche nei vostri sommergibili ».

 

Ancora una volta, mi stupii grandemente nel vedere quante cose sapevano di noi e delle nostre realizzazioni.

 

« I vostri sommergibili », continuò Firkon, « si muovono a grandi profondità sotto la superficie dell'acqua, eppure gli uomini dell'equipaggio risentono in misura relativamente minima del movimento registrato dai loro strumenti. E gli uomini si sentono perfettamente a loro agio, perché i sommergibili sono stati progettati con grande cura. In sostanza, non vi è grande differenza tra un sommergibile che si sposta sott'acqua ed un'astronave che si muove nello spazio: a parte il fatto che le nostre navi sono azionate da un'energia naturale, mentre i vostri mezzi dipendono da forme di energia artificiali ».

 

Mi parve che la differenza da lui ricordata fosse effettivamente enorme; tuttavia non lo dissi, e Firkon proseguí: « Quando avrete imparato a servirvi della fonte naturale di energia che esiste in tutto l'Universo, anche voi terrestri sarete in grado di costruire sommergibili che, come alcuni dei nostri apparecchi, potranno sollevarsi dalla superficie dell'oceano e continuare cosí, attraversando l'atmosfera per volare nello spazio ».

 

Questo mi richiamò alla mente due incidenti che erano staci segnalati all'inizio del 1951. Nel primo caso, due «missili» erano scesi dal cielo perfettamente sereno nelle acque della Baia di Inchon, sulla costa occidentale della Corea. I missili erano caduti vicini a un pontone-appoggio per idrovolanti, il Gardiner's Bay, e avevano sollevato colonne d'acqua la cui altezza era stata calcolata in una trentina di metri. Piú tardi, affermava la segnalazione, i « missili » erano stati visti risollevarsi nuovamente dall'acqua e alzarsi nel cielo, fino a scomparire. Il secondo incidente, che era accaduto al largo delle coste della Scozia, era pressoché identico al primo.

 

Firkon, il quale evidentemente aveva letto il mio pensiero, disse: « Ha avuto ragione di chiamare "tipo sottomarino" le navi di questo genere che è riuscito a fotografare » (*).

 

(*) Si tratta della fotografia n. 4 del presente libro (N.d.C.).

 

In quel momento entrammo nel grande salone, dove avevamo lasciato Ramu in compagnia dell'uomo più anziano. Erano ancora lí e stavano conversando nella loro lingua. Quando ci avvicinammo, i due si alzarono, si diressero verso un tavolino attorno al quale erano disposte alcune sedie, e ci fecero cenno di unirci a loro.

 

Le sedie erano piuttosto simili a quelle che si usano nei nostri uffici o nelle sale da pranzo, ma si rivelarono molto più comode. Quando ci sedemmo, Kalna e Orthon vennero a tenerci compagnia.

 

Sul tavolo c'erano calici di cristallo colmi di un liquido trasparente, che trovai molto fresco e gradevole. Il sapore era delicatamente dolce, con un'elusività tentatrice; la consistenza era lievemente densa: era il tipo di bevanda che va bevuta a piccoli sorsi. Mi venne detto il nome del frutto dal quale veniva estratto quel succo, ma non riuscii a ricordare un sapore terrestre che fosse sia pure vagamente simile.

 

Dal momento in cui avevamo lasciato la Terra, molto probabilmente non era trascorsa piú di un'ora. Ma in quel breve spazio di tempo tutta la mia vita e la mia mente si erano schiuse di fronte ad una concezione dell'Universo infinitamente più grande di quella che avevo acquisito durante i sessantun anni della mia esistenza trascorsa sulla Terra.

 

Quando ci fummo seduti attorno alla tavola, tutti gli sguardi si volsero verso l'uomo più anziano, il quale incominciò a parlare. Benché solo in seguito mi venisse spiegata quanto era grande la sua influenza e la sua importanza su tutti i pianeti, era impossibile non comprendere che mi trovavo alla presenza di un essere estremamente evoluto, e l'atteggiamento di tutti i presenti indicava chiaramente che coloro che mi circondavano, come me, si sentivano umili davanti a lui. Venni inoltre a sapere che la sua età, nel suo corpo attuale, era molto vicina ai mille anni.

 

Il tempo che segui, credo un'ora o giù di lí, durante il quale ci parlò, mi parve un attimo. Tutti ascoltarono con grandissima attenzione, senza interromperlo, quell'uomo di grande saggezza.

 

 


(5)

 

Incontro con un maestro

 

 

« Figlio mio », disse il grande maestro, « lei è stato condotto qui ed ha potuto vedere ciò che si trova all'interno di uno dei nostri apparecchi piú piccoli e della grande astronave-madre. Ha viaggiato a bordo dell'uno e dell'altra, solo per una breve distanza, e tuttavia a sufficienza per acquisire conoscenze importanti, da trasmettere ai suoi simili sulla Terra. Ha veduto lo spazio aperto, che è costantemente attivo, pieno di particelle in movimento, dalle quali si creano tutte le forme. Non esiste né un principio né una fine.

 

« Nell'immensità dello spazio vi sono innumerevoli corpi che voi della Terra chiamate pianeti. Sono molto diversi per dimensioni, come tutte le forme, ma sono peraltro molto simili al suo mondo ed ai nostri, e quasi tutti sono popolati e governati da esseri come voi terrestri e come noi. Mentre alcuni stanno soltanto adesso raggiungendo una fase tale da poter ospitare forme di vita come le nostre, altri non hanno ancora raggiunto tale stadio di sviluppo. Lei deve comprendere, infatti, che i mondi sono soltanto forme, e che attraversano il lungo periodo di sviluppo di tutte le forme, dalla più minuscola alla più grande.

 

« Ogni pianeta si muove in coordinazione con un certo numero di altri pianeti attorno ad un Sole centrale, con un movimento perfetto, formando un'unità, che voi terrestri chiamate Sistema. In ciascun caso, a quanto abbiamo appreso nel corso dei nostri viaggi, vi sono dodici pianeti in ogni sistema. Inoltre, dodici di tali sistemi sono sempre riuniti attorno ad un nucleo centrale che può venire paragonato al nostro Sole. Questi gruppi formano ciò che i vostri scienziati chiamano "universo-isola". Abbiamo motivo di ritenere che dodici "universi-isola" costituiscano un'immensa unità della casa del Padre, che come dice la Bibbia terrestre ha "molte dimore"... e cosí via, all'infinito.

 

« Sul nostro pianeta, e su altri appartenenti al nostro sistema, la forma che voi chiamate "uomo" si è sviluppata ed è progredita intellettualmente e socialmente, passando attraverso vari stadi di evoluzione, sino ad un punto che apparirebbe inconcepibile ai popoli della Terra. Questa evoluzione è stata realizzata soltanto mediante l'adesione a quelle che voi chiamate leggi di Natura. Nei nostri mondi, viene invece conosciuto come adeguamento alle leggi della Suprema Intelligenza che governa il tempo e lo spazio.

 

« Come lei ha visto, noi viaggiamo nello spazio con la stessa facilità con cui si attraversa una stanza. Attraversare lo spazio non è difficile per coloro che hanno imparato a dominare le leggi in forza delle quali tutti i corpi vivono e si muovono: uomini e pianeti. Si comprende allora che la distanza tra due di tali corpi nello spazio, o la distanza tra due mondi, non è affatto da intendersi cosí come la concepite nel vostro mondo.

 

« Ricordi che un tempo la distanza tra le masse di terra del suo pianeta, che voi chiamate continenti, era considerata molto grande, ed era necessario molto tempo per recarsi dall'una all'altra. Ora i vostri aerei hanno invece abbreviato tale distanza, riducendola ad una frazione del tempo che era richiesto nel passato: tuttavia le distanze sono rimaste immutate. Lo stesso avverrà quando potrete ampliare la vostra conoscenza e apprenderete le leggi che agiscono nello spazio infinito.

 

« Un altro aspetto della realtà di cui ancora non vi rendete conto, è che il corpo di qualsiasi essere umano può trovarsi a suo agio su tutti i pianeti. Sebbene vi siano alcune differenze nelle condizioni atmosferiche, dovute alla grandezza e all'età del pianeta, in effetti sono di poco maggiori rispetto a quelle che si riscontrano sulla vostra Terra tra il livello del mare e una montagna alta alcune migliaia di metri. Alcune persone risentono piú di altre di tali cambiamenti, ma con il tempo riescono ad acclimatarsi ».

 

Ricordando la concezione molto diffusa circa l'aspetto degli extraterrestri, con teste ponderose, piú tubi e aggeggi vari, come viene rappresentato abitualmente nei fumetti e persino nelle teorie più serie dei cosiddetti esperti, mi chiesi se il nostro mondo rappresentasse la fase di sviluppo più bassa dell'Universo.

 

Leggendo il mio pensiero e continuando senza interruzione, il grande maestro disse: « No, figlio mio, il suo mondo non è nella fase più infima di sviluppo dell'Universo. E' il meno evoluto tra quelli del nostro Sistema, ma al di fuori di questo vi sono altri mondi sui quali i popoli non hanno ancora raggiunto il vostro livello, sia dal punto di vista sociale che dal punto di vista scientifico. Inoltre, vi sono mondi in cui l'evoluzione si è spinta molto avanti in campo scientifico, mentre è rimasta ad un basso livello nel campo della comprensione personale e sociale, anche se è stata realizzata la conquista dello spazio.

 

« Nel nostro Sistema, i popoli di tutti i pianeti, ad eccezione di quelli della Terra, viaggiano liberamente nello spazio: alcuni solo per brevi distanze, mentre altri superano distanze assai maggiori e giungono fino ad altri sistemi.

 

« La vostra comprensione della vita e dell'Universo è molto limitata. Di conseguenza, voi avete molte concezioni errate a proposito degli altri mondi e della composizione dell'Universo: e conoscete cosí poco voi stessi! Tuttavia è anche vero che da parte di molti abitanti della Terra si manifesta un crescente desiderio di ricercare sinceramente una maggiore comprensione. Noi, che abbiamo già percorso il cammino che ora voi state compiendo, siamo disposti ad aiutarvi e a dispensare la nostra conoscenza a tutti coloro che sono disposti ad accettarla.

 

« Il primo fatto di cui la sua gente deve rendersi conto è che gli abitanti degli altri mondi non sono diversi, fondamentalmente, dagli uomini terrestri. Lo scopo della vita, sugli altri mondi, è in sostanza identico al vostro. In tutta l'umanità, per quanto possa essere sepolto in profondità, vi è il desiderio di elevarsi a qualcosa di più alto. Il vostro sistema scolastico, sulla Terra, in un certo senso è modellato sul progresso universale della vita. Infatti, nelle vostre scuole, voi progredite di classe in classe e di scuola in scuola, verso un'istruzione piú elevata e più completa. Allo stesso modo l'uomo progredisce di pianeta in pianeta e di sistema in sistema, verso una comprensione sempre più grande, verso un'evoluzione nell'utilità universale ».

 

Mentre mi dava questa spiegazione, capii ciò che intendeva dire: gli individui della Terra, una volta pronti, avanzeranno su di un pianeta più evoluto. Mi chiesi se un giorno, ancora su questa Terra, avremmo appreso le leggi che governano lo spazio, e avremmo potuto visitare gli altri mondi, come oggi possono farlo gli abitanti di altri pianeti.

 

Il maestro non diede una risposta specifica al mio interrogativo mentale, ma continuò: « Voi sulla Terra siete vincolati da ciò che chiamate "tempo". Ma anche secondo le vostre valutazioni del tempo, quando conquisterete il volo spaziale rimarrete sbalorditi della rapidità con cui potrete raggiungere altri pianeti.

 

« Per questa avventura, voi dovete trovare nuove parole. Voi dite che i nostri apparecchi, che chiamate Dischi, volano: e questa è una definizione che vale per il funzionamento dei vostri aeroplani. Ma in realtà noi non "voliamo" nel senso che intendete voi. Noi annulliamo l'atmosfera per mezzo di un procedimento meccanico, che voi indicate come "sospensione della gravità". In tal modo, noi non siamo ostacolati dalla resistenza o dall'interferenza dell'atmosfera. Ecco perché i nostri apparecchi sono in grado di effettuare bruschi cambiamenti di direzione e di muoversi a velocità che hanno tanto sbalordito i vostri aviatori ed i vostri scienziati.

 

« Potremmo dirvi molte cose per quanto riguarda il controllo della gravità: si tratta di una conoscenza che è necessaria, sia per lasciare un pianeta che per ritornarvi senza pericoli. Saremmo felici di trasmettervi questa conoscenza che ci è tanto utile, ma voi non avete ancora imparato a vivere in pace e in uno spirito di fratellanza, per il bene di tutti gli uomini, come abbiamo invece imparato noi sugli altri mondi. Se rivelassimo questo segreto a lei o a qualunque altro uomo della Terra e divenisse di pubblico dominio, alcuni dei vostri popoli si affretterebbero a costruire navi per viaggiare nello spazio, le armerebbero di cannoni, e partirebbero per tentare di conquistare e di sottomettere altri mondi.

 

« Lei sa bene che, nel suo mondo, vi sono certi gruppi che hanno già rivendicato diritti di proprietà sulla Luna, con lo scopo di trasformarla in una base militare. Molti scienziati terrestri sperano, in un futuro non troppo lontano, di riuscire a costruire astronavi come le nostre, per viaggiare nello spazio. E' perfettamente possibile che questo avvenga. Ma agli uomini terrestri non sarà permesso di avventurarsi nello spazio in gran numero, né di rimanervi, fino a quando non avranno imparato ad abbracciare la vita universale vissuta dai popoli di altri mondi, anziché l'egoistica vita personale quale è conosciuta sulla Terra. E inoltre dovrete imparare molte cose sullo spazio, poiché è appunto nello spazio che dovrete muovervi ».

 

Ricordai una similitudine che io avevo usato molto spesso, paragonando lo spazio ad un oceano immenso in movimento continuo. In quel momento pensai che, come i nostri transatlantici si muovono sulle onde dell'oceano, le navi interplanetarie si muovono sulle onde dell'attività dello spazio.

 

« Sí », disse il maestro, « è piú o meno cosí, e se i vostri scienziati lavoreranno su tale principio, potranno acquisire una maggiore comprensione della realtà. Infatti la Natura stessa rivela i suoi segreti a quanti cercano con mente aperta.

 

« Come già le è stato detto, noi viaggiamo nello spazio allo scopo di imparare. A bordo delle nostre navi vi sono molti strumenti, alcuni dei quali le sono già stati mostrati, e molti altri che non ha ancora veduto. Per quanto voi terrestri abbiate incluso tutti i nostri apparecchi nella categoria dei Dischi Volanti, abbiamo veicoli spaziali di molti tipi e di grandezze diverse, con diverse funzioni. I più grandi non si sono mai accostati all'atmosfera del vostro mondo: anzi, non si sono mai avvicinati a meno di parecchi milioni di chilometri dalla Terra. Non possiamo mettere a repentaglio le vite delle migliaia di persone che viaggiano a bordo di quelle astronavi gigantesche, perché se accadesse qualcosa che imponesse un atterraggio forzato sulla Terra prima che i vostri popoli abbiano raggiunto una maggiore comprensione, i nostri correrebbero un grave pericolo.

 

« Figlio mio, lo scopo principale che ci ha portati vicino alla Terra in questo periodo è avvertirvi del grave pericolo che oggi minaccia i terrestri. Poiché sappiamo molto di più di quanto tutti voi possiate immaginare, riteniamo sia nostro dovere illuminarvi, se possiamo. I vostri popoli possono accettare la conoscenza che speriamo di trasmettere per vostro mezzo o per mezzo di altri, oppure possono rifiutarsi di ascoltare e autodistruggersi. La scelta spetta agli abitanti della Terra: noi non possiamo imporre nulla.

 

« Durante il suo primo incontro con il nostro Fratello qui presente, egli le ha fatto comprendere che le esplosioni delle bombe nucleari sulla Terra destano il nostro interesse. Eccone la ragione. Benché la potenza e le radiazioni delle esplosioni sperimentali non abbiano ancora varcato la sfera d'influenza della Terra, tali radiazioni mettono in pericolo la vita dei terrestri. Avrà inizio una decomposizione che, con l'andare del tempo, saturerà la vostra atmosfera degli elementi letali che i vostri scienziati ed i vostri militari hanno racchiuso in quelle che voi chiamate bombe.

 

« Le radiazioni liberate da tali bombe fino ad ora non sono pervenute molto lontano, poiché sono piú leggere della vostra atmosfera e piú pesanti dello spazio. Tuttavia, se l'umanità della Terra dovesse scatenare questa potenza in una guerra totale, una parte molto grande della popolazione terrestre verrebbe annientata, il suolo diverrebbe sterile, le acque avvelenate rimarrebbero prive di vita ancora per molti anni. E' possibile addirittura che il corpo stesso del vostro pianeta rimanesse mutilato al punto di distruggere il suo equilibrio nella nostra galassia.

 

« Questi sarebbero gli effetti che riguarderebbero direttamente il vostro mondo. Per noi, viaggiare nello spazio potrebbe divenire difficile e pericoloso per un lungo periodo di tempo, poiché le energie liberate da tali esplosioni multiple penetrerebbero oltre la vostra atmosfera fin nello spazio aperto ».

 

Mi domandai fino a quale punto, se effettivamente fosse scoppiata una guerra, i visitatori spaziali si sarebbero sentiti giustificati nel tentativo di fermarci.

 

Il maestro rispose prontamente al mio interrogativo mentale, dicendo: « Come sa, poiché conosciamo l'uso e il controllo di energie assai più potenti di quelle che i nostri fratelli terrestri hanno imparato ad adoperare, noi potremmo, se lo volessimo, annullare la vostra potenza con una potenza ancora più grande. Ma si ricordi ciò che le è stato detto. Noi non uccidiamo i nostri simili, neppure per autodifesa. Noi cerchiamo, e continueremo a cercare, di impedire una guerra del genere, portando ai terrestri la conoscenza delle conseguenze della loro azione. Infatti, nessuno scatena una guerra se non per ignoranza ».

 

Il suo volto si illuminò, ed i suoi occhi parvero assorti in una visione interiore, bellissima, mentre egli continuava a parlare: « E non c'è uomo al mondo che non abbia sognato, almeno una volta nella sua vita, ciò che voi chiamate Utopia, il mondo quasi perfetto. Non vi è nulla che l'uomo ha immaginato che non sia realtà in qualche altro luogo. Perciò, non vi è nulla di impossibile da realizzare. Anche per voi terrestri questo è possibile. Per noi degli altri pianeti della nostra galassia, tutto questo è oggi realtà. Sulla Terra, vi sono alcuni che hanno esclamato: "Ma quanto deve essere monotona la perfezione!". Invece non è affatto cosí, figlio mio, perché vi sono diversi gradi di perfezione come vi sono gradi diversi in tutte le cose. Sui nostri mondi noi siamo felici, ma non ristagniamo. E' come quando un uomo raggiunge la cima di una collina vista dal basso e gli si presenta allo sguardo un'altra collina: lo stesso avviene sempre con il progresso. La valle che si estende nel mezzo deve venire attraversata, prima che sia possibile scalare un'altra vetta.

 

« Comprendere le leggi universali, conduce in alto, ma nello stesso tempo impone certe restrizioni. Ciò che oggi è per noi, potrebbe essere anche per voi terrestri. Innalzati dalla vostra conoscenza, voi verrette impediti dalla vostra stessa conoscenza di agire animati dalla violenza nei confronti dei vostri fratelli. Voi vi renderete conto allora che la stessa convinzione, innata in ogni essere individuale, che lo spinge a sentire di avere il divino privilegio di decidere la propria vita e di dar forma al proprio destino, anche se attraverso tentativi ed errori, è valida anche per ogni gruppo, per ogni nazione e per ogni razza dell'umanità.

 

« Cosí come esistono molti sentieri che conducono in basso, lontano da ogni progresso, ve ne sono molti che conducono verso l'alto. Anche se un uomo può sceglierne uno, ed un secondo può sceglierne un altro, ciò non deve dividerli, poiché sono fratelli. In verità, l'uno può imparare molto dall'altro, se lo vuole. Infatti, nell'immensità della creazione infinita, non esiste una via che sia l'unica.                  angelo-luce.it

 

« Sulla Terra abbiamo udito ripetere molte volte la frase: "La strada della felicità". E' una bella frase, perché il progresso è felicità, e si incontra lungo tutta la via che porta in alto, fin dall'inizio. E la felicità affratella gli uomini nella tolleranza verso gli sforzi altrui, anche se questi sforzi possono essere di natura diversa.

 

« Non vi è nulla di irrimediabile, per quanto riguarda la vostra Terra ed i suoi abitanti: manca soltanto la comprensione del fatto che essi sono solo bambini nella vita universale del-l'Essere Supremo. Le è stato detto che, nei nostri mondi, noi viviamo secondo le leggi del Creatore, mentre sulla Terra voi vi limitate tuttora a parlarne. Se voi viveste veramente già secondo i precetti che conoscete, i popoli della Terra non si massacrerebbero l'un l'altro. Lavorerebbero, invece, gruppo per gruppo, nazione per nazione, per conseguire il bene e la felicità nella parte del mondo in cui sono nati e che chiamano "patria".

 

« Io credo che i popoli della Terra rimarrebbero sbalorditi nello scoprire con quanta rapidità un cambiamento può verificarsi in tutto il pianeta. Ora che disponete dei mezzi per comunicare con tutto il mondo, messaggi che esortassero all'amore e alla tolleranza, anziché al sospetto e alla critica, troverebbero cuori disposti ad ascoltarli. Infatti, gran parte della popolazione della Terra è stanca di lotte e di dolori. Noi sappiamo che, come non mai, molti provano la sete di conoscenza che assicuri loro la liberazione. Sappiamo che nelle loro menti vi sono paura e confusione, perché hanno visto e subito i risultati di due grandi guerre che sono servite esclusivamente a gettare i semi di un'altra guerra.

 

« Perciò non è troppo tardi, dacché vi sono dovunque, sul vostro pianeta, menti e cuori ricettivi. Ma c'è poco tempo, figlio mio! Perciò vada, con la benedizione del Padre Infinito, a svolgere la sua missione, e aggiunga la sua voce a quella di coloro che diffondono il messaggio di speranza ».

 

 


(6)

 

Domande e risposte a bordo dell'astronave

 

 

Dopo un momento di silenzio, durante il quale nessuno si mosse, il maestro si alzò, e tutti i presenti lo imitarono. Rimase ritto per un istante, con le mani posate sulla spalliera della sedia, e mi guardò profondamente negli occhi. Non dimenticherò mai l'espressione di immensa bontà e di compassione che vidi nel suo sguardo. Era come una benedizione, e nello stesso tempo sentii crescere dentro di me una forza nuova.

 

Con un gesto di addio che includeva tutti i presenti, il maestro si voltò e uscí dalla sala. Il silenzio perdurò ininterrotto per parecchi istanti, dopo che se ne fu andato.

 

Io non riuscivo a trovare le parole. Fu Kalna che ruppe il silenzio, dicendo sottovoce: « Anche per noi è sempre un privilegio sentir parlare quel grande essere ».

 

Ramu, il saturniano, spezzò la tensione, e sono certo che lo fece deliberatamente: « Ora, prima di ricondurla sulla Terra, abbiamo a disposizione un po' di tempo, in modo che le sia possibile formulare le domande che si agitano nella sua mente.

 

Non è necessario che riguardino esclusivamente le cose serie, di cui ha appena parlato il maestro », aggiunse con un sorriso, « poiché nulla di ciò che le interessa ci sembrerà trascurabile ».

 

Lo guardai, riconoscente, mentre tornavamo a sederci. Mi parve che Ramu intendesse dirmi che adesso potevo formulare le mie domande oralmente, in quella che sarebbe stata probabilmente una conversazione generale, anziché affidarmi alla telepatia mentale. Esposi allora la domanda che campeggiava in primo piano nel mio pensiero.

 

« E' possibile che i radicali mutamenti delle nostre condizioni atmosferiche, verificatisi in molte località dopo gli esperimenti atomici, siano in qualche modo collegati con la liberazione di tale energia? ».

 

« Per la verità è cosí », rispose Ramu. « E non si tratta di una semplice ipotesi o intuizione da parte nostra. I nostri strumenti hanno registrato tali risultati. Noi sappiamo! ».

 

« Mi chiedo », dissi io, lentamente, « se vi dispiacerebbe fare qualche commento sulla ragione per la quale, anche se la guerra sulla nostra Terra metterebbe in pericolo i viaggi attraverso lo spazio di milioni di esseri che vivono su altri pianeti, voi continuate a ritenere che sia ingiusto fare del male a pochi per il bene di molti ».

 

« Cercheremo di spiegarci meglio », rispose Orthon. « Fin dalla nascita, in tutti noi è stata instillata una visione complessiva, e perciò consideriamo impensabile disobbedire a quelle che sappiamo essere le leggi universali. Queste leggi non sono state stabilite dall'uomo: esistevano fin dal principio, e dureranno per tutta l'eternità. In forza di questa legge ogni individuo, ogni gruppo umano, ogni forma di vita intelligente di ogni mondo, deve decidere il proprio destino, senza interferenze da parte altrui. Consigli, sí; istruzioni, sí. Ma interferenze che possono giungere fino alla distruzione, mai ».

 

Il suo sguardo interrogativo sembrava volermi chiedere se si era espresso con sufficiente chiarezza.

 

Firkon, il marziano, parlò per la prima volta: « Lei comprende bene la potenza delle forme di pensiero. A parte le nostre missioni fisiche sulla Terra, tutti noi dobbiamo attenerci fermamente alla convinzione che i popoli della vostra Terra finiranno per destarsi e per rendersi conto della catastrofe verso la quale si stanno avviando ».

 

« Capisco », dissi lentamente, perché effettivamente il concetto si andava chiarendo nella mia mente.

 

« Noi sappiamo che la potenza di questo pensiero, trasmesso continuamente a tutti i nostri fratelli terrestri, ha già cambiato i sentimenti di molti », dichiarò Ramu.

 

« E inoltre ci rendiamo conto », fece osservare Ilmuth, « come se ne rende conto lei stesso e molte altre persone della Terra, che le vostre forze aeree ed i vostri governi sanno benissimo che le nostre navi, avvistate nei vostri cieli, vengono dallo spazio, e che possono essere costruite e pilotate soltanto da esseri intelligenti provenienti da altri pianeti. Molti uomini che occupano posizioni importantissime nei governi del vostro mondo sono già stati contattati da noi. Alcuni sono uomini buoni, che non vogliono la guerra. Ma anche i buoni, sulla vostra Terra, non possono liberarsi completamente dalla paura che è stata alimentata per secoli, sul vostro pianeta, dall'uomo stesso ».

 

« Lo stesso si può dire anche dei vostri aviatori di ogni parte della Terra », disse sommessamente Kalna. « Molti di loro hanno visto spesso i nostri apparecchi. Ma sono stati ammoniti e suggestionati, e sono pochissimi coloro che osano parlare »

 

« E lo stesso vale per i vostri scienziati », aggiunse Firkon.

 

Ancora una volta mi meravigliai per la conoscenza che dimostravano nei confronti del nostro mondo e dei suoi abitanti.

 

« Si direbbe », osservai, « che la soluzione spetti soprattutto all'uomo della strada: ce ne sono milioni e milioni, in tutto il mondo ».

 

« Loro sarebbero la vostra forza », ammise prontamente Firkon. « E se si esprimessero contro la guerra in numero sufficiente, dovunque, alcuni statisti di varie parti del mondo sarebbero ben lieti di ascoltarli ».

 

Sentii che quella conversazione aveva contribuito grandemente ad arricchire la mia comprensione, e mi sentii invadere dalla gioia. Quasi senza accorgermene, cambiai argomento.

 

« Mi chiedo se siete disposti a spiegarmi meglio il meccanismo che ho visto nella cabina di pilotaggio: l'apparecchio che registra i suoni, poi tradotti in immagini sullo schermo ».

 

« Certamente », disse Orthon. « Una delle sue funzioni più importanti consiste nell'aiutarci ad apprendere rapidamente qualunque lingua. Naturalmente, quelli di noi che vivono e lavorano sulla vostra Terra per un certo tempo parlano con accento migliore. Tuttavia, come avviene tra voi, anche tra noi vi sono alcuni che hanno una maggiore attitudine per le lingue, e imparono a parlarle impeccabilmente, anche senza contatti diretti ». A questo punto sorrise e mi ricordò la conversazione a gesti che si era svolta tra noi in occasione del nostro primo incontro, poi aggiunse: « Aveva la massima importanza, per noi, che io accertassi la sua capacità di emettere e di ricevere messaggi telepatici. E il risultato è che ora lei si trova qui!

 

« Noi conosciamo molto bene lo scetticismo che gli abitanti della Terra ostentano verso tutto quello che sta al di fuori del solco ristretto dell'esperienza personale. E' stato per questa ragione che i messaggi che le ho trasmesso erano di carattere universale. Sapevamo che, sebbene la comprensione di quelle scritte fosse ormai sepolta con antiche civiltà perdute già da molto tempo, esistono ancora alcune persone, nel vostro mondo, che sarebbero in grado di tradurle. Dopo la traduzione, solo gli increduli ostinati possono rifiutarsi ancora di arrendersi alla evidenza ».

 

« E' una vera fortuna », disse Kalna, con un gaio sorriso, « che almeno la telepatia mentale sia stata oggi accettata come realtà dagli scienziati del suo mondo! ».

 

« Vede », spiegò Orthon, « noi l'abbiamo tenuto sotto osservazione per diversi anni, prima che io prendessi contatto con lei, ed eravamo sicuri che la sua conoscenza della telepatia sarebbe stata adeguata. Questo venne dimostrato dalla prova finale, nel corso del nostro primo incontro ».

 

« E mi avete messo alla prova anche in altri modi? » domandai.

 

« Certo! Vede, poiché già da parecchi anni lei continuava a fotografare i nostri apparecchi, i suoi pensieri erano orientati inevitabilmente verso di noi. Abbiamo sentito la sincerità del suo interesse: restava tuttavia ancora da stabilire se e come lei avrebbe tradotto questo interesse in azione, se avrebbe saputo resistere al ridicolo e allo scetticismo ai quali sarebbe andato incontro, e se avrebbe provato la tentazione di sfruttare i contatti con noi per ambizione o per fini commerciali ».

 

« Ha superato tutte le prove nel modo piú soddisfacente », disse con calore Ilmuth. « Di fronte alla derisione, all'incredulità, persino quando è stata messa in dubbio la validità delle sue fotografie, abbiamo potuto vedere che lei perseverava incrollabile nel sostenere quella che, dentro di lei, sapeva essere la verità ».

 

Quell'incoraggiamento mi riempi di felicità, e compresi che, con amici come quelli, qualunque cedimento sarebbe stato impossibile.

 

« Vi era un'altra cosa, inoltre, che noi dovevamo sapere », disse Ramu, « per quanto riguarda la sua discrezione e la sua capacità di giudizio. Per esempio, vi sono certe cose che il maestro le ha rivelato stanotte e che, come egli stesso ha chiarito, non devono ancora venir rivelate ai terrestri. In un mondo come il suo, per la maggior parte degli uomini è una tentazione fortissima mettersi in mostra abbandonandosi a dichiarazioni clamorose. Inoltre, tutto ciò che ora lei può essere autorizzato a dire, non può venire, per prudenza, detto a tutti. E' qui che è importante una buona capacità di giudizio. Dopo tutto, lei ha dedicato gran parte della sua vita ad insegnare la legge universale cosí come la conosceva. In questo modo, lei ha imparato che è non solamente inutile, ma spesso anche pericoloso, impartire una conoscenza maggiore di quella che può essere assorbita e compresa. Noi sappiamo che applicherà questo principio anche alle informazioni ricevute da noi ».

 

« Per quanto riguarda la telepatia », dissi, formulando una domanda che già aveva preso forma nella mia mente, « benché io sia in grado di servirmene, non posso affermare di comprenderne il funzionamento. Potreste spiegarmelo? ».

 

Si scambiarono occhiate, poi risero. Mi resi conto che tutti i presenti erano in grado di rispondere alla mia domanda, e che li aveva divertiti la cerimoniosa cortesia con la quale si erano offerti reciprocamente quell'occasione. In effetti, ora che ricordo tutta la discussione, mi accorgo che fu completamente diversa da quanto accade nel nostro mondo, quando si trovano insieme due o piú persone. Mentre noi interveniamo, parliamo contemporaneamente e interrompiamo chi sta parlando, anche se quello avrebbe almeno il diritto di arrivare in fondo alla frase, quegli uomini e quelle donne avevano sempre parlato senza che gli altri li interrompessero. E nessuno di loro aveva tenuto banco con eccessiva verbosità.

 

Quasi per consenso comune, fu Orthon a rispondermi.

 

« Nel vostro mondo, c'è quella che voi chiamate radio, e vi sono molti radioamatori. Costoro dispongono di certi canali, attraverso i quali sono autorizzati a trasmettere. Questi canali, che voi chiamate "onde eteriche", consentono ad una persona che si trova in una località di inviare un messaggio ad un'altra persona seduta davanti ad un apparecchio in una località anche molto lontana. I due possono udirsi chiaramente, come se fossero nella stessa stanza. Un tempo, questo sistema di comunicazione sarebbe stato considerato fantastico dalle persone dotate della stessa mentalità che oggi ride dell'origine interplanetaria delle nostre astronavi. Per mentalità di questo genere, sono ben poche le cose che sono state provate al punto di essere considerate concepibili.

 

« I pensieri vengono trasmessi e ricevuti esattamente nello stesso modo in cui vengono trasmessi e ricevuti per radio, lungo certe lunghezze d'onda, ma senza necessità di apparecchi di sorta. Noi operiamo direttamente da cervello a cervello, ed anche in questo caso la distanza non costituisce una barriera. Tuttavia, per riuscirvi è necessaria una mente aperta e ricettiva. Durante tutti gli anni nei quali lei ci ha inviato pensieri, noi abbiamo continuato a rispondere. Questo ha stabilito un solido nesso, simile a un cavo, tra noi e lei, perché il pensiero è stato mantenuto in un singolo canale. Quando la sua mente è aperta, noi possiamo mandarle l'informazione che desidera, esattamente come se lei ricevesse un messaggio per mezzo del telefono.

 

« Lei è stato prescelto per incontrarsi con me alla presenza di testimoni che confermassero la sua esperienza. Volevamo che la verità di quell'incontro si diffondesse il piú ampiamente possibile. E dobbiamo elogiare i giornalisti dei quotidiani della sua nazione che hanno avuto il coraggio di pubblicare il primo resoconto.

 

« C'è tuttavia una cosa che vogliamo venga spiegata chiaramente a tutti, da parte sua: i contatti mentali di cui abbiamo parlato non sono assolutamente del tipo che gli abitanti del suo pianeta chiamano "psichici" o "spiritistici'': sono messaggi diretti da mente a mente. La spiegazione dei fenomeni che voi chiamate "psichici" le verrà fornita in un'altra occasione.

 

« Noi chiamiamo questa telepatia mentale stato unificato di coscienza tra due punti, l'emittente e il ricevente, ed è il metodo di comunicazione usato più comunemente sui nostri pianeti, in particolare su Venere. I messaggi possono essere trasmessi tra singoli individui sul nostro pianeta, dal nostro pianeta ai nostri apparecchi spaziali, dovunque questi si trovino, e da pianeta a pianeta. Come ho detto in precedenza, e la prego di imprimerselo bene nella memoria, lo spazio o "distanza", come voi lo chiamate, non costituisce affatto una barriera ».

 

Mentre Orthon stava parlando, Ilmuth, senza farsi notare, era uscita dal salone. Ritornò portando un vassoio sul quale stavano calici che contenevano la stessa fresca bevanda da me descritta in precedenza. Dopo che Ilmuth ebbe distribuito i bicchieri, io dissi: « E gli esseri venuti da altri pianeti che vivono in mezzo a noi... è cosí da molto tempo? ».

 

Fu Kalna a rispondere.

 

« Da tempo immemorabile! O almeno », si corresse, « negli ultimi duemila anni, dopo la crocifissione di Gesú, il quale fu inviato ad incarnarsi sul vostro mondo per aiutare la vostra gente, come avevano fatto altri prima di lui, decidemmo di svolgere la nostra missione in un modo meno pericoloso, per gli interessati, di quanto lo fosse la nascita sul vostro pianeta. La cosa venne resa possibile dal grande progresso delle nostre navi spaziali. Eravamo in grado di portare volontari, nei loro corpi fisici. Costoro vengono accuratamente preparati per la loro missione, e ricevono istruzioni relative alla loro sicurezza personale. La loro identità non viene rivelata se non in casi rarissimi: può venire confidata a qualche persona per uno scopo ben definito, come è avvenuto nel suo caso.

 

« I nostri compagni si mescolano ai loro fratelli terrestri per apprenderne il linguaggio ed i costumi. Poi ritornano sui loro pianeti d'origine, dove ci trasmettono ciò che hanno appreso sul vostro mondo. Abbiamo una storia della Terra e degli avvenimenti che vi si sono svolti: il suo inizio risale a settantotto milioni di anni fa. Altre storie assai simili, scritte dagli uomini della Terra, sono andate perdute con le civiltà che si autodistrussero: io stesso tipo di distruzione che oggi vi minaccia.

 

« Ciò che voi chiamate "guerra" non esiste altrove, nel nostro Sistema, già da milioni di anni. Naturalmente, tutti i pianeti e le loro popolazioni devono attraversare nell'ordine le fasi di evoluzione, dalla più bassa alla più elevata. Ma il vostro progresso non è stato né ordinato né naturale: è stato piuttosto un interminabile succedersi di sviluppo e di distruzione, sviluppo e distruzione.

 

« Vi sono stati, sulla Terra, uomini che hanno lasciato il vostro pianeta con il nostro aiuto, per imparare da noi e, a tempo debito, ritornare sul loro pianeta e trasmettere agli altri la loro conoscenza. Ma nelle condizioni esistenti attualmente sul vostro pianeta, non è più possibile far questo, poiché nessuno vi potrebbe ritornare. I prescelti non sarebbero in grado di spiegare dove sono stati senza venir bollati come pazzi e rinchiusi in un manicomio. Inoltre, nel vostro mondo pieno di documenti d'identificazione, l'improvviso ritorno di una persona scomparsa misteriosamente molto tempo prima non passerebbe inosservato agli occhi delle autorità. Non possiamo assoggettare i nostri simili ad una persecuzione insopportabile. Ciò può permetterle di comprendere ancora meglio perché, da molti punti di vista, noi ci troviamo bloccati proprio da coloro che desideriamo cosí vivamente aiutare ».

 

Tutta la naturale gaiezza dell'espressione di Kalna era stata cancellata dalla tristezza, mentre mi spiegava queste cose. Poi prese il suo calice dal basso tavolino e sorseggiò la bevanda, sorridendo. Mentre posava il bicchiere, continuò: « E' un vero peccato che dobbiamo parlare di cose tanto tristi... ed ancora piú triste è il fatto che nell'Universo esista tanta sofferenza. Noi degli altri pianeti non siamo di indole mesta: anzi, siamo molto gai, e amiamo molto ridere ».

 

Fui grandemente commosso da quella breve giustificazione. Erano molto gai sui loro pianeti: eppure erano disposti a condividere la tristezza della nostra Terra e ad adoperarsi incessantemente, per secoli e secoli, al fine di recarci la luce.

 

« Ci resta ancora una speranza », disse Ilmuth, come se cercasse di rincuorarmi. « Possiamo ancora venire tra voi, e di tanto in tanto stabiliamo un contatto, come abbiamo fatto con lei. Benché i vostri aviatori attualmente ci rendano difficile l'atterraggio, noi speriamo che, quando un numero sempre più grande degli abitanti della Terra avrà veduto le nostre navi, tutti si abitueranno e accetteranno l'esistenza di esseri viventi su altri pianeti, e allora potranno diventare più numerosi gli incontri personali con i terrestri ».

 

« Non vedo come potrebbe essere altrimenti », ammisi io.

 

Bevemmo tutti dai nostri bicchieri. Mentre guardavo i miei amici, mi accorsi che tutti i segni della preoccupazione da loro provata per le condizioni della Terra erano stati banditi dai loro volti. Capii che questo era saggio e giusto e, cercando di seguire il loro esempio, domandai: « Sugli altri pianeti usate ballare e cantare, e organizzare feste come da noi? ».

 

« Balliamo moltissimo... tutti », rispose Kalna. « Consideriamo importante, per la nostra istruzione, addestrare il nostro corpo alla coordinazione del movimento ritmico. Inoltre, questa manifestazione è una parte essenziale di quello che lei definirebbe il nostro rituale religioso. Come la poesia può suggerire sentimenti profondi che non si possono esprimere in prosa, il ritmo perfetto espresso nel movimento di un corpo fa parte di una danza di adorazione.

 

« Danziamo anche per il piacere di farlo, come voi terrestri, benché non esattamente nel modo in cui si balla attualmente sul vostro mondo », aggiunse con una risata. « Non troveremmo alcun piacere da un ballo tutto balzi, calci e contorsioni come abbiamo osservato sulla vostra Terra, e durante il quale un uomo e una donna si stringono convulsamente per un attimo e un momento dopo si scostano bruscamente. I nostri balli di solito sono collettivi, per quanto spesso avvenga che una o piú persone, ispirate dal momento o dalla musica, danzino per tutti gli altri. Lei ha avuto occasione di vedere molti grandi interpreti del balletto, sulla Terra, e perciò sa quale piacere sia osservare l'elegante movimento di un corpo ispirato dallo spirito ».

 

« Organizziamo anche feste », disse Ilmuth, « anche se non le consideriamo tali. Da noi, si tratta semplicemente di invitare i nostri amici in casa nostra, per parlare e rilassarci insieme. Molte di queste feste si svolgono all'aperto, sulle spiagge o nei giardini. Come le vostre, molte delle nostre case hanno giardini forniti di piscine e di grandi terrazze ».

 

Non avrei mai voluto lasciare quella gente meravigliosa. Ma proprio in quel momento, Ramu si alzò e disse: « Mi dispiace, ora debbo ricondurla sulla Terra ».

 

Mi alzai, e cercai di nascondere il mio rammarico pensando alla possibilità di un altro incontro.

 

Ci salutammo in un'atmosfera di gaiezza, ripromettendoci di ritrovarci di nuovo tutti insieme, in una prossima occasione.

 

Nessuno mi disse di ricordare ciò che mi era stato detto, né di applicarlo in modo adeguato alle mie attività sulla Terra. Mi rimase un'ultima impressione di bellezza, di calore e di amicizia, e la certezza che, una volta liberati dall'ignoranza, anche i popoli del mio mondo avrebbero potuto evolversi nell'eredità naturale di tutta l'umanità.

 

Mentre raggiungevamo la porta che conduceva nella sala comando, io mi soffermai per voltarmi a guardare, in modo da imprimermi nella mente tutti i particolari di quel salone incantevole, dei miei amici e, soprattutto, dell'immagine radiosa della Vita Eterna.

 

* * *

 

Il piccolo Ricognitore era stato ricaricato mentre noi eravamo in visita e adesso era pronto per ricondurci sulla Terra. Il portello era aperto, ed entrammo insieme, io, Ramu e Firkon. Ramu prese posto ai comandi. Il morsetto e il cavo erano stati tolti mentre noi salivamo la scala e, come l'altra volta, la porta si chiuse senza far rumore quando l'ultimo fu entrato.

 

Scivolammo lentamente lungo la rotaia inclinata, passammo attraverso due portelli stagni e ritornammo nello spazio, uscendo dalla parte inferiore dell'astronave-madre. Mentre scendevamo lungo la rotaia, provai nuovamente una sensazione di cadere che mi strinse la bocca dello stomaco, benché questa volta fosse meno intensa e di durata piú breve di quando eravamo entrati.

 

Trascorse un intervallo che mi sembrò assurdamente breve, prima che il portello si riaprisse. Firkon annunciò: « Eccoci qui... di nuovo sulla Terra! ».

 

Questa volta il Ricognitore non si era posato al suolo; era rimasto librato ad un'altezza di circa quindici centimetri.

 

Ramu venne verso di me e tese la mano per salutarmi, dicendomi: « Non verrò con voi in macchina, perché devo rimanere qui, sul Ricognitore. Sono lieto di avere trascorso questa serata in sua compagnia, e spero di rivederla presto ».

 

Ricambiai di cuore i suoi sentimenti!

 

Il viaggio di ritorno all'albergo fu silenzioso, ricco, da parte mia, di pensieri profondi e di vivi sentimenti. Senza dubbio, Firkon lo comprese.

 

Fermò la macchina davanti al mio albergo, ma non scese. Ci stringemmo la mano ed egli disse: « Ci rivedremo presto ».

 

Mi stavo chiedendo quando e dove ci saremmo rivisti; e Firkon rispose a quella tacita domanda: « Non dubiti: verrà avvertito in tempo, e si troverà al posto giusto ».

 

Scesi dalla macchina. Levando una mano in un gesto di addio, Firkon si allontanò, lasciandomi solo sul marciapiede.

 

Entrai nell'albergo e salii in camera mia. Per la prima volta, da quando ero uscito in compagnia dei miei amici, guardai l'orologio. Erano le cinque e dieci del mattino!

 

Non avevo affatto sonno, e non mi sentivo neppure stanco. Sedetti sull'orlo del letto e rimasi cosí, per un'ora buona, a pensare alle esperienze di quella notte. E mentre le rivivevo nella mia mente, non potei fare a meno di riflettere che tutto sarebbe apparso assolutamente fantastico ai miei simili. Tuttavia, dovevo narrarlo...

 

In effetti, io stesso quasi non riuscivo a credere alla realtà di quanto era avvenuto in quelle ultime ore. Tuttavia sapevo che i miei occhi avevano veduto e le mie orecchie avevano udito, e che senza dubbio si era trattato di un'esperienza fisica completa.

 

Alla fine mi spogliai, mi sdraiai e caddi in un sonno leggero. Mi svegliai poco prima delle otto. Mi affrettai a rivestirmi, perché mi era rimasto poco tempo per fare colazione e per prendere l'autobus che mi avrebbe riportato a casa.

 

Mentre viaggiavo in autobus, i miei occhi fisici vedevano il paesaggio terrestre che stavamo attraversando, e alcune delle persone che stavano sedute nelle mie immediate vicinanze. Tuttavia la mia mente, assorta nell'esperienza della notte precedente, stava ancora viaggiando nello spazio, o era con i miei compagni a bordo della gigantesca astronave-madre.

 

L'impressione di essere contemporaneamente in due luoghi diversi si protrasse per parecchie settimane. Mi fu molto difficile ritornare alla schiavitú delle abitudini terrestri. Per quanto fosse stato breve il tempo in cui avevo avuto il privilegio di contemplare l'immensità dello spazio e la bellezza della sua attività costante, serbavo ancora in me quel ricordo meraviglioso. Tutto ciò che avevo imparato da quegli amici venuti da altri mondi non mi era stato dato soltanto per me, ma per essere condiviso da tutti coloro i quali, sulla Terra, erano disposti a riceverlo.

 

 


(7)

 

Il Ricognitore di Saturno

 

 

Il tempo trascorse senza nuovi incontri con i miei amici venuti dagli altri mondi. Eppure avevo spesso la nettissima sensazione che mi fossero vicini.

 

Due mesi dopo, il 21 aprile, provai di nuovo l'impulso improvviso di recarmi in città. Perciò il giorno seguente mi feci portare a Oceanside, dove presi l'autobus del primo pomeriggio per Los Angeles, che mi condusse in quella città poco piú di due ore dopo.

 

Presi alloggio nello stesso albergo della volta precedente e andai in camera mia per rinfrescarmi dopo il viaggio. Poi ridiscesi e andai al bar, a fare quattro chiacchiere con il mio amico barista. Poco dopo ritornai nell'atrio, comprai un settimanale e mi sedetti, ad aspettare.

 

Questa volta, la sensazione di incertezza e di inquietudine interiore che mi aveva assillato nella precedente occasione era completamente assente. Conoscevo il significato dell'impulso che mi aveva indotto a scendere dalle montagne! Perciò lessi con interesse le notizie dall'interno e dall'estero, e ne approfittai anche per leggere un po' « tra le righe ». A parte l'ingresso di due uomini che conoscevo superficialmente e che mi si avvicinarono per scambiare qualche parola, non vi furono interruzioni.

 

All'improvviso alzai lo sguardo, e davanti a me c'era il mio amico marziano, Firkon!

 

Balzai in piedi con un ampio sorriso. Anche Firkon sorrideva con eguale cordialità, e ci scambiammo l'abituale saluto. Poi egli disse una certa parola, sottolineandola in un modo che le conferiva chiaramente un significato particolare.

 

Mentre uscivamo insieme dall'albergo, Firkon mi disse: « La stretta di mano è stata ormai descritta, almeno in parte, e abbiamo pensato fosse piú opportuno aggiungere la parola che lei ha appena udito, come ulteriore segno di riconoscimento tra lei e i rappresentanti dei nostri mondi che prendono contatto con lei. Sarà utile in particolare nel caso che lei venisse avvicinato da qualcuno che non conosce, come potrà avvenire ».

 

« Una precauzione eccellente », riconobbi io. Poi, guardando il mio orologio e notando che erano già le 7 e 15, dissi: « Se i suoi progetti lo consentono, e se non le dispiace mangiare qualcosa, conosco un piccolo caffè qui vicino, dove potremmo sederci e parlare indisturbati ».

 

« Per me va benissimo », disse Firkon, e aggiunse con un sorriso: « Dopo tutto, bisogna nutrire anche il corpo! ».

 

Mentre ci stavamo avviando, chiesi notizie di Ramu. Firkon mi disse che quella sera non sarebbe stato con noi.

 

Il caffè era pieno, ma avemmo la fortuna di arrivare giusto in tempo per occupare un tavolo, mentre gli avventori che l'avevano occupato in precedenza se ne stavano andando. Scambiammo un saluto con la cameriera che venne a riordinare la tavola. Firkon diede una rapida occhiata al menù che la ragazza gli aveva portato, poi lo posò sul tavolo e ordinò un sandwich di pane integrale al burro d'arachide, caffè e una fetta di torta di mele.

 

« Lo stesso per me », dissi io.

 

Non appena rimanemmo soli, Firkon incominciò a parlare in tono sereno.

 

« Mi accorgo che, leggendo quel settimanale, lei è rimasto colpito dal sospetto, dall'antagonismo e dall'odio che i gruppi umani della sua Terra continuano incessantemente ad alimentare contro altri gruppi ».

 

Poiché non avevo continuato a pensare a quel fatto dopo l'arrivo di Firkon, rimasi piuttosto sbalordito nel constatare che si era accorto della mia reazione.

 

« E' molto semplice », mi spiegò lui. « Vi è ancora un fortissimo pensiero in quello che lei chiamerebbe "il fondo della sua mente". Poche persone », prosegui, « riconoscono in se stesse queste emozioni distruttive per ciò che sono: anche coloro che si vantano di possedere un'indole mite. Eppure, pensi che basta un incidente di pochissimo conto perché un uomo perda la calma. Se viene irritato un poco di più, entra nella fase bellicosa, e diventa aggressivo, in nome di quella che chiama "autodifesa".

 

« In effetti, si tratta semplicemente di uno stato di squilibrio emotivo, che porta con sé una furia capace di travolgere ogni ragione. Se viene riconosciuto, questo modello di comportamento può essere modificato, o addirittura interamente soppresso ».

 

In quel momento ci venne servito ciò che avevamo ordinato. Quando restammo di nuovo soli, Firkon prosegui: « La responsabilità della situazione esistente attualmente sulla Terra non può essere attribuita soltanto a pochi esponenti di una qualunque nazione. Negli affari e nei contatti sociali con i miei fratelli terrestri ho incontrato molti individui saturi di queste emozioni distruttive e corazzati di egoismo. Naturalmente, predominano la paura e la confusione. Alcuni sono riusciti ad evolvere una considerazione più elevata nei confronti dei loro simili, cercando di apprendere meglio le leggi universali. Alcuni hanno scelto i canali di ciò che voi chiamate "metafisica" e "occultismo" e con altri nomi del genere. Ma spesso costoro sono dominati da un movente egoistico, dal desiderio di imporsi e di ricavare guadagni personali, più che dal movente universale di dedizione e di benessere comune.

 

« In conseguenza di questo egoismo generale, ha poca importanza la scelta dei capi, anche se vengono eletti dal popolo.

 

I capi sono soggetti alle abitudini della maggioranza, dove la maggioranza è al potere.

 

« Noi degli altri mondi, che abbiamo vissuto tra voi senza farci riconoscere, possiamo vedere con grande chiarezza che è andata perduta l'identità con l'origine divina. Gli esseri umani della Terra sono divenuti entità separate che non sono più realmente umane nell'espressione come lo erano all'inizio. Ora sono semplicemente schiavi dell'abitudine. Tuttavia, imprigionata in queste abitudini vi è ancora l'anima originaria che aspira ad esprimersi secondo la sua eredità divina. Questo impulso represso finisce, per forza di cose, per sconvolgere profondamente l'uomo incatenato al suo solco dal meccanismo dell'abitudine. Ed ecco perché, desiderando un'espressione piú raffinata e più grande, più spesso di quanto gli uomini se ne rendano conto, qualcosa si agita nel profondo del loro essere e lascia irrequieto e perplesso l'io legato alle abitudini. Tuttavia l'abitudine è cosí potente, nel suo effetto cumulativo, che mentre l'uomo desidera ascoltare questa voce mite e saggia, teme di cederle, non sapendo a che cosa potrebbe condurlo. Tuttavia, fino a quando l'uomo non si sarà liberato dai ceppi dell'orgoglio personale e non permetterà a questa voce di guidarlo, continuerà a vivere in guerra con le leggi del suo stesso essere.

 

« Come lei ben sa, finché gli uomini non provano il desiderio di cambiare il loro modo di vivere, nessuno può essere in grado di aiutarli. Quei pochi che, sulla Terra, provano il sincero desiderio di imparare le leggi dell'Essere Infinito devono cercare di guidare e di orientare gli altri sulla retta via. E noi, abitanti degli altri mondi, li aiuteremo ».

 

Avevamo indugiato, dopo avere finito il pasto, mentre Firkon parlava. Poi si alzò. Uscimmo e percorremmo a piedi un paio di isolati, fino a quando raggiungemmo la stessa Pontiac della volta precedente, che era parcheggiata accanto al marciapiede.

 

Era una notte temporalesca, ma io quasi non notai neppure l'uragano. Durante la prima parte del nostro viaggio, la mia mente riconsiderava ciò che aveva detto Firkon. Verso la fine, però, riuscii a pensare soltanto alle nuove avventure che mi attendevano per quella notte. Questa volta mi sembrò che il tragitto fosse più breve, per giungere fino al punto in cui, la volta precedente, avevamo abbandonato all'improvviso l'autostrada. Questa volta percorremmo soltanto una breve distanza, prima che la macchina si fermasse.

 

In un primo momento non riuscii a distinguere nulla, eccetto il profilo di alcune basse colline sulla mia destra e, a quanto riuscivo a vedere, un terreno pianeggiante che si estendeva in tutte le altre direzioni. Per quanto fossi sicuro che avremmo dovuto incontrarci con il Ricognitore, non riuscii a scorgerne la minima traccia, né una luce che potesse rivelarne la presenza. Tuttavia, il mio compagno sembrava molto sicuro della direzione da prendere, e camminammo per diverso tempo, fino a quando le basse colline finirono all'improvviso. Là, in lontananza, potei scorgere una luminosità dolcissima. La mia ansia crebbe mentre ci avviavamo verso quella luce e, dopo aver percorso all'incirca quattrocento metri, potei scorgere la sagoma ormai familiare del Ricognitore.

 

Tuttavia, vi era una certa differenza. Questo era molto piú grande del piccolo apparecchio che ricordavo cosí bene. Doveva avere un diametro superiore ai trenta metri, ed aveva oblò più grandi ed una cupola molto più appiattita (*).

 

(*) Confrontare l'illustrazione n. 2 con la n. 9 (N.d.C.).

 

Una figura stava ritta, profilata contro la luce irradiata dalla nave; a prima vista credetti che fosse il mio amico venusiano: portava la tuta da pilota, simile a quelle indossate dagli sciatori della Terra. Ma il pilota era uno sconosciuto, un bell'uomo alto circa un metro e ottantacinque. Si fece avanti di pochi passi e ci salutò con modi calorosi e amichevoli, stringendoci la mano nel solito modo. Per distinguerlo, lo chiamerò Zuhl.

 

Mi stavo chiedendo se quell'enorme Disco Volante fosse per caso marziano, quando il pilota corresse il mio pensiero, dicendomi: « Questo Ricognitore viene da Saturno, ed è stato portato a sua volta da una grande astronave-madre, simile a quella che lei ha già visitato ».

 

Si voltò e ci guidò verso il Disco, la cui porta era già aperta, ed entrò. Io lo seguii, e Firkon entrò dopo di me.

 

Quell'apparecchio aveva un diametro almeno quattro volte maggiore del Ricognitore venusiano, ed era alto il doppio, forse un poco di più. Il portello si richiuse silenziosamente alle spalle di Firkon, come al solito. Subito la luce all'interno divenne più intensa, e il basso ronzio divenne più forte, mentre i macchinari si mettevano in moto. Sentii una specie di strappo leggerissimo, che non mi fece perdere l'equilibrio, e indovinai che ci eravamo staccati dalla Terra. Mentre mi guardavo intorno, cercando di studiare ciò che mi circondava, il pilota saturniano spiegò che quell'apparecchio non era soltanto più grande del Ricognitore venusiano: ne differiva anche da diversi altri punti di vista. Non era rimasto ad attenderci librato sopra il terreno, bensì posato saldamente al suolo sul suo enorme carrello a tre sfere. Quella scossa che avevo sentito era necessaria per interrompere il contatto con la terra. Zuhl stabili un'analogia: quando un pezzo di ferro è fissato ad un magnete, è necessario uno strappo al momento della separazione.

 

Mentre mi guardavo intorno, notai la solita luce diffusa, bianco-azzurra, e le pareti di tipo identico, di un metallo vitreo traslucido. Sui due lati c'era un corridoio curvo ampio circa un metro e venti, che pareva cingere tutta la nave. Sulla parete esterna di questo corridoio notai un gruppo di oblò, considerevolmente piú grandi di quelli del Ricognitore venusiano; da quel che potevo vedere, giudicai che vi fossero quattro gruppi di oblò, uno per ogni quadrante dell'apparecchio.

 

Davanti a me, un corridoio che aveva la stessa larghezza, con pareti alte che salivano a fondersi nella cupola, correva diritto per circa un terzo del diametro del Ricognitore. In fondo al corridoio, sembrava vi fosse una camera centrale, nella quale potei scorgere un grande asse magnetico collocato al centro esatto della nave.

 

Poi il pilota mi domandò se mi sarebbe piaciuto visitare il Ricognitore durante il volo. E' superfluo aggiungere che accettai! Zuhl, facendomi strada, mi condusse nella camera centrale... uno spettacolo sbalorditivo! E' difficile descrivere qualcosa di tanto insolito e complicato dopo averlo visto per la prima volta. Tuttavia, cercherò di fare del mio meglio.

 

In planimetria, il veicolo spaziale sembrava una ruota. I quattro corridoi erano come quattro raggi che portavano al mozzo: la camera centrale nella quale eravamo entrati. Le pareti misuravano da sei a nove metri, dal pavimento al soffitto, ed erano quasi interamente coperte da grafici e diagrammi illuminati, su cui linee e figure geometriche intessevano quei disegni complessi, dai colori che cambiavano continuamente, che tanto mi avevano affascinato a bordo del Ricognitore venusiano. Erano bellissimi da guardare, e mi incantarono in misura non minore, sebbene continuassi a non comprenderne il significato.

 

A metà altezza, attorno alla parete circolare, correva una balconata metallica, alla quale si giungeva salendo una scala. In alto vi era la cupola traslucida, sormontata da un'enorme lente telescopica. Quasi tutto il pavimento era occupato da una lente altrettanto gigantesca, che aveva un diametro almeno doppio rispetto a quella che avevo vista nel Ricognitore venusiano. Attorno vi erano quattro panche curve, su cui gli osservatori potevano sedersi e guardare, attraverso lo spazio, il pianeta sottostante. Ma l'asse magnetico centrale, che andava dal pavimento alla cupola, dominava l'intera camera. Quell'enorme, silenziosa colonna di energia, che passava attraverso le due grandi lenti, conteneva tutti quei segreti che desidereremmo conoscere: i segreti del volo interplanetario.

 

Come ho già indicato, l'apparecchio era suddiviso in quattro quadranti per mezzo dei quattro corridoi radiali. I corridoi erano collegati alla camera centrale per mezzo di altrettante aperture. Girando sulla sinistra, ci avviammo lungo uno di quei corridoi. A metà circa della sua lunghezza, incontrammo due grandi arcate, una di fronte all'altra, che si aprivano nelle pareti del corridoio. Il pilota mi condusse oltre l'arcata di destra, in una parte della nave che, mi disse, era l'alloggio dell'equipaggio. L'intero quadrante era diviso in un modo molto interessante: davanti a noi c'erano una dozzina di minuscole cabine singole, dove ogni componente dell'equipaggio si recava per dormire. Non entrai in nessuna di quelle cabine, ma poiché tutte le porte erano aperte, potei vedere che erano arredate e attrezzate in modo perfetto e razionale, che avrebbe certamente suscitato l'invidia dei progettisti dei vagoni letto!

 

Una scaletta munita di corrimano saliva verso una sezione immediatamente al di sopra degli alloggi. Ritengo che quella fosse l'unica parte dell'apparecchio in cui vi erano due ponti in un solo quadrante. Lassú vi era una specie di sala da riposo, arredata con divani e comode poltrone, dove i membri dell'equipaggio potevano riposare o conversare. Il soffitto era formato interamente da una sezione della cupola trasparente, e mi fece pensare ad un solarium di sogno. Certamente doveva essere un modo meraviglioso di rilassarsi, sotto l'immensa cupola vitrea, oltre la quale si scorgevano lo spazio e le stelle!

 

Mentre osservavo attentamente tutto questo, mi chiesi quanti potevano essere i membri dell'equipaggio.

 

« Normalmente, l'equipaggio completo è composto di dodici uomini », disse Zuhl, « ma per il momento vi sono soltanto due uomini a bordo, oltre me, poiché non ne sono necessari di più, per un viaggio breve come questo ».

 

Allora mi chiesi se tutti i membri di quel particolare equipaggio fossero tutti saturniani, poiché si trattava di un apparecchio saturniano. Quel pensiero fu subito corretto da Zuhl: « Per quanto questo Ricognitore sia stato costruito su Saturno, non appartiene a nessun pianeta in particolare: lo abbiamo in comune. Perciò, i membri del suo equipaggio provengono da tutti i pianeti.

 

« Come lei può vedere, è un Ricognitore piuttosto grande, ed è stato realizzato per effettuare viaggi su lunghe distanze.

 

Può rimanere lontano dall'astronave-madre per una settimana ed anche piú, senza dover rientrare per la ricarica, poiché ha a bordo generatori appunto per questo scopo. In caso di emergenza, poi, l'energia necessaria per la ricarica può essere trasmessa direttamente attraverso un raggio, dall'astronave-madre, a qualunque Disco ».

 

Mentre stavamo nel corridoio, accanto agli alloggi, mi parve di notare sotto ai miei piedi una leggera vibrazione. Ne compresi il significato quando Zuhl mi spiegò: « Quasi tutti i macchinari sono installati direttamente sotto il pavimento di questa sezione. C'è anche un'officina, dalla quale si può accedere direttamente dagli alloggi ». Cercai con lo sguardo una porta, ma non la vidi: questo, comunque, non mi sorprese.

 

Quando ci avviammo di nuovo nel corridoio, lanciai un'occhiata attraverso l'arcata che portava nel quadrante adiacente. Vidi un bagliore dolcissimo di luci colorate e strani strumenti: quella era la sala comando. Due giovani stavano seduti davanti ai cruscotti. Proseguimmo fino a raggiungere il corridoio circolare esterno.

 

Svoltammo a destra e Zuhl mi disse: « In questa sala c'era un compartimento dove teniamo due piccoli "dischi per registrazione" telecomandati. Sono strumenti estremamente sensibili, e trasmettono ciò che hanno scoperto non soltanto al Ricognitore, ma anche direttamente all'astronave-madre, in modo che sia possibile effettuare una registrazione in duplice copia. Una copia viene collocata negli archivi permanenti di uno dei pianeti, ed è accessibile a chiunque richieda quelle particolari informazioni. Questi minuscoli dischi hanno contribuito in misura rilevante a farci conoscere le condizioni della Terra, di tutto il Sistema Solare, e anche di altri sistemi ».

 

Mentre percorrevamo il corridoio esterno, continuando il nostro giro, passammo davanti a un gruppo di quattro grossi oblò, ma non ci fermammo a guardare fuori.

 

Quando giungemmo ad un altro corridoio radiale, svoltammo di nuovo a destra e ritornammo verso la parte centrale della nave, passando fra due pareti dall'aspetto molto solido, fatte dello stesso materiale traslucido. Erano spesse e robuste, e formavano un elemento strutturale integrale, come i raggi di una ruota. Mi resi conto che la parete alla mia destra doveva essere la parete di fondo dell'alloggio dell'equipaggio. Zuhl mi spiegò che nella parete di fronte si apriva l'ingresso di un ampio magazzino, dove c'erano i viveri e le altre provviste necessarie per un viaggio piuttosto lungo.

 

Quando il pilota parlò di « un viaggio piuttosto lungo », mi chiesi se quella nave poteva effettuare viaggi da un pianeta all'altro senza l'aiuto di un'astronave-madre. Zuhl mi disse che non era cosí, e precisò che i Ricognitori non erano stati costruiti per viaggiare nello spazio esterno.

 

Rientrammo nella camera centrale, dai grafici mobili e lampeggianti alle pareti. Girammo attorno alla lente centrale e uscimmo nel terzo corridoio radiale, l'ultimo che rimaneva ancora da esplorare. Come quello di fronte, aveva due larghe arcate nel punto centrale. Dapprima passammo per l'arcata di sinistra, entrando in una stanza che, mi fu detto, era la cucina di bordo. Tuttavia io non l'avrei mai potuto immaginare perché assomigliava pochissimo alle cucine della Terra. Sembrava una stanza pressoché spoglia, dalle pareti lisce. Ma l'apparenza si rivelò ingannevole. Zuhl mi disse che le pareti contenevano, all'interno, ripostigli e scompartimenti che, come tutte le porte di quell'apparecchio sorprendente, erano invisibili fino a quando non venivano aperti. In quegli armadi c'erano i viveri e tutto il necessario per la preparazione dei pasti.

 

In una delle pareti si vedeva uno sportellino che sembrava di vetro, e Zuhl mi spiegò che quello era il forno. Quando sbirciai, non vidi bruciatori di nessun genere, e Zuhl mi disse: « Noi non cuciniamo il cibo nel modo usato da voi. Viene cotto molto rapidamente per mezzo di raggi o di alte frequenze, un metodo che attualmente si sta sperimentando anche sulla Terra. Tuttavia, preferiamo consumare gran parte del nostro cibo al naturale, e viviamo quasi esclusivamente dei frutti e delle verdure deliziose che abbondano sui nostri pianeti. In sostanza, noi siamo "vegetariani", come direste voi: ma in casi d'emergenza, quando non c'è altro cibo disponibile, mangiamo anche la carne ».

 

Piú tardi mi resi conto che non avevo visto né lavelli né impianti per l'eliminazione dei rifiuti, né tubature: ma, poiché non sono una massaia, sul momento non ne notai l'assenza. Ma senza dubbio dovevano esistere anche impianti di quel genere: probabilmente erano superiori ai nostri in quel modo misterioso in cui era superiore tutto il resto. Non vidi neppure sedie, tavoli o banchi. Senza dubbio, tutto il necessario era nascosto dietro le pareti.

 

Uscimmo dalla cucina ed entrammo in un salone lussuoso quanto quello che avevo visto a bordo dell'astronave-madre venusiana: divani e poltrone di stili diversi erano disposti all'intorno. Vicini a questi sedili c'erano tavolini identici, dai piani trasparenti, carichi di bellissimi, minuscoli ornamenti. Zuhl disse che i membri dell'equipaggio trascorrevano parecchie ore in quella stanza durante i viaggi d'osservazione nell'atmosfera dei pianeti che erano oggetto dei loro studi. Mi spiegò poi che, come i terrestri, praticavano molti giochi che amavano moltissimo, e inoltre usavano ricevere gli ospiti in quel salone.

 

Non vidi né libri né giornali né riviste, e del resto non vidi neppure scaffali che contenessero oggetti del genere. Tuttavia non chiesi se ve ne fossero.

 

Come in tutto il resto della nave, anche il pavimento di quella sala era ricoperto di giallo-grigio. Non aveva un disegno particolare, e benché la superficie fosse solidissima, nel camminarvi sopra ebbi l'impressione che fosse di spugna di gomma molto spessa.

 

Ci fermammo soltanto per un momento in quel salone invitante. Ritornammo nel corridoio centrale, e proseguimmo fino a raggiungere il primo, quello dal quale eravamo entrati nel Ricognitore.

 

Per quanto mi fossero state mostrate e spiegate molte cose, in quella nave affascinante, mi venne permesso di dare soltanto una rapidissima occhiata nella sala comandi, e non mi venne fornita alcuna spiegazione circa l'energia che azionava i vari strumenti ed apparecchi. Sebbene sapessi che viaggiavamo utilizzando le forze naturali dello spazio, trasformate in energia motrice, non riuscivo a comprendere come avvenisse tutto questo, e riconosco di avere sperato di ottenere qualche informazione al riguardo.

 

Ma, con un sorriso quasi di scusa, Zuhl mi disse che non potevano ancora fidarsi di un terrestre fino al punto di rivelargli certi particolari.

 

« Perché », disse, « voi della Terra non avete ancora imparato a controllare le vostre emozioni, il che spesso vi induce a parlare prima di riflettere. In questo modo, lei potrebbe essere indotto a trasmettere incautamente informazioni ad una mente indegna che potrebbe sfruttarle in modo perverso ».

 

Non potei negare che avesse ragione.

 

La nostra visita al Ricognitore era stata rapida, e le spiegazioni mi erano state date mentre continuavamo a camminare. Nonostante questo, avevamo a malapena completato il giro quando Zuhl annunciò: « Abbiamo raggiunto l'astronave-madre, e siamo pronti ad entrare ».

 

Per quanto non mi avessero detto a quale distanza ci trovavamo, ebbi la netta sensazione che questa astronave-madre fosse molto piú lontana dalla Terra di quanto lo fosse stata l'astronave venusiana. Non ebbi neppure la possibilità di osservare l'entrata del nostro apparecchio, perché eravamo vicini al centro del Ricognitore, e lontani dagli oblò. Tuttavia, ebbi l'impressione che si trattasse di un'esperienza molto simile a quella precedente, per quanto vi fosse, nello stesso tempo, una differenza che non saprei spiegare.

 

Mentre scendevamo nell'interno della nave, provai ancora la sensazione di scendere in un ascensore, ma questa volta non mi parve di perdere l'equilibrio.

 

Quando il Ricognitore si fu bloccato sul binario, e il portello si apri su di una piattaforma, come era avvenuto a bordo dell'altra astronave-madre, non c'era nessuno che ci attendesse per fissare morsetti alla flangia e alla ringhiera, a differenza di quanto era stato fatto a bordo della nave venusiana per il Ricognitore piú piccolo.

 

Uscii sulla piattaforma, e immediatamente sentii che questa nave saturniana era diversa, quasi sotto ogni punto di vista, dall'astronave venusiana (*). Mi chiesi quali avventure mi attendevano là dentro, ma non provai neppure per un istante una sensazione di timore.

 

(*) Vedere l'illustrazione n. 3 e confrontarla con quella n. 10 (N.d.C.).

 

In effetti, ogni nuovo incontro con quella gente venuta da altri mondi contribuiva a rendere completamente assurda ogni forma di paura. Tutte le volte ho provato un grande senso di umiltà per il privilegio chi mi era stato accordato: ascoltare le loro parole di saggezza, visitare le loro bellissime navi e viaggiare a bordo di queste. Mi hanno chiesto soltanto di trasmettere la loro conoscenza ai miei simili, a tutti i miei simili. Ed è appunto quel che farò, lasciando a ciascuno il diritto di credere o di non credere, di trarre beneficio da una conoscenza superiore, o di gettarla da parte con derisione e scetticismo.

 

 


(8)

 

Lastronave-madre saturniana

 

 

Ciò che ora tenterò di descrivere è piuttosto complesso. Quasi tutti gli impianti tecnici che io potei vedere dopo essere entrato a bordo dell'astronave-madre saturniana erano, per me, completamente nuovi. In un primo momento non riuscii a comprenderne pienamente le funzioni, ma in seguito i miei ospiti mi aiutarono a capirlo meglio.

 

La piattaforma accanto alla quale ci eravamo fermati (la chiamo « piattaforma », ma in realtà seppi che si trattava di un montacarichi magnetico ampio una quindicina di metri quadrati) serviva a portare persone e cose attraverso lo spessore di quella gigantesca astronave-madre, tramite un pozzo enorme che era profondo sessanta metri, o forse anche di piú. Un asse magnetico saliva per l'intera altezza del pozzo e passava al centro del montacarichi: mi fu spiegato che forniva l'energia per mezzo della quale funzionava il montacarichi stesso.

 

Fu questa la prima cosa — questa ed il grande pozzo che saliva verso l'alto — che mi colpí appena uscii dal Ricognitore.

 

Davanti a noi stava una specie di ballatoio, con ringhiere laterali, che collegava la piattaforma del montacarichi al ponte sul quale era venuto a fermarsi il nostro Disco, perché quella piattaforma di quindici metri quadrati non riempiva completamente l'ampiezza del pozzo. Quella vista mi impressionò moltissimo.

 

Mentre io e Zuhl ci avviammo, mi voltai per guardarmi intorno, intimorito dalla maestosità e dalla costruzione superba di quella nave colossale. Guardando dietro di me potei vedere, ad una grande altezza, al di là della cupola del nostro Ricognitore, il soffitto dell'immensa rimessa attraverso la quale eravamo discesi. Grandi rotaie salivano verso l'alto ed entravano nel soffitto, continuando nella direzione in cui dovevano trovarsi i portelli stagni d'accesso. Potei spingere lo sguardo sino all'apertura dell'astronave-madre dalla quale eravamo appena entrati.

 

Quando giungemmo sulla piattaforma, Firkon mi disse di guardare nel pozzo dell'ascensore. Guardai, e vidi altri tre ponti o livelli sopra di me, e altri tre sotto: in totale erano sette. Su ogni livello si scorgeva la sporgenza del ponte, o ballatoio, che si proiettava nel pozzo per colmare l'abisso tra l'orlo della piattaforma ed il livello vero e proprio. Quelle estensioni, come appresi in seguito, possono venire alzate come ponti levatoi: la loro lunghezza è eguale all'altezza del livello, dal pavimento al soffitto, in modo che quando sono sollevati chiudono l'ingresso, formando tutt'uno con la liscia parete interna del pozzo e isolando quest'ultimo dal resto della nave. Quando la piattaforma del montacarichi arriva a destinazione, questa sezione della parete del pozzo scende in avanti sui cardini, fino a diventare un ballatoio sporgente. Quando questo avviene, le ringhiere del montacarichi scattano in avanti, fino a diventare le ringhiere del ballatoio. Quando il montacarichi prosegue la sua corsa, le ringhiere tornano a staccarsi dal ballatoio e formano il guard-rail del montacarichi stesso.

 

Potei vedere in che modo funzionavano quelle ringhiere subito dopo aver lasciato il Ricognitore. Non appena avemmo attraversato il ballatoio e fummo saliti sul montacarichi, le ringhiere laterali si chiusero dietro di noi, benché non stessimo per salire. Mentre mi guardavo intorno, cercando di imprimermi bene nella memoria tutti i particolari, Zuhl si fermò accanto ad un piccolo pannello di comandi che si trovava a una decina di centimetri dal pavimento de! montacarichi, probabilmente per impedire che qualcuno vi posasse involontariamente il piede sopra.

 

Il pannello era lungo una settantina di centimetri e largo da quindici a venti. Vi erano sei pulsanti disposti in due file, in modo che fosse possibile premerli agevolmente con il piede. Ogni bottone era contraddistinto da un simbolo che ne indicava la funzione, ma io non ero in grado di leggere né di comprendere quei segni.

 

Zuhl premette uno dei pulsanti, e immediatamente le ringhiere dall'altro lato della piattaforma scattarono avanti e assunsero una nuova posizione, come guard-rail del ballatoio sporgente dall'altra parte del pozzo, che ormai avevamo raggiunto. Nello stesso tempo, una porta splendidamente proporzionata e ornata si aprí nella parete accanto a noi, rivelandomi un altro spettacolo meraviglioso.

 

Ci trovavamo ora in un salone di squisita bellezza, molto simile nell'arredamento e nella struttura a quello che avevo veduto a bordo dell'astronave-madre venusiana: tuttavia, era alquanto piú grande. Anch'esso era splendidamente illuminato dalla stessa dolce luce misteriosa che non possedeva una fonte visibile. Tuttavia, la mia attenzione venne attirata quasi immediatamente da sei donne e da sei uomini che, a quanto pareva, stavano aspettando il nostro arrivo. Stavano seduti in gruppo, e conversavano. Quando noi entrammo, si alzarono in piedi e sorrisero. Un uomo e una donna si fecero avanti per salutarci, e ricevettero anche me con la stessa cordialità, sebbene io non li avessi mai visti prima di quel momento.

 

Le donne indossavano bellissimi e semplici abiti fatti di una stoffa che sembrava irradiare quasi una sensazione di vitalità. Ognuna portava un'alta cintura che sembrava fare parte dell'abito, decorata di gemme che scintillavano con una dolcezza e uno splendore quale non ho mai veduto in una gemma della Terra.

 

Queste cinture ingioiellate sono gli unici ornamenti che ho visto portare dalle donne degli altri mondi. E mentre osservavo meravigliato quelle gemme, mi chiesi se, anziché essere di qualità superiore a quelle della Terra, non derivassero per caso il loro splendore straordinario dalla radiazione di coloro che le portavano: questo pensiero fu in seguito confermato da Firkon.

 

Gli abiti delle donne avevano maniche lunghe e ampie, riprese ai polsi, e il collo era tagliato rotondo. Per quanto fossero di colore diverso, a seconda del gusto delle donne che li indossavano, erano tutti di sfumature pastello che conferivano all'intero gruppo un'armonia incantevole.

 

L'altezza delle donne variava da un metro e cinquanta ad un metro e settantacinque. Erano tutte snelle e di proporzioni splendide. I loro lineamenti erano delicati, e i volti incantevoli. I coloriti erano diversi, e andavano dalla carnagione piú chiara, sfumata lievemente di rosa, fino ad un olivastro lieve e morbido. Le orecchie erano piccole: gli occhi grandi e molto espressivi sotto le sopracciglia di linea squisita. Tutte avevano bocche di media grandezza, con labbra naturalmente rosse, la cui intensità di colore variava secondo la carnagione.

 

Portavano tutte i capelli lunghi fino alle spalle, pettinati con scioltezza ma con gusto incantevole. Tanto le donne quanto gli uomini calzavano sandali. Nessuna delle donne dimostrava piú di ventidue-ventitré anni. In seguito, Firkon mi disse che, in realtà, la loro età andava da trenta a duecento anni! Gli abiti ampi e fluenti lasciavano appena intuire la simmetria perfetta dei loro corpi; ma quando, più tardi, si cambiarono indossando uniformi aderenti, la bellezza e la grazia delle loro figure apparvero molto evidenti.

 

Gli uomini portavano lucide bluse bianche, aperte sulla gola, con maniche lunghe e ampie strette ai polsi, piuttosto simili alle camicie portate dagli uomini della Terra nel diciottesimo secolo. Anche i calzoni erano ampi, molto simili ai modelli terrestri. Ma la stoffa aveva una morbidezza ed una consistenza diversa da tutte le stoffe che io avevo visto in vita mia.

 

L'altezza degli uomini variava da un metro e cinquantacinque a un metro e ottantacinque: erano tutti splendidamente formati, e il loro peso doveva essere in proporzione perfetta con la statura. Anche il loro colorito variava, come quello delle donne: notai, comunque, che la pelle di uno di loro aveva un colore che noi definiremmo « rame ». Tutti portavano i capelli scrupolosamente tagliati, sebbene la lunghezza e il taglio fossero leggermente diversi, come avviene sulla Terra. Nessuno aveva i capelli lunghi come Orthon, il mio amico venusiano del primo incontro. In seguito, sono venuto a sapere che aveva una ragione particolare per portarli cosí.

 

I lineamenti degli uomini, per quanto fossero assai belli, non differivano molto da quelli dei terrestri, e sono certo che ognuno di loro potrebbe venire tra noi senza esser mai riconosciuto come extraterrestre. Nessuno dimostrava più di una trentina d'anni, ma in seguito questa mia impressione venne corretta da Firkon, il quale mi disse che, secondo il conteggio terrestre, le loro età andavano dai quarant'anni a diversi secoli.

 

Subito dopo i saluti, venimmo invitati a sederci attorno ad un'ampia tavola ovale, sulla quale stavano calici colmi di un liquido trasparente. Come tutte quelle che avevo veduto, anche questa tavola aveva il piano trasparente, un po' diverso tuttavia dal vetro o dalle plastiche conosciute sulla Terra. Non era coperta da tovaglie, e non era neppure scolpita, incisa o decorata. La sostanza trasparente aveva una bellezza indescrivibile, che non richiedeva alcun ornamento.

 

Le sedie che la circondavano erano molto simili alle nostre sedie per sale da pranzo: erano quindici, un numero corrispondente a quello dei presenti.

 

Quando ci sedemmo — io presi posto fra Zuhl e Firkon — venimmo invitati a bere il liquido contenuto nei calici. Sebbene fosse trasparente come l'acqua piú pura, aveva un sapore simile al succo d'albicocca: dolce e lievemente pesante, assolutamente delizioso.

 

Per quanto mi fosse già stato spiegato il metodo grazie al quale quei viaggiatori spaziali riuscivano ad apprendere tutte le lingue parlate sulla Terra, quella facilità costituiva ancora, per me, un elemento di sorpresa.

 

La donna che si era fatta avanti per prima per accoglierci quando eravamo entrati diede l'avvio alla conversazione, dicendo: « Questa nave è un laboratorio scientifico. Noi viaggiamo nello spazio solamente allo scopo di studiare i mutamenti costanti che vi si verificano. Osserviamo la vita e le condizioni dei molti pianeti che incontriamo mentre procediamo attraverso lo spazio. Naturalmente, è necessario imparare le diverse lingue. E' appunto grazie alle ricerche compiute da astronavi come la nostra che il volo spaziale è stato perfezionato ed ha potuto raggiungere l'attuale livello di sicurezza. In parte, questo le è stato spiegato a bordo dell'astronave venusiana; tuttavia, là non le è stato mostrato come funzionano gli strumenti. Su questa nave, invece, lei vedrà in funzione i nostri strumenti, e noi le spiegheremo alcuni particolari, in modo che le sia possibile acquisire una maggiore conoscenza di come abbiamo imparato a servirci delle forze naturali ».

 

Prosegui, spiegandomi quindi che anche quella nave non apparteneva a nessun pianeta: era un'astronave universale, il cui equipaggio era composto da persone provenienti da molti pianeti, e si trovava in missione per il benessere e l'arricchimento intellettuale di tutti.

 

« Per quanto riguarda questo viaggio in particolare », spiegò, « tre delle donne sono abitanti del pianeta da lei chiamato Marte, e le altre tre provengono da Venere. Di solito, vi sono anche tre donne di Saturno, che però, per determinate ragioni, non hanno potuto prendere parte a questo viaggio insieme a noi. Qualche volta, anche uomini e donne provenienti da sistemi solari lontani dal nostro entrano a far parte dell'equipaggio di questa e di altre navi dello stesso tipo. E sempre, i membri dell'equipaggio hanno ricevuto una preparazione ad opera dei nostri scienziati piú notevoli ».

 

Come se non vi fosse stata alcuna interruzione nella conversazione che si era svolta tra me e Firkon quella sera stessa, venne nuovamente affrontato il problema della situazione di fronte alla quale si trovano gli abitanti del nostro mondo. Come al solito, era interessante notare l'assenza di qualsiasi condanna e di qualsiasi giudizio severo: al contrario, si poteva avvertire una simpatia ed una comprensione vivissima per la popolazione terrestre, travagliata da tante sofferenze.

 

Una delle marziane disse: « Voi terrestri non desiderate mostrarvi veramente tanto crudeli gli uni nei confronti degli altri. Come le è già stato detto, questo non è altro che il risultato della scarsa conoscenza di voi stessi, che vi acceca e non vi permette di avere una chiara visione delle leggi dell'Universo di cui tutti facciamo parte.

 

« Nell'ambito delle vostre famiglie, voi fate un gran parlare dell'amore che provate l'uno per l'altro. Tuttavia, proprio questo amore da voi professato spesso si esprime come una smania di possessione tirannica: e nulla potrebbe essere, più di questo, in contrasto con l'amore allo stato puro. L'amore autentico deve comprendere anche il rispetto, la fiducia reciproca e la comprensione. Come è ben noto sugli altri mondi, l'amore non include neppure in minima parte la possessività che lo corrompe invece sulla Terra.

 

« Noi intendiamo l'amore come una radiazione del cuore stesso della Divinità, che si espande in tutta la creazione, specialmente attraverso l'uomo nei confronti di tutte le altre forme, senza alcuna divisione. In realtà, non è possibile trovare la virtù in una forma e non trovarne neppure un poco in un'altra.

 

« Tuttavia, rammenti quali distorsioni esistono sulla Terra, soltanto perché laggiú l'uomo non sa comprendere né se stesso né il suo Padre Divino. A causa di questa ignoranza, gli uomini vanno in guerra per massacrare spietatamente coloro che appartengono ad altre nazioni, ad altre razze e ad altre religioni, senza rendersi conto di ciò che fanno. Per noi degli altri mondi è difficile comprendere perché gli uomini della Terra non riescano a intendere che non soltanto la distruzione recìproca non costituisce una soluzione per i diversi problemi, ma è per giunta la causa di nuove sofferenze. E' sempre stato cosí e cosí sarà sempre. Ora che la vostra conoscenza scientifica ha superato di gran lunga il vostro progresso sociale ed umano, l'abisso deve venire colmato, e con la massima urgenza. Gli uomini della Terra conoscono la terribile potenza racchiusa nelle bombe che vanno accumulando con l'intenzione di usare gli uni contro gli altri. Tuttavia continuano a portarsi sempre più vicini all'orlo dell'abisso di un'inimmaginabile catastrofe globale. E questo, secondo noi, è stranamente illogico ».

 

« Sí », ammise uno degli uomini. « Spesso il vostro comportamento ci appare illogico. Mi permetta di fare un esempio. Sulla Terra, voi avete padri fisici, non è vero? ».

 

« Sí », risposi.

 

« Se lei avesse due figli, nati dalla sua carne e dal suo sangue, come si usa dire tra voi terrestri, e se per una ragione qualunque uno dei suoi figli si inginocchiasse davanti a lei e chiedesse di benedire la sua intenzione di massacrare il fratello, che è egualmente suo figlio, lei accondiscenderebbe forse a quella richiesta perché suo figlio le ha dichiarato di avere ragione e di considerare il fratello dalla parte del torto? ».

 

Come è ovvio, la mia risposta fu: «Naturalmente no! ».

 

« Eppure », continuò l'uomo, « è esattamente ciò che avete fatto voi terrestri per secoli e secoli. Tutti voi, indistintamente, riconoscete l'esistenza di un Essere Supremo, secondo la vostra comprensione, e sostenete la fratellanza di tutti gli esseri umani. Eppure chiedete all'Eterno Padre di fare tutte le cose che voi stessi non sareste capaci di fare. Infatti, quando siete in guerra gli uni contro gli altri, vi gettate in ginocchio e formulate una preghiera empia. Chiedete al vostro Padre Divino di benedire i vostri sforzi per ottenere una vittoria sui vostri fratelli, addirittura per annientarli.

 

« Noi, che siamo vostri fratelli e viviamo su mondi diversi dal vostro, osserviamo con imparzialità i gruppi divisi che esistono sul vostro pianeta. Noi, che abbiamo acquisito una migliore conoscenza delle leggi del Padre nostro, operanti in tutto l'Universo, non possiamo accettare le distinzioni che causano tra voi tante continue inquietudini, e ci rattristiamo nel vedere ciò che avviene sulla vostra Terra. Noi, in quanto fratelli di tutta l'umanità, siamo disposti ad aiutare tutti coloro che siamo in grado di raggiungere e che desiderano il nostro aiuto. Ma non potremmo mai imporre il nostro modo di vivere al popolo del vostro mondo.

 

« In realtà, sulla Terra non esistono individui interamente malvagi, cosí come non esistono in alcun altro luogo dell'Universo. Se, come affermano molti di voi, le vostre vite sembrano essere "un inferno in Terra", la colpa è esclusivamente vostra. Come tutti gli altri, il vostro pianeta è stato creato dall'Unico Divino Creatore, ed è un luogo sacro, come sono tutte le sue creazioni. Se tutta l'umanità venisse cancellata dalla faccia della Terra, e con essa il dissidio e l'angoscia e il dolore che hanno scatenato quanti non hanno ancora imparato a coesistere, la Terra sarebbe bellissima. Ma non sarebbe certamente bella quanto lo è un mondo in cui tutti gli uomini vivono in uno spirito di fratellanza con tutto l'Universo.

 

« Anche se un uomo è estraneo ad un altro, questo non gli dà il diritto di ignorare, d'insultare o di uccidere un suo simile.

 

« Voi avete dedicato un giorno all'anno alla celebrazione della Fratellanza umana, e riconoscete il Creatore come Padre. Tuttavia, dimenticando integralmente le azioni che tali affermazioni dovrebbero comportate, sprecate denaro e sforzi per realizzare mezzi piú rapidi e più efficienti per colpire e distruggere i vostri simili sulla Terra. Non vi appare strano pregare il Padre Divino perché benedica i vostri tentativi di distruzione spietata?

 

« Noi sentiamo salire queste preghiere dai vostri templi, dalle labbra dei vostri statisti, dalle vostre case e dai campi di battaglia. Non vi rendete conto di esservi allontanati dalla retta via? Infatti, in realtà voi chiedete al vostro Padre Divino di fare ciò che voi stessi non fareste mai con i vostri figli. Non capite fino a qual punto siete diventati ipocriti? E questo è solo un esempio delle tante azioni che voi commettete contro le leggi del vostro Padre Divino.

 

« Fino a quando vivrete in questo modo, divisi e nemici l'uno all'altro, i vostri affanni continueranno a moltiplicarsi. Infatti, quando voi cercate di togliere la vita a vostro fratello, qualcuno cercherà di toglierla a voi. E' questo il significato delle parole pronunciate un tempo da Gesú di Nazareth. Ricordate ciò che egli disse: "Deponi la spada, poiché chi di spada ferisce, di spada perisce". La verità di queste parole è stata dimostrata da tutta la storia dell'uomo sulla Terra ».

 

Quando egli smise di parlare, mi balenò davanti agli occhi una visione della Terra e dei problemi degli uomini che la popolano, e provai un senso di profonda tristezza per i miei simili e per me stesso. Infatti, quella visione mi fece comprendere quanto sia gigantesco il compito di modificare tale situazione: sono troppo numerosi in tutto il mondo coloro che non hanno ancora aperto gli occhi sulle cause di tutto ciò. Il cambiamento diverrà possibile soltanto quando sarà cresciuto a sufficienza il numero di coloro che comprendono le vere cause della situazione e che desiderano con tutto il cuore di modificarle rinunciando all'avidità ed all'ambizione egoistica.

 

Nessun individuo, nessuna nazione, nessuna parte del mondo può essere considerata l'unica colpevole delle condizioni che io mi vedevo davanti, e nessun segmento singolo della civiltà può fare molto per modificarle. La responsabilità ricade su ogni individuo: e chi può cambiare con la forza qualcun altro? E' molto difficile infrangere una schiavitù che costituisce il risultato di secoli e secoli di equivoci, di divisioni e di desiderio personale di potere.

 

Quando mi resi conto di questa profonda verità, mi sentii invadere da un'umile gratitudine verso il nostro Padre Divino, il quale permette ai suoi figli venuti da altri mondi, capaci di comprendere i problemi di noi terrestri, di venirci incontro e di tenderci la mano soccorrevole con amore e compassione. Per quanto essi non possano imporci un cambiamento con la forza e non possano interferire attivamente, possono aiutare i più ricettivi di noi a lottare insieme per un mondo migliore, anziché combattere gli uni contro gli altri e causare in tal modo ulteriori divisioni.

 

Compresi che molto tempo deve ancora trascorrere prima che tale cambiamento abbia la possibilità di verificarsi, perché l'umanità è giunta ad accettare come inevitabili il dolore e l'angoscia, e ben di rado cerca di allontanarsi da questa via ormai familiare.

 

Quando mi riscossi da queste meditazioni, mi accorsi che le donne si stavano alzando dalle loro sedie.

 

« Ora dobbiamo indossare le nostre divise da piloti », mi spiegò un'incantevole bruna. « Poi andremo nella sala strumenti, dove lei vedrà molte delle cose che hanno suscitato la sua curiosità ».

 

La loro uscita mi lasciò la possibilità di osservare i particolari di quel bellissimo salone.

 

Sulla parete che stava direttamente di fronte a noi c'era un'immensa carta del cielo: mostrava i dodici pianeti del nostro Sistema, con il sole centrale. Attorno al nostro c'erano altri sistemi: i soli ed i pianeti erano presentati in un modo che mi giunse del tutto nuovo. Nello spazio, tra i pianeti, vi erano i dettagli delle varie condizioni atmosferiche esistenti, e di cui noi terrestri non sappiamo assolutamente nulla. Mi venne detto che quella conoscenza è della massima importanza per la sicurezza del volo interstellare. Su quella carta vi erano molti segni e simboli che non ero in grado di leggere, ma immaginai che avessero una funzione non dissimile da quelli che figurano sulle nostre carte topografiche di cui si servono gli automobilisti. La mia intuizione venne confermata da uno degli uomini.

 

Oltre a questa carta immensa, sulla stessa parete, ma piú verso il fondo del salone, vi era un diagramma dettagliato della nave; anche questo era segnato da simboli e da caratteri che mi erano completamente sconosciuti.

 

Le altre pareti erano invece ricoperte da paesaggi di alcuni dei pianeti che quell'astronave aveva visitato. Non erano quadri incorniciati appesi alle pareti: sembravano piuttosto simili ad affreschi. Erano cosí vivi che osservandoli si aveva quasi l'impressione di essere fisicamente presenti in ciascuna delle scene rappresentate. Si trattava di una qualità particolare che avevo già notato in tutti i loro dipinti e in tutti i loro ritratti. Mi venne fornita una spiegazione: qualunque cosa facciano gli abitanti degli altri mondi, trasfondono nel loro lavoro una parte cosí grande della loro personalità da farvi vibrare la loro stessa forza vitale.

 

I paesaggi erano quasi perfettamente identici ai quadri ed alle fotografie di scene terrestri: mostravano montagne, valli, fiumicelli ed oceani.

 

Vidi che le sei donne erano ritornate: adesso indossavano le tute da pilota. Al loro ingresso, gli uomini si alzarono da tavola, ed uno di loro disse: « Ora ci recheremo nel laboratorio ».

 

Ci dirigemmo tutti insieme verso il montacarichi con il quale eravamo arrivati. Quando ci accostammo, la porta si aprí senza far rumore, benché io non vedessi nessuno premere un pulsante; è possibile che funzionasse in modo non dissimile alle nostre cellule fotoelettriche.

 

Salimmo tutti e quindici sul montacarichi e Zuhl lo mise in moto: lo vidi avvicinarsi ad un altro pannello di comandi, nel-l'angolo opposto a quello da me descritto in precedenza. Premette con il piede uno dei bottoni, e cominciammo a scendere, lentamente e silenziosamente.

 

Quando fummo sotto al livello del Ricognitore, il quale si trovava ancora dove noi l'avevamo lasciato, notai un locale immenso, che si estendeva fin verso l'estremità dell'astronave. Al centro di questo, ad angolo retto rispetto al pozzo del montacarichi vi era un paio di binari. Su di essi stavano altri quattro Ricognitori, identici per grandezza e per forma a quello che ci aveva portato dalla Terra fin lassú. Era evidentemente l'hangar in cui venivano sistemati durante i voli interplanetari dell'enorme astronave-madre. Lungo l'orlo esterno, un poco più in basso dei binari, c'era un ballatoio largo un paio di metri, fiancheggiato da una parete.

 

Oltrepassammo altri due ballatoi sotto a quello che avevamo percorso per entrare nel salone, e immaginai che ognuno di essi portasse ad un altro ponte della gigantesca astronave. Arrivato al terzo ballatoio, il montacarichi si fermò: alzando lo sguardo, dal fondo del grande pozzo, potei contare i sette ponti che si trovavano su quel lato dell'astronave.

 

Quando il montacarichi si fermò dolcemente, senza scosse, la ringhiera si aprí. Mentre scendevamo, avevo notato una coppia di binari che continuavano attraverso la parte anteriore più bassa della nave: formavano uno scambio a V con i binari sui quali era entrato il nostro Ricognitore, e compresi che avremmo dovuto percorrerli quando avremmo lasciato l'astronave per fare ritorno alla Terra. Ciò significava che quell'intera sezione della nave era occupata dalle gallerie d'arrivo e di partenza, dal pozzo principale e dall'enorme hangar dei Ricognitori. Nella stessa sezione, probabilmente vicino all'hangar, c'era forse un altro hangar destinato ai lavori di manutenzione, mentre, al di là di quello, alla estremità della nave, sapevo che dovevano esservi una sala comando e una cabina di pilotaggio. Mi era stato detto che ve ne era una ad ogni estremità di quelle astronavi gigantesche. Venimmo quindi introdotti in un locale grandissimo: il laboratorio.

 

 


(9)

 

Il laboratorio

 

 

Non avevo mai visto nulla di simile a quel locale, pieno degli strumenti piú sbalorditivi che si possano immaginare. C'erano file e file di grafici e di pannelli di comandi. Mi sembrò che ognuno di quegli strani strumenti, da me visti per la prima volta, fosse dotato di un proprio ampio pannello di comandi. Sei erano già in azione, ed i sei uomini che ci avevano accompagnati dal salone al laboratorio presero immediatamente posto dietro ad altri sei: tuttavia, ne rimasero ancora parecchi senza operatori. Notai, sulla spalla sinistra di quattro degli uomini, simboli simili a mostrine.

 

La donna pilota che stava piú vicino a me disse: « Tutti gli operatori di questi strumenti sono ciò che lei chiamerebbe scienziati esperti. I simboli che quei quattro uomini portano sulle spalle indicano che sono saturniani ».

 

Come avevo notato in tutti i casi precedenti, i grafici mostravano luci colorate, con linee e figure di vario genere: ma non vi erano i quadranti ed i contatori usati comunemente sulla Terra. Sebbene avessi ormai visto parecchi grafici, per me costituivano tuttora un mistero.

 

« E' qui che noi controlliamo la densità dell'atmosfera che circonda la Terra », continuò la pilota, « o i pianeti o corpi celesti ai quali ci accostiamo. Studiamo accuratamente le combinazioni degli elementi dell'atmosfera che circonda ogni corpo celeste, e le combinazioni degli elementi nello spazio aperto. Benché queste siano in continuo mutamento, vi è sempre uno schema di comportamento in armonia con le leggi universali. Ciò fa si che certe combinazioni perdurino per periodi piú lunghi di altre. Osservando le attività dello spazio, siamo in grado, fra le altre cose, di notare la formazione di ogni nuovo corpo celeste e di determinare la rapidità del suo sviluppo ».

 

Quell'informazione fu per me una vera sorpresa: sarei stato ben lieto di fermarmi in quella sala ad osservare, cercando di sviscerare il funzionamento di quegli strumenti, alcuni dei quali somigliavano moltissimo ai nostri televisori più grandi, perché speravo che mi avrebbero aiutato a comprendere ciò che rivelava l'andamento dei mutamenti.

 

Ma la pilota mi disse: « Ora andremo a vedere qualcosa che ha egualmente destato la sua curiosità ».

 

Mi condusse attraverso il grande laboratorio; Firkon, Zuhl e le altre donne ci seguirono. Cominciammo a salire una rampa che si estendeva per tutta l'ampiezza della nave, e continuammo a salire, passando su di un'altra rampa che portava in una grande sala.

 

Sembrava che le meraviglie non dovessero finire mai. Ogni passo mi rivelava nuovi prodigi, e incominciai a temere che non sarei riuscito a ricordarne neppure la metà. I miei amici, tuttavia, mi assicurarono che, quando sarebbe venuto il momento di scrivere, mi avrebbero aiutato a rammentare in tutti i particolari un quadro esatto degli eventi vissuti a bordo dell'astronave. Non credo vi siano mai stati molti uomini che abbiano vissuto una notte tanto ricca di sorprese, di bellezza, di spettacoli immensamente istruttivi, di suoni e di conversazioni.

 

Con mio grande interesse vidi dodici minuscoli Dischi allineati in due file sui fianchi contrapposti della nave. Indovinai che quelli dovevano essere i dischi registratori, i piccoli apparecchi telecomandati lanciati dalle astronavi-madre per effettuare osservazioni da distanze ravvicinate. Avevano all'incirca un metro di diametro; erano fatti di un materiale liscio e lucente, ed avevano la forma di due piatti, o di due coprimozzo, rovesciati l'uno contro l'altro e saldati agli orli, in modo che la parte centrale aveva lo spessore di pochi centimetri. Venni tuttavia a sapere che quei dischi variavano di grandezza, da trenta centimetri a tre metri e mezzo, a seconda delle apparecchiature in essi contenuti. Come ho già spiegato altrove, contenevano strumenti estremamente sensibili che non soltanto guidavano il minuscolo Disco sulla rotta prestabilita, ma trasmettevano all'astro-nave-madre informazioni complete su ogni genere di vibrazione che si produceva nell'area osservata.

 

Le vibrazioni comprendono una vastissima gamma di onde sonore, radio e luminose, e persino le onde del pensiero: tutte potevano venire trasmesse all'astronave-madre, dove venivano registrate e analizzate. Tecnicamente, forse, quei minuscoli Dischi costituiscono il prodotto piú splendido dell'ingegneria interplanetaria che io ho veduto fino a questo momento. Infatti, oltre a svolgere le funzioni da me elencate, erano anche in grado di cadere sulla Terra, rapidamente, con una specie di esplosione; oppure, se fossero state in pericolo delle vite e delle proprietà al suolo, potevano disintegrarsi con un processo graduale. Quelle minuscole meraviglie aeree erano allineate su ampie tavole ai due lati della sala, ed erano posate su di una specie di solco. Nella parete della nave, immediatamente dietro ad ogni disco, vi era un'apertura simile ad un oblò o ad una botola, larga quanto bastava per lasciarli passare. Peraltro, quando entrammo, tutti gli oblò erano chiusi.

 

Distogliendone lo sguardo per un attimo, mi guardai intorno. Notai che le rotaie della galleria d'uscita dei Ricognitori scendevano attraverso il soffito, nell'estremità più lontana della sala, e poi continuavano a scendere attraverso il pavimento. Tornai a guardare i Dischi ed osservai un lungo pannello di comandi incorporato nella parte anteriore delle tavole che li sostenevano.

 

Quando entrammo nella sala, non avevo visto sedili di sorta, ma quando le sei donne presero posto davanti ai quadri dei comandi, dal pavimento salirono silenziosamente piccoli sedili simili a sgabelli: probabilmente erano stati azionati da pedali.

 

Quei quadri dei comandi erano leggermente diversi da quelli che avevo già visto: non so con certezza se vi fossero minuscoli bottoni inseriti nei pannelli o se venivano azionati per mezzo di tasti, come organi. Ricordo di avere notato che le sei donne sembravano mimare un concerto silenzioso. Era affascinante vedere che, quando un Disco aveva ricevuto le istruzioni complete, una delle botole si apriva e il Disco scivolava dolcemente nell'orificio, passando attraverso portelli stagni prima di sfrecciare nello spazio per compiere la sua missione.

 

Zuhl era rimasto accanto a me ed a Firkon; quando domandai dove erano andati i Dischi, fu lui a rispondermi: « Ritorniamo nel laboratorio, dove potremo seguire il loro volo sui quadri degli strumenti ».

 

Mentre tornavamo indietro, Zuhl ricordò che ora l'astronave-madre era in moto, ma non mi rivelò la destinazione. Io non mi ero accorto di alcun movimento, né avevo udito suoni particolari.

 

Ritornammo nel laboratorio, dove tutti gli uomini stavano ancora facendo funzionare gli strumenti che avevano davanti. Notai, su uno degli schermi, linee che prendevano forma, scomparivano e riapparivano in nuove formazioni. Poi le linee venivano sostituite da punti rotondi e da lunghe strisce, che prendevano rapidamente la forma di diverse figure geometriche. Nello stesso tempo, altri schermi mostravano colori diversi, di intensità variabile, alcuni a lampi, altri a onde. Di tanto in tanto, vi prendevano forma alcune figure, che cambiavano anch'esse di aspetto e di dimensione: per me, era tutto molto misterioso.

 

« Gli uomini stanno registrando con i loro strumenti ciò che avviene sugli schermi », mi spiegò il pilota saturniano. « E piú tardi tutto verrà registrato in dischi educativi ».

 

La curiosità mi spinse a chiedere che ne era stato dei due Dischi che avevo visto uscire dalla nave.

 

Il pilota mi spiegò: « Ora i Dischi sono librati su di una certa località abitata della Terra, e registrano i suoni che se ne irradiano: lo può vedere sullo schermo, sotto forma di linee, punti e strisce. Le altre macchine stanno raccogliendo queste informazioni e le interpretano, producendo immagini dei significati dei segnali, contemporaneamente ai suoni originali ».

 

Zuhl dovette rendersi conto che non avevo compreso troppo bene, perché continuò a spiegare: « Tutto, nell'Universo, ha un suo schema particolare. Per esempio, se qualcuno pronuncia la parola "casa", nella sua mente si forma l'immagine di un'abitazione, di qualunque genere essa sia. Nello stesso modo vengono registrate molte cose, comprese le emozioni umane.

 

« Servendoci di queste macchine, noi sappiamo persino ciò che sta pensando la sua gente, e se è ostile o meno nei nostri confronti. Infatti, se vi sono parole dure e minacciose, o addirittura pensieri di questo genere, produrranno immagini espressive, ed i nostri registratori le capteranno esattamente. Nello stesso modo, noi sappiamo chi, tra voi terrestri, si dimostrerà amichevole e ricettivo. Tutto, nell'intero Universo, è formato da "vibrazioni" come dite voi sulla Terra, o meglio, come avete preso a dire in tempi piú recenti, da "frequenze". E' grazie a tali frequenze o vibrazioni che noi possiamo imparare le lingue degli altri mondi ».

 

Nel corso di questa spiegazione, io avevo continuato a osservare gli schermi e i disegni sempre mutevoli. Pensai che tutto sembrava relativamente semplice, e mi chiesi perché mai i nostri scienziati terrestri non avessero scoperto già da molto tempo una procedura analoga. Mentre formulavo questo pensiero, senza esprimerlo a parole, il mio compagno rispose: « In una certa misura, Io hanno fatto. Questo sistema non è molto diverso dai vostri nastri e dagli altri sistemi di registrazione. Il principio basilare è lo stesso; noi, tuttavia, lo abbiamo sviluppato più ampiamente. Invece di limitarci a raccogliere le numerose frequenze del solo suono, ora siamo in grado anche di tradurlo in forma di immagini. Voi lo fate, in modo parziale, in quel sistema di comunicazione che chiamate televisione. Ma anche in questo settore, siete ostacolati dalle limitazioni delle vostre conoscenze ».

 

Mentre Zuhl mi stava fornendo queste spiegazioni, aveva continuato ad osservare attentamente i numerosi schermi. Quando ebbe finito di parlare, propose di recarci nella sala dei Dischi, per assistere al ritorno dei minuscoli messaggeri.

 

Eravamo appena giunti in quella sala quando le due botole, che sembravano grandi oblò inseriti nella parete della nave, si aprirono per accogliere i Dischi che stavano tornando. Si fermarono al loro posto silenziosamente, come se fossero guidati da una mano invisibile.

 

Non ebbi il tempo di reagire a quel nuovo spettacolo meraviglioso, perché Zuhl disse tranquillamente: « Continui a osservare! Sta per venire lanciata un'altra coppia di Dischi, uno per parte: e questa volta per uno scopo diverso. Ci troviamo ancora nell'atmosfera della Terra, e quando i dischi saranno partiti, ritorneremo al laboratorio, e lei potrà vedere come funzionano ».

 

Mentre guardavo, i portelli che stavano dietro ai primi due Dischi si chiusero rapidamente dietro di loro. Più oltre, lungo la fila, si aprirono altri due portelli, uno su ogni Iato della sala.

 

Intanto le donne continuavano a suonare un agile « scherzo » silenzioso sui pannelli degli strumenti.

 

Quando la seconda coppia di Dischi lasciò l'astronave, noi tre ritornammo nel grande laboratorio. Per la prima volta, notai che erano in funzione altri due schermi, che erano suddivisi in sezioni.

 

Zuhl spiegò: « Quelli mostrano le condizioni atmosferiche ».

 

In una delle sezioni potei osservare il movimento dell'aria, mentre la sua velocità e la sua consistenza venivano registrate da altri strumenti, ed i segnali si muovevano sull'ampiezza dello schermo. La carica elettrica o forza magnetica dell'atmosfera sembrava muoversi nella direzione opposta, e si poteva vedere su di un'altra sezione di quello schermo, mentre la sua composizione (a carica leggera o pesante, a quanto capii) veniva misurata e registrata. Su di una terza sezione, venivano separati molti dei gas di cui si compone la nostra atmosfera, e qui potei vedere i rapidi cambiamenti di combinazione che avvengono costantemente. Le intensità diverse della pressione atmosferica e di molte altre condizioni, che sono completamente ignorate dai nostri scienziati, erano estremamente interessanti da osservare. Tutto ciò che veniva riprodotto sugli schermi veniva contemporaneamente registrato da altri strumenti, archiviato e reso disponibile agli abitanti di altri mondi per i loro futuri studi.

 

Dopo un intervallo di tempo che mi parve soltanto di pochi minuti, i Dischi ritornarono ad attaccare all'interno dell'astro-nave-madre; mi fu detto che avevano prelevato alcuni campioni della nostra atmosfera, che piú tardi sarebbero stati estratti e studiati.

 

« E' stato per mezzo di Dischi simili a questi », mi disse Zuhl, « che ci accorgemmo per la prima volta delle condizioni anormali che si andavano determinando all'estremità superiore della vostra atmosfera: e quelle condizioni si accentuano ogni volta che sulla Terra viene fatta esplodere una nuova bomba atomica o all'idrogeno. E poiché questi strumenti sono sempre in funzione, ci dicono ciò che dobbiamo aspettarci di incontrare quando ci spostiamo attraverso lo spazio ».

 

Mentre stavamo parlando nel laboratorio, la mia attenzione venne attirata dal pilota su di uno schermo particolare. « Qui può vedere », mi disse, « immagini visuali della polvere che voi terrestri chiamate "detriti spaziali". Ci vengono trasmesse in questo momento da due dei Dischi ».

 

Era veramente affascinante osservare sullo schermo il comportamento di quelle minuscole particelle di materia. C'era una attività costante, vorticosa. Qualche volta, quella materia finissima sembrava condensarsi fino ad assumere la parvenza di un corpo solido, ma poi scompariva, ritornando praticamente invisibile. Qualche volta, tali formazioni divenivano cosí rarefatte e sottili che sembravano quasi essersi trasformate in gas puri. In un certo senso, quello spettacolo mi ricordava le piccole nuvolette bianche che si formano all'improvviso in un cielo limpido, e magari diventano più grandi, e poi scompaiono altrettanto rapidamente nel nulla. Questa, almeno, è l'analogia migliore che mi viene in mente per descrivere l'attività alla quale assistetti su quegli schermi.                  angelo-luce.it

 

Tuttavia, ad ogni formazione di corpi di particelle, sembravano prendere forma solida certe quantità di energia, che poi si dissipavano immediatamente in un'esplosione o in una disintegrazione improvvisa, perfettamente visibile sugli schermi. Altri strumenti ne registravano l'intensità e la composizione. Qualche volta, le formazioni si creavano con grande intensità, e l'« esplosione » che seguiva era altrettanto violenta. Altre volte, invece, il processo era blando, a malapena percettibile. Ma il ciclo era incessante: energia vorticante, solidificazione, disintegrazione; un moto perpetuo di energia e di materia finissima che cercavano sempre di combinarsi o di reagire con altre particelle sospese nello spazio. Uso il termine « energia » perché ritengo che non esista una parola più adatta per indicare ciò che stavo osservando. Sembrava dotata di grande potenza, ed io notai che quando si raccoglieva in una formazione a lenzuolo o in un corpo simile ad una nuvola, sembrava disturbare tutto ciò che si trovava vicino, nello spazio.

 

Ritengo di avere visto con i miei occhi la forza stessa che pervade tutto lo spazio, e dalla quale vengono formati i pianeti, i soli e le galassie: la stessa forza che sostiene ogni attività di vita in tutto l'Universo.

 

Quando incominciò a farsi luce, dentro di me, questa certezza, riuscii ad accettare soltanto per metà i suoi immensi sottintesi. Zuhl, intuendo il mio sbalordimento interiore, sorrise affermativamente e disse: « Si, e questa è la stessa energia che fa muovere nello spazio le nostre astronavi ».

 

Per qualche tempo ancora rimasi ad osservare gli schermi.

 

pieno di meraviglia per ciò che vedevo. Poi il mio compagno attirò nuovamente la mia attenzione sui Dischi.

 

« Questi minuscoli Dischi Volanti vengono avvistati spesso mentre si muovono nello spazio, e qualche volta anche a bassa quota, vicino alla superficie terrestre. Di notte sono luminosi; sorvolano la Terra registrando le varie onde che emanano dal corpo del pianeta, onde che, come ogni altra cosa, sono in movimento costante e cambiano continuamente lunghezza e intensità. Quando è possibile, queste minuscole macchine complesse ed estremamente sensibili vengono fatte rientrare nell'astronave-madre: ma qualche volta accade che, per diverse ragioni, il contatto si interrompa, e sfuggano al controllo o precipitino al suolo. In questi casi, viene immediatamente intrapresa una procedura di emergenza. Sui due lati dell'astronave-madre, proprio al di sotto dei portelli per il lancio dei Dischi, esiste un proiettore di raggi magnetici. Quando un Disco sfugge al controllo, viene proiettato un raggio che lo disintegra. Questo spiega alcune delle esplosioni misteriose che hanno luogo nei vostri cieli, e che non possono venire attribuite all'artiglieria, agli aerei a reazione e all'elettricità dei temporali. D'altra parte, se un Disco sfugge al controllo in prossimità della superficie del pianeta, dove un'esplosione potrebbe provocare danni, lo si lascia scendere al suolo, e lo s'investe con una carica molto debole. Invece di provocare un'esplosione, questa carica fa sí che il metallo si disintegri lentamente. Dapprima si ammorbidisce, poi si trasforma in una specie di gelatina, poi in un liquido, e finalmente assume lo stato libero di gas, e si disperde senza lasciare il piú piccolo relitto. Questo processo non può causare danni né alle persone né alle cose, anche se il Disco viene toccato mentre avviene il procedimento di disintegrazione. L'unico inconveniente serio potrebbe accadere se. per caso, qualcuno lo vedesse scendere e lo toccasse nel momento in cui viene fatto scoccare il raggio ».

 

Quando il saturniano mi descrisse il raggio magnetico, pensai che sarebbe stato un magnifico mezzo di protezione contro chiunque tentasse di attaccare le loro navi.

 

Ricevendo il mio pensiero, il saturniano rispose: « Sí, infatti è perfettamente possibile servirsi di queste macchine contro esseri viventi o contro qualunque forma, inclusi i pianeti. Tuttavia, non lo abbiamo mai fatto, e non lo faremo mai, in alcun modo, perché se Io facessimo non saremmo migliori degli abitanti della Terra.

 

« La nostra protezione migliore, come è stato dimostrato parecchie volte quando siamo stati inseguiti dai vostri aerei, consiste nella nostra capacità di fuggire ad una velocità che i vostri occhi non riescono a percepire. Inoltre, possiamo poi aumentare la frequenza dell'area attivata di una nave, fino al punto di renderla invisibile. Se non provvedessimo noi stessi a prendere certe precauzioni, i vostri aerei potrebbero andare a sbattere contro i nostri apparecchi senza neppure vederli. Se vi permettessimo comunque di avvicinarvi al punto di scontrarvi, vi accorgereste che i nostri apparecchi sono solidissimi, anche se funzionano ad una frequenza inferiore. L'urto vi distruggerebbe, senza causare a noi il minimo danno ».

 

« Da ciò che mi è stato detto », dissi io, « deduco che qualche volta anche i vostri meravigliosi veicoli spaziali possono avere qualche avaria ».

 

« Sí », rispose lui. « In casi del genere, se ci troviamo nello spazio aperto, possiamo abbandonare la nave, quando non è possibile recuperarla. Allorché ciò si rende necessario, l'astronave viene disintegrata e si disperde negli elementi originari dello spazio. Tutte le grandi astronavi sono dotate di piccoli apparecchi d'emergenza, con viveri a sufficienza e con gli strumenti necessari per comunicare con le altri navi che si trovano nello spazio, o addirittura con un pianeta. Tuttavia, se un incidente del genere dovesse verificarsi vicino a qualche corpo celeste precipiteremmo, esattamente come accade ai vostri aeroplani ».

 

Gli domandai, immediatamente: « E allora, tutti coloro che si trovano a bordo rimangono uccisi? ».

 

« Sí », rispose lui, « ma grazie alla nostra comprensione della verità, la morte non ci fa paura. Ognuno di noi riconosce se stesso come intelligenza, non già come corpo. Infatti, attraverso la rinascita, noi riceviamo un corpo nuovo.

 

« Inoltre, sempre grazie alla nostra comprensione della verità, non possiamo mai distruggere deliberatamente un altro corpo attraverso il quale si esprime l'intelligenza. Tuttavia se dovessimo, non intenzionalmente, causare la morte di qualcuno, non verremmo ritenuti responsabili, perché il fatto non si può verificare certo per nostro desiderio ».

 

Mentre eravamo fermi a parlare, gli strumenti continuavano a funzionare. Guardavo lampeggiare gli schermi, e mi chiesi se vi erano altre macchine e altri strumenti che non avevo ancora avuto la possibilità di vedere.

 

Rispondendo a quel mio pensiero inespresso, Zuhl disse: « Sí, ve ne sono moltissimi altri, in un'altra grande sala che si trova tra la sala dei Dischi e la cabina di pilotaggio; entrano in funzione soltanto quando effettuiamo voli interplanetari ».

 

Durante la visita al laboratorio e alla sala dei Dischi, avevo completamente dimenticato che il tempo passava. Non sapevo se ci trovavamo ancora nell'atmosfera terrestre o se ci stavamo muovendo rapidamente nello spazio poiché, sebbene avessi continuato a osservare gli schermi, ero incapace di interpretarli come facevano invece gli altri. Ma in quel momento il pilota saturniano mi disse: « Non siamo molto lontani dalla vostra Luna ».

 

A quelle parole provai un brivido di eccitazione e chiesi se saremmo atterrati.

 

« No », mi rispose Zuhl. « Questa volta no. Ma vogliamo farle vedere con i suoi occhi la verità di ciò che lei ha intuito a proposito della Luna. La Luna ha atmosfera, come può vedere sui nostri strumenti, ora che siamo abbastanza vicini per registrarla. Naturalmente, l'aria non costituisce un ostacolo che impedisce di vedere un altro corpo celeste, come abbiamo sentito affermare talvolta sulla vostra Terra. E mentre voi, dal vostro pianeta, non vedete dense nuvole muoversi attorno alla Luna, i vostri scienziati hanno osservato talvolta quello che chiamano "un lieve movimento d'aria", specialmente nelle sacche delle valli da voi battezzate "crateri". In realtà, ciò che essi vedono sono le ombre delle nuvole che si spostano. La faccia della Luna che voi potete osservare dalla Terra non ha molte occasioni di mostrarvi le sue nuvole, che molto di rado sono dense e pesanti. Tuttavia, proprio al di là dell'orlo della Luna, sopra la sezione che potrebbe venire chiamata "zona temperata", potrà vedere, grazie ai nostri strumenti, che vi sono nuvole piú pesanti, le quali si formano, si muovono e si dissolvono, esattamente come avviene nell'atmosfera della Terra.

 

« La faccia della Luna che voi potete vedere dal vostro pianeta è paragonabile alle vostre aree desertiche. E' caldissima, come affermano giustamente i vostri scienziati, ma le sue temperature non sono affatto estreme come essi ritengono. E mentre la faccia che voi non potete vedere è più fredda, non lo è quanto credono i vostri scienziati. E' molto strano che gli abitanti della Terra credano ciecamente a coloro che considerano uomini autorevoli, senza porre in discussione i limiti della loro conoscenza.

 

« Attorno al centro della Luna vi è una sezione o fascia bellissima, nella quale prosperano vegetazione, alberi e animali, e in cui gli esseri umani vivono comodamente. Anche voi terrestri potreste vivere benissimo in quella parte della Luna, perché il corpo umano è la macchina piú adattabile dell'Universo.

 

« Molte volte, voi terrestri avete compiuto ciò che definite "impossibile". Nulla di quanto esiste nell'immaginazione dell'uomo è veramente impossibile da realizzare. Ma per ritornare alla Luna, ogni corpo nello spazio, sia caldissimo o freddo, deve avere necessariamente una specie di atmosfera, come la chiamate voi, o gas che permettano questa azione. Eppure i vostri scienziati, pur sostenendo che non esiste aria attorno alla Luna, ammettono che su quel corpo celeste vi sono tanto il caldo quanto il freddo! La Luna non ha un'atmosfera paragonabile a quella della vostra Terra o del nostro pianeta, perché è molto più piccola dell'una o dell'altro. Tuttavia, vi è presente un'atmosfera.

 

« Forse potrò riuscire ad illustrare la mia affermazione con maggiore chiarezza », continuò il saturniano. « Sulla Terra, voi avete un'isoletta sperduta in un oceano. Non si scorgono altre terre, fin dove giunge lo sguardo, tuttavia gli uomini possono vivere su quell'isola esattamente come vivono sulle masse più grandi, da voi chiamate "continenti". I corpi nello spazio sono come isole. Alcuni sono grandi, altri piccoli, ma tutti indistintamente sono circondati e alimentati dall'unica forza che dà loro la vita.

 

« Molti dei vostri scienziati hanno espresso l'opinione che la Luna sia un corpo morto. Se questo fosse vero, se la Luna fosse veramente morta, secondo il significato che voi attribuite a questa parola, sarebbe ormai svanita da molto tempo dallo spazio, disintegrandosi. No! E' vivissima, e sostenta forme di vita che includono anche esseri umani. Anche noi abbiamo un grande laboratorio che si trova appena al di là dell'orlo della Luna, al di fuori della portata degli occhi terrestri, nella sezione più temperata e fresca di quel corpo celeste ».

 

Gli domandai se l'astronave poteva avvicinarsi quanto bastava per consentirmi di vedere con i miei occhi fisici la superficie del nostro satellite.

 

Zuhl mi sorrise e disse: « Non sarà necessario. Venga a vedere... Con questo strumento noi possiamo avvicinare la Luna, in modo che lei potrà vederla come se vi camminasse! ».

 

Gli chiesi a quale distanza ci trovavamo dalla Luna, e Zuhl mi rispose: « Circa sessantamila chilometri ».

 

Speravo vivamente che avremmo girato attorno al satellite, perché desideravo di poter vedere con i miei occhi ciò che vi era sull'altra faccia, nella zona temperata di cui mi aveva parlato il saturniano. Nello stesso tempo, mi rendevo conto che potevano esserci cose che preferivano non farmi vedere. Questo pensiero ricevette un'immediata conferma dal pilota.

 

« Dobbiamo metterla alla prova con le informazioni che le sono già state affidate, prima di rivelarle alcune cose. Noi comprendiamo, forse meglio di lei, le debolezze degli uomini, anche di coloro che hanno un vivissimo desiderio di fare del loro meglio. Dobbiamo essere molto prudenti, per non contribuire alla distruzione della Terra ».

 

Mentre veniva regolato lo strumento che mi avrebbe permesso di vedere da vicino la Luna, io pensavo, sbalordito, quanto erano completamente errate le nostre idee al riguardo di quel mondo che è il corpo celeste a noi piú vicino. Molti dei crateri, infatti, sono in realtà grandi valli, circondate da montagne scoscese create da antichi, terribili sconvolgimenti.

 

Potei vedere prove inconfutabili del fatto che, sulla faccia visibile dalla Terra, un tempo doveva esservi stata grande abbondanza d'acqua.

 

Zuhl disse: « Ve ne è ancora moltissima sull'altra faccia; inoltre, grandi quantità sono nascoste assai profondamente nelle montagne di questo emisfero ». Poi m'indicò, sui fianchi delle montagne che circondavano i crateri, tracce inequivocabili di antichi corsi d'acqua.

 

E' vero che alcuni dei crateri sono stati formati da meteoriti che hanno sconvolto e modificato la superficie della Luna; ma in tutti i casi del genere, questi crateri hanno un fondo a imbuto, chiaramente definito. Mentre studiavo la magnifica superficie della Luna sullo schermo che stava davanti a noi, notai solchi profondi nel suolo e nelle rocce, che potevano essere stati lasciati soltanto da vigorosi corsi d'acqua in un lontano passato. In alcuni di quei punti si poteva ancora scorgere chiaramente un'area ristretta di vegetazione. Parte della superficie appariva ricoperta da una polvere finissima, mentre altre zone sembravano consistere di particelle più grandi, simili ad una sabbia grossolana o a ghiaia finissima. Mentre stavo osservando, un minuscolo animale attraversò correndo l'area su cui tenevo puntato lo sguardo. Riuscii a vedere che aveva quattro zampe e una folta pelliccia, ma la rapidità con la quale si muoveva m'impedì di identificarlo.

 

Ben poco di ciò che vedevo mi appariva strano, perché da anni, io pensavo e parlavo in modo molto simile. Il saturniano parve rendersene conto, e infatti dichiarò che era stato in parte anche per quella ragione che avevano deciso di portarmi a vedere cos9 da vicino il nostro satellite. Mi promise inoltre che, in futuro, mi avrebbero mostrato anche l'altra faccia della Luna.

 

« Anche quella », aggiunse, « non le apparirà troppo diversa da come l'aveva immaginata ».

 

Mentre mi faceva questa promessa, lo schermo che mostrava la Luna si spense, benché tutti gli altri continuassero a funzionare.

 

Zuhl mi condusse verso la sala dei Dischi, ma prima che vi arrivassimo le donne uscirono e ci vennero incontro. I sei uomini che erano scesi con noi nel montacarichi si alzarono dai loro posti, quando il pilota saturniano ci propose di fare ritorno nel salone.

 

 


(10)

 

Un altro maestro

 

 

Ritornato nel bellissimo, riposante salone, notai che i bicchieri sulla grande tavola ovale erano stati nuovamente riempiti. Un uomo che mi sembrava dimostrare una quarantina d'anni stava aspettando il nostro arrivo. Quando entrammo si alzò in piedi. Senza presentazioni, mi salutò con la stessa cordialità con cui salutò gli altri, che doveva conoscere bene. Da parte mia, ebbi l'impressione che non fosse un estraneo, e provai immediatamente per lui un affetto profondo ed un senso di venerazione. Senza dubbio, nella loro vita, i miei lettori avranno avuto un'esperienza identica. La sua presenza accrebbe incommensurabilmente la sensazione di armonia e di comprensione che regnava tra noi.

 

Con un lieve gesto della mano, ci invitò a prendere posto attorno alla tavola. Era stata aggiunta una sedia, proprio di fronte alla mia, e vi prese posto. Anche questa volta, io stavo fra Firkon e Zuhl. Su invito del maestro, il quale si comportava come se fosse il nostro ospite, alzammo tutti i bicchieri e bevemmo in silenzio. Era chiaro che tutti stavano aspettando che incominciasse a parlare. I suoi occhi castano-scuro brillavano di una profonda gioia di vivere, ma io sapevo che erano capaci di leggere in ogni mio pensiero. Sapevo anche che avrebbe compreso, non condannato, tutto ciò che avrebbe potuto trovarvi.

 

Era un uomo di bella figura, dalla carnagione calda. Non c'erano ciocche grigie nei suoi capelli neri ben tagliati, molto folti e pettinati all'indietro, in morbide ondulazioni naturali che partivano dalla fronte alta. La struttura ossea del suo volto era di una bellezza sorprendente, e dava l'impressione di essere stata infinitamente affinata dallo spirito che vi dimorava.

 

Il suo sguardo, pieno di una grande bontà, scrutò rapidamente un volto dopo l'altro. Poi, con una voce che era sommessa e vibrante, si rivolse a me personalmente.

 

« Siamo stati ben lieti di mostrarle una piccola parte dell'Universo di nostro Padre. Sappiamo quanto questo le interessi: sappiamo che vi ha dedicato gran parte degli anni da lei vissuti sulla Terra. Ora, ha visto provate, con i suoi occhi fisici, molte cose di cui era conscio intimamente già da molto tempo. Queste esperienze dovranno darle fiducia ed esserle di grande aiuto nello spiegare le leggi universali agli abitanti del suo mondo.

 

« Non si stanchi mai di ricordar loro, figlio mio, che sono tutti fratelli e sorelle, indipendentemente dal luogo in cui sono nati o hanno scelto di vivere. La nazionalità o il colore della pelle sono soltanto incidentali, poiché il corpo non è altro che una dimora momentanea, e cambia nell'eternità del tempo. Nell'infinito progresso di tutti gli esseri viventi, alla fine ciascuno avrà conosciuto e sperimentato tutti gli stati e le condizioni.

 

« Nell'immensità dell'Infinito vi sono molte forme. Ha potuto vederlo nel corso delle due visite alle nostre astronavi, al di là dei confini dell'atmosfera del suo pianeta. Tali forme di vita variano in grandezza, dalle particelle di polvere infinitamente piccole, invisibili agli occhi umani, fino ai pianeti ed ai soli piú grandi, che sono innumerevoli. Tutti sono immersi nell'oceano di un'Unica Potenza, alimentati da un'Unica Vita.

 

« Sul vostro mondo, voi avete assegnato nomi alle molte forme che vi avete visto: uomo, animale, pianta, e cosí via. I nomi servono soltanto per la percezione dell'uomo, mentre nell'oceano infinito sono inutili e insignificanti, nelle forme in cui li conoscete. L'Intelligenza Infinita non può darsi un nome, perché è completa e perfetta. E tutte le forme hanno sempre dimorato, e dimoreranno sempre nella Totalità.

 

«Tra le molte forme, quella che voi chiamate "uomo" afferma di possedere l'unica vera intelligenza, sulla vostra Terra. Tuttavia, questo non è vero. Nel vostro mondo e dovunque, nell'Universo sconfinato, non vi sono manifestazioni che non esprimano l'intelligenza, in una certa misura. Infatti, il Divino Creatore di tutte le forme si esprime attraverso la Creazione: è la sua manifestazione, un'espressione-pensiero della sua intelligenza.

 

« In quanto uomo, lei non è niente più e niente meno di questo. Infatti la vita stessa da cui è alimentata ogni forma, e l'intelligenza che si esprime per suo mezzo, è un'espressione divina.

 

« Nella stragrande maggioranza, gli uomini della Terra non sanno questa verità, e trovano molte pecche in tutto ciò che sta al di fuori del loro io personale, perché non si rendono conto che ogni forma esprime il proprio scopo e rende il servizio per il quale è stata creata.

 

« Non esiste una forma che sia in grado di giudicarne un'altra, poiché tutte le forme sono soltanto i servitori dell'Unico Supremo. Nessuno sa tutto ciò che vi è da sapere, perché nessuno conosce tutto ciò che è: e questo è noto solo all'Onnisciente. Ma tutte le forme, servendo umilmente e con zelo, acquistano una maggiore comprensione della fonte da cui ricevono la loro saggezza: la stessa forza vitale grazie alla quale esistono.

 

« Nella concezione completa, tutte le manifestazioni di tutte le forme sono come fiori bellissimi in un immenso giardino, in cui sbocciano molte specie di molti colori, in un'armonia generale. Ogni fiore sente se stesso attraverso la manifestazione di un altro. Ciò che sta in basso leva lo sguardo verso ciò che sta in alto. Ciò che sta in alto abbassa lo sguardo verso ciò che sta in basso. I colori svariati costituiscono una delizia per tutti. I modi dello sviluppo destano il loro interesse e intensificano il desiderio della realizzazione. Osservando la bellezza che dorme e che gradualmente, in un giorno o in un secolo, si dispiega, si scopre gradualmente la concezione generale, nel colore e nella fragranza dolcissima. Ogni fiore si gloria della propria funzione, del servizio reso agli altri; e a sua volta riceve da tutti gli altri. Tutti, in questo immenso panorama di bellezza, donano e ricevono, e sono i canali attraverso i quali fluisce una melodia che proviene dall'Altissimo.

 

« Perciò, alcuni servono ai piedi del trono, mentre altri servono al di sopra del trono e attorno ad esso. Ciascuno si fonde con tutti gli altri, ed esprime esclusivamente gioia, perché ha il grande privilegio di servire.

 

« Lo stesso si può dire dell'espressione umana: lei sa bene che l'uomo avrebbe dovuto imparare a vivere in conformità con questa legge, fin dall'inizio dei tempi della sua presenza sul vostro mondo. Ma non riuscí ad imparare questa lezione: se l'avesse imparata, la vostra Terra sarebbe stata un giardino di gioia: il giardino di un eterno desiderio di servire. Ma l'uomo, nella sua assenza di comprensione, ha distrutto l'armonia della sua presenza sulla Terra. Vive nell'inimicizia verso il suo simile, e la sua mente è divisa, in preda alla confusione. Non ha mai conosciuto la pace, non ha mai visto la vera bellezza. Per quanto si glori delle sue conquiste materiali, vive tuttora come un'anima perduta.

 

« E chi è l'uomo che vive in queste tenebre? E' il mortale che non ha saputo servire l'Immortale! E' colui che parla della "Via", ma non la ricerca. E' colui che teme tutte le cose che stanno al di là della comprensione della sua mente incatenata. E' colui che ha rinnegato il desiderio del suo spirito.

 

« L'uomo è diventato, lentamente, paura: una paura che sta costantemente in guardia contro tutte le forme di vita, contro tutte le cose. Infatti, se questa paura si allontanasse dalla propria ombra, cesserebbe di esistere. E' questo che fa dell'uomo un prigioniero, fino al termine della sua esistenza mortale.

 

« In verità, l'uomo oggi vive desolato sulla Terra, oppresso dalla paura e dal timore di ciò che chiama morte, la fine della sua vita mortale, solo nel deserto delle sue tenebre personali. Eppure è stato l'uomo stesso a causare la desolazione che ora deplora con tanta amarezza, perché non ha voluto servire come servono tutte le forme piú umili che lo circondano. Invece, l'uomo continua a distruggere le manifestazioni di altre forme di vita, con il solo scopo di sopravvivere. Non è riuscito a comprendere la ricchezza che esse avrebbero potuto donargli, se avesse permesso loro di servire come erano destinate a fare.

 

« Ahimè! il campicello dell'uomo, sulla Terra, è veramente sterile. I semi che getta nella sua limitata comprensione portano soltanto frutti amari. Ma egli continua a rimanere incatenato alla sua ignoranza, ripete i suoi errori nel corso dei secoli, e spera ancora di trovare ciò che il suo cuore desidera, ciò che tutta la sua anima invoca.

 

« L'uomo teme di allontanarsi dalle fondamenta della Terra, gettate da lui stesso, per timore che vengano occupate da qualcun altro, e alla fine non avrà nulla. Perciò sta in guardia contro ciò che non è eterno ma che, per il momento, si trova in un processo di cambiamento e di decadenza: i suoi occhi sono ciechi a ciò che accade. Ha imprigionato in se stesso la luce che avrebbe potuto guidarlo sulla via dell'Unità Eterna: una gioia raggiunta da tutti coloro che hanno saputo percorrere quella via. Costoro sono i servi, i figli e le figlie dell'Unico Padre, in tutti i mondi: il Padre, creatore di quel campo bellissimo dalle molte forme, dai molti colori, dalle molte sfumature, dalle molte altezze e dalle molte profondità, dalle molte delizie che esprimono, giorno e notte, un canto corale di armonia celestiale, al quale tutti possono partecipare ».

 

Mentre il maestro parlava, immagini create dalle sue parole mi passavano vive davanti agli occhi, e divenne piú intensa la mia comprensione della sorte sciagurata dell'uomo della Terra. Quando smise di parlare, nessuno si mosse. Io non volli spezzare quel silenzio.

 

Quando le immagini smisero di scorrere nella mia mente, il maestro si alzò dalla sua sedia di fronte a me, e girò attorno alla tavola, dirigendosi alla mia volta. Allora tutti si alzarono e rimasero in piedi, silenziosamente.

 

Il grande maestro mi toccò leggermente la mano, e tutto il mio essere cantò nell'umile gratitudine per ciò che mi aveva dato. Sarei stato felice di rimanere per sempre alla sua presenza, ma dopo l'esperienza precedente sapevo che non sarebbe stato cosí.

 

« Figlio mio, non deve scoraggiarsi se sulla sua Terra deve affrontare il ridicolo e l'incredulità. Con la comprensione che noi le abbiamo donato, adesso comprenderà perché non può essere altrimenti. Dica ai suoi fratelli e alle sue sorelle ciò che ha imparato. Vi sono molti che hanno cuori e menti aperte, ed il loro numero continuerà ad aumentare.

 

« Il Ricognitore è già in attesa, e i nostri fratelli la riaccompagneranno sulla Terra. Ora che siamo stati insieme, potrà, in futuro, stabilire assai più facilmente un contatto tra la sua mente e le nostre. Ricordi sempre che lo spazio non costituisce una barriera ».

 

Le sue parole mi riempirono di una gioia travolgente. Mi salutò, poi si volse ed uscí dalla stanza. Dopo un attimo, Firkon e Zuhl mi fecero un cenno. Dissi addio ai miei nuovi amici e quando la porta del salone si aprí in silenzio per lasciarci passare, ci dirigemmo verso la piattaforma del montacarichi ed entrammo nel Ricognitore che ci stava aspettando.

 

Scendemmo lentamente, scivolando senza alcun rumore sulle rotaie, allontanandoci dalla gigantesca nave-laboratorio. Mentre calavamo verso la Terra, mi voltai a guardare la grande astronave-madre che attendeva nello spazio il ritorno dell'apparecchio piú piccolo. Mi chiesi quanto fosse grande, in realtà.

 

Benché non avessi espresso a parole il mio pensiero, Zuhl rispose: « Secondo i vostri sistemi di misura, ha un diametro di circa cento metri, e una lunghezza di poco superiore ai mille e cento. Non sono le misure esatte, ma hanno una buona approssimazione ».

 

Mi parve che trascorressero solo pochi secondi prima che il portello del Ricognitore tornasse ad aprirsi: eravamo di nuovo sulla Terra. Ci salutammo a bordo del Ricognitore, perché il pilota non venne con noi.

 

Io ed il marziano ci dirigemmo verso il punto in cui avevamo lasciato l'automobile, parecchie ore prima, e partimmo per ritornare all'albergo. Mi voltai indietro a guardare il Ricognitore, e lo vidi scomparire rapidamente alla vista e salire attraverso la nostra atmosfera.

 

Come nella precedente occasione, rimanemmo in silenzio durante il tragitto di ritorno all'albergo. Avevo molte cose su cui riflettere, e non mi sentivo di parlare. Ricordo che l'aria aveva la frescura del primo mattino, e stavano già spuntando i primi raggi del sole. Ero cosí assorto nel ricordo delle parole del maestro che non prestai attenzione ai luoghi che attraversammo.

 

Quando la macchina si fermò davanti all'albergo, Firkon mi toccò la mano nel modo abituale, e mi disse: « Ci rivedremo ancora ».

 

Io sapevo che ci saremmo rivisti e, per quanto fossi ritornato fisicamente sulla Terra, con la coscienza ero contemporaneamente sulla Terra e insieme ai miei amici degli altri mondi che viaggiavano nello spazio. Era meraviglioso sapere che non eravamo separati, che non avremmo potuto venire separati mai più! Quella notte, una certezza che era rimasta sopita entro di me durante l'intero viaggio in questa esistenza era fiorita improvvisamente in un risveglio, come i fiori del giardino che mi era stato descritto dal saggio. La gioia che questa certezza suscitava nel mio cuore era come la melodia dell'infinito, unita senza separazioni e divisioni. E io sperai e pregai che mi venisse rivelato il modo di mettere a parte di quella certezza gli altri abitanti della Terra.                       angely-sveta.ru

 

Ritornai nella mia stanza d'albergo, ma non mi misi a dormire. Le esperienze di quella notte mi avevano rafforzato e rinvigorito, e mi sentivo un uomo nuovo; la mia mente era desta e vigile, piena di pensieri piú vividi e più rapidi di quanto lo fosse mai stata! Il mio cuore cantava di gioia, il mio corpo era rinfrescato, come dopo un lungo riposo. Vi erano molte cose da fare, quel giorno, e l'indomani dovevo ritornare alla mia casa sulla montagna: ma a partire da quel momento, avrei vissuto ogni istante come veniva, al meglio delle mie possibilità, completo nella sua pienezza, al servizio dell'Intelligenza, cosí come era stato destinato a fare l'Uomo, quando era stato creato per questo scopo.

 

 

 

 


(11)

 

Conversazione in un caffè

 

 

Verso i primi di settembre incominciai a provare la sensazione che ben presto avrei rivisto nuovamente i nostri amici venuti dallo spazio. Spesso, durante l'estate, avevo osservato le loro navi muoversi nella nostra atmosfera: ma a quanto pareva non si era presentata la necessità di incontri diretti.

 

Via via che i giorni passavano, io provavo sempre piú forte l'impulso di ritornare di nuovo in città. L'8 settembre, un'amica che era venuta a trascorrere qualche tempo a Palomar Gardens insieme a noi, m'invitò a recarmi in macchina a Los Angeles con lei. Accettai, e verso le quattro del pomeriggio arrivai in città. Presi alloggio al solito albergo, venni accompagnato dall'inserviente in camera mia, mi rinfrescai un poco e ritornai nell'atrio.

 

E li, con grande sorpresa e con grande piacere, vidi che mi stavano aspettando, sorridendo cordialmente, Firkon e Ramu!

 

Dopo che ci fummo salutati, domandai loro se avevano fretta. Come se conoscesse i miei pensieri, Ramu rispose: « No, affatto. Siamo qui per rispondere, meglio che potremo, a tutte le domande che le verranno in mente », disse sorridente.

 

Proposi di recarci al piccolo ristorante, dove avremmo potuto mangiare e discorrere senza essere disturbati. Mentre ci avviavamo, io dissi: « Immagino che sappiate già benissimo che cos'è che mi preoccupa soprattutto ».

 

Firkon sorrise e disse: « Forse si sta chiedendo se le risposte alle domande mentali che ha lanciato nello spazio l'estate scorsa le sono giunte veramente senza equivoci? ».

 

« Esattamente! » risposi io, con un sospiro di sollievo.

 

Dato che era ancora presto, il ristorante era quasi vuoto. Sedemmo ad un tavolo in fondo e ordinammo sandwiches e caffè. Spiegai alla cameriera che eravamo venuti li non tanto per mangiare quanto per discutere in un posto comodo e tranquillo un affare importante. La cameriera ci invitò cordialmente a metterci a nostro agio, ci servi in fretta e poi se ne andò per ritornare a parlare con la cassiera.

 

« E quell'istruttore di scouts della Florida », domandai io, « e la notizia secondo la quale il Disco Volante avrebbe diretto contro di lui una specie di fiamma? » (*).

 

(*) Vedere Appendice B. Il caso è discusso anche nel volume a cura di Charles Bowen, Gli Umanoidi, Roma 1974 (N.d.C.).

 

« Mai! » ribatté con enfasi Firkon. « Noi non facciamo mai cose del genere. Ecco che cosa è accaduto in realtà: quell'uomo era spaventato. Poiché non voleva dimostrarlo dandosi alla fuga, incominciò a cercare di colpire l'apparecchio con il machete, quasi senza rendersi conto di ciò che stava facendo. Comunque, si è avvicinato troppo all'energia che attiva il Ricognitore, ed è rimasto ustionato ».

 

« Per chiarire meglio le cose », prosegui poi, « lei sa che in una fune non c'è fuoco: tuttavia provoca una bruciatura se la si fa scorrere troppo rapidamente tra le mani. In un modo molto simile, l'energia che emanava dal Ricognitore ha attraversato molto rapidamente il corpo di quell'uomo; e il corpo, che in questo caso fungeva da resistenza, si è bruciato ».

 

« Anche lei ha vissuto un'esperienza molto simile », mi rammentò Ramu. « Durante il suo primo incontro con Orthon, quando il suo braccio venne colpito dall'energia che pulsava sotto al Ricognitore. Non ha subito scottature, ma le avrebbe subite se avesse perduto l'equilibrio e fosse caduto sotto la flangia. Orthon la salvò, tirandola indietro ».

 

Poi chiesi quanto vi fosse di vero nelle notizie riguardanti gli avvistamenti di Brush Creek (*).

 

(*) Vedere Appendice C. Anche questo caso è illustrato nel citato volume di Charles Bovven, Gli Umanoidi (N.d.C.).

 

« Si tratta di avvistamenti autentici », mi rispose Firkon, « benché l'apparecchio e i suoi occupanti non facciano parte del nostro gruppo. Vi sono stati numerosi avvistamenti simili ed incontri personali con alcuni individui, oltre lei: alcuni prima, altri dopo il suo primo contatto. Sono avvenuti quasi in tutte le nazioni del mondo. La sua esperienza, tuttavia, è stata la prima che ha avuto una notevole diffusione, ed è stata conosciuta da un grande numero di persone. Per quanto contatti del genere avvengano ormai da anni senza che ne sia mai stata data notizia, sono pochi gli uomini che osano raccontare la loro esperienza, a causa dell'incredulità dei loro simili ».

 

Poi aggiunse, con molta semplicità: « Noi non amiamo affatto la segretezza con la quale siamo costretti a nascondere i nostri contatti. Preferiremmo di gran lunga essere liberi di andare e venire, e di visitare la vostra gente come facciamo sugli altri mondi. Ma finché il significato delle nostre visite non verrà compreso, e quindi saranno pericolose per noi e per le nostre navi, dovremmo continuare ad attenerci all'attuale cautela ».

 

Chiesi spiegazioni sulle vere cause della morte del capitano Mantell (*).

 

(*) Pilota dell'US AF morto nel 1948 mentre inseguiva a bordo del suo aereo da caccia un oggetto volante non identificato nel territorio degli Stati Uniti d'America. Il caso è ampiamente illustrato nel volume di Brinsley Le Poer Trench, Storia dei dischi volanti, Roma 1973 (N.d.C.).

 

Fu Ramu a rispondere, e la sincerità del suo dolore traspariva chiaramente dalla sua espressione.

 

« Quello fu un incidente che ci dispiacque profondamente. La nave che egli stava inseguendo era molto grande. I membri dell'equipaggio avevano visto il capitano Mantell che si dirigeva verso di loro, e sapevano che il suo interesse era sincero, e che non era ispirato da motivi bellicosi. Rallentarono l'astronave e cercarono di mettersi in contatto con lui attraverso i suoi strumenti di bordo. Conoscevano perfettamente l'energia irradiata dalla loro nave e pensavano che lo avrebbe fermato senza causargli alcun danno. Ma, quando egli si avvicinò di piú, l'ala del suo aereo entrò in collisione con questo campo di energia, e vi fu un risucchio che attirò l'intero aereo, causando l'immediata disintegrazione dell'apparecchio e del pilota.

 

« Questa disintegrazione », continuò a spiegare Ramu, « avviene a causa di una radiazione magnetica che separa le molecole che tengono insieme ogni sostanza, cambiandone completamente le posizioni. Se l'aereo del capitano Mantell fosse stato rotondo, o a forma di sigaro, l'incidente non sarebbe avvenuto. Ma il suo aereo non aveva una sagoma uniforme, e una delle ali fu la causa dell'incidente. La fusoliera non avrebbe causato un risucchio sufficiente per aspirare l'aereo, ma l'ala, che sporgeva dall'apparecchio, rimase per cosí dire impigliata, e il resto dell'aereo venne aspirato con tale rapidità che venne ridotto in frantumi; questi frantumi ricaddero sulla Terra, e alcuni vennero convertiti totalmente in particelle di polvere.

 

« D'altra parte », continuò Ramu, « noi possiamo accostarci alle nostre astronavi senza che si verifichino tragici inconvenienti del genere, perché noi le progettiamo in modo da permettere loro di pareggiare qualunque impatto.

 

« L'astronave intendeva unicamente ridurre la velocità ed effettuare un tentativo di comunicare con il capitano Mantell. Noi non ci eravamo resi conto che il suo aereo non poteva toccare il nostro campo di forza. Perderete moltissimi uomini che volano con apparecchi del genere, soprattutto aerei a reazione, perché vengono posti in pericolo non soltanto dall'ampiezza dei nostri campi di forza, ma anche dalle correnti magnetiche naturali che potrebbero distruggerli. Vi sono troppe sporgenze nei vostri aerei, perché, quando l'energia ne colpisce una, l'apparecchio è spacciato ».

 

Avevo cosí completato l'elenco delle domande riguardanti gli strani contatti che avevano suscitato la mia attenzione durante quell'estate.

 

« In ognuno di questi casi », dissi ai miei compagni, « voi avete confermato le mie impressioni ».

 

« Allora, forse, possiamo cercare di anticipare alcune delle molte domande che le verranno rivolte in futuro », propose Firkon. « Come le è già stato detto, vi sono pianeti e sistemi che si formano continuamente, mentre altri sono avviati verso la disintegrazione. Un sistema di pianeti è molto simile a qualunque altra forma di vita: è necessario un certo periodo di tempo per raggiungere il vertice dell'espressione: poi incomincia il processo del declino e della disgregazione. Molto prima che il nostro sistema incominciasse a formarsi, vi erano già innumerevoli sistemi di pianeti, popolati da esseri umani identici a noi.

 

«Come oggi, anche allora vi erano voli interplanetari all'interno dei sistemi e tra sistemi diversi. Lo scopo principale di questi viaggi era lo stesso dell'attuale: studiare l'attività dello spazio in tutte le sue fasi. Perciò, quando si scopriva che vi era in formazione un pianeta nuovo in un sistema di pianeti, veniva osservato e studiato attentamente da viaggiatori provenienti da molti mondi.

 

« Quando si scopre che un pianeta si è evoluto al punto di essere adatto per ospitare gli esseri umani, e prima o poi tutti i pianeti raggiungono tale fase, i viaggiatori lo fanno sapere agli abitanti di altri mondi e dei mondi di altri sistemi. Si cercano volontari disposti ad andare a colonizzare quei mondi nuovi. Allora, grandi navi trasportano questi volontari, con a bordo tutta l'attrezzatura essenziale, e li trasferiscono sul nuovo pianeta. Vengono poi effettuati altri viaggi per portare ai pionieri l'equipaggiamento e le provviste necessarie. Inoltre, i coloni sono riportati a visitare i loro pianeti natali. In questo modo si aprono nuovi canali di espressione, e nello stesso tempo un mondo nuovo viene abitato dall'umanità.

 

« La Terra è stato il piú lento, tra i pianeti del nostro sistema, a raggiungere lo stadio adatto per ospitare la vita umana. I primi abitanti della Terra vi furono trasportati da altri pianeti. Ma dopo non molto tempo, qualcosa di inatteso si verificò nell'atmosfera che circonda la Terra, e gli immigrati si resero conto che, nel giro di pochi secoli, le condizioni di questo mondo sarebbero divenute sfavorevoli. Di conseguenza i primi abitanti della Terra, salvo poche eccezioni, caricarono tutti i loro averi sulle astronavi, e partirono per altri mondi. I pochi che decisero di rimanere si lasciarono andare, nella bellezza lussureggiante e nell'abbondanza di questo mondo nuovo, e non cercarono di meglio. A poco a poco, si accontentarono di vivere in grotte naturali, e si persero negli annali del tempo.

 

« Sulla vostra Terra non esiste alcuna traccia di quegli antichi abitanti, se non nella mitologia di una delle vostre razze, in cui il ricordo di quella prima civiltà viene tramandato nel nome del dio Tritone, cosí chiamato dall'antica razza di Triteria.

 

« Poco dopo la sparizione dei pionieri dello spazio, molti cambiamenti naturali si verificarono sulla superficie terrestre. Alcuni territori vennero inghiottiti dalle acque, mentre altri affioravano. Poi il mondo fu di nuovo pronto per ospitare gli esseri umani. Ma questa volta, date le condizioni che ancora prevalevano nei dintorni, non si cercarono volontari. Un'altra condizione che avevamo osservato con interesse, mentre seguivamo la formazione e lo sviluppo del pianeta Terra fu la formazione di un'unica luna, quale sua compagna. Secondo le leggi naturali, questo avrebbe determinato una situazione di squilibrio, a meno che, in futuro, non si formasse un'altra luna, come complemento della minuscola compagna di un mondo in fase di sviluppo ».

 

A questo punto Ramu venne interrotto dalla cameriera, che ci riempí le tazze di caffè bollente. Quando se ne fu andata, Firkon esclamò: « L'uomo è una creatura molto strana. E questo vale dovunque si trovi, in tutto l'immenso Universo. Per quanto, nel complesso, la razza dell'uomo preferisca vivere in pace e in armonia con tutta la creazione, qua e là alcuni sviluppano un ego personale ed un istinto possessivo, e per avidità desiderano di assumere il potere su altri uomini. Questo può accadere persino sui nostri mondi, nonostante l'insegnamento che ordina all'uomo di vivere in armonia con la legge divina ».

 

« Sí », disse Ramu, « e benché sappiamo a quali mali portino tali atteggiamenti, non possiamo vincolare in alcun modo questi nostri fratelli. Perciò, molti secoli fa, in un raduno dei maestri di saggezza di molti pianeti, venne deciso di spedire quegli egoisti su pianeti nuovi, capaci di sostentare gli esseri umani. In questi casi, per l'esilio dei colpevoli viene prescelto il pianeta che, nei vari sistemi, presentava lo sviluppo piú lento.

 

« Perciò, per le ragioni che ho appena ricordato, nel nostro sistema venne prescelta la Terra quale patria degli indisciplinati provenienti da molti pianeti, all'interno e all'esterno del nostro sistema. Gli esiliati erano quelli che voi, sulla Terra, chiamate "turbolenti". Non potevamo né ucciderli né imprigionarli, poiché questo è contrario alla legge universale. Ma poiché quelle persone avevano tutte un'indole prepotente, si pensò che, siccome nessuna avrebbe ceduto all'altra, alla fine sarebbero state costrette a trovare una comune armonia. Questa è la vera origine delle vostre "dodici tribù" originarie della Terra.

 

« Costoro furono dunque radunati a bordo di astronavi provenienti da molti pianeti e furono trasportati sulla Terra, senza equipaggiamento e senza attrezzi, che vengono invece consegnati ai volontari. Tutti avevano imparato, nei loro mondi, a conoscere il suolo, i minerali, l'atmosfera e le molte altre cose necessarie per la sopravvivenza. Qui, su questo mondo nuovo, avrebbero dovuto servirsi delle loro conoscenze, e ricominciare daccapo, solo con quello che offriva loro la natura stessa. Lo scopo era di costringerli a lavorare e a fare ricorso alle proprie risorse, nella speranza di ricondurli poi tra tutti coloro che eseguono la volontà del Creatore.

 

« Sono questi gli "angeli caduti" della vostra Bibbia: gli umani che caddero da un elevato livello di vita e gettarono i semi delle condizioni che tuttora esistono nel vostro mondo.

 

« Per parecchio tempo, dopo avere trasportato costoro sulla Terra, i nostri, provenienti da molti mondi, si recarono spesso a visitarli, per aiutarli e soprattutto per guidarli, nella misura in cui essi lo permettevano. Ma essi erano individui alteri e sprezzanti, e non accettarono con entusiasmo l'aiuto da noi offerto. Tuttavia, dopo i primi scontri, per qualche tempo riuscirono a coesistere abbastanza bene. In quell'epoca la Terra era veramente un "Giardino dell'Eden", poiché vi era grande abbondanza di tutto e la natura era prodiga dei suoi doni di cibo e di altre cose necessarie alla vita.

 

« Presi dalla gioia suscitata in loro da questo nuovo mondo, gli esiliati incominciarono a vivere nella pace e nella felicità, e sugli altri pianeti questo causò grande soddisfazione. Poi, come narra la vostra Bibbia, l'uomo mangiò il frutto dell'albero della "conoscenza del bene e del male", e incominciarono i dissidi e le divisioni. L'avidità e il desiderio di possesso si scatenarono di nuovo tra gli uomini, che si volsero l'uno contro l'altro.

 

« Con il trascorrere del tempo e con l'aumento della popolazione, dalle tribú originarie vennero individui autoelettisi che incominciarono a discriminare tra le varie razze. Ciascuno pretendeva di dominare l'intera popolazione, sostenendo di provenire da un pianeta più progredito di tutti gli altri, e di avere di conseguenza il diritto di assumere il potere.

 

« Continuammo a visitare questi fratelli erranti, sempre nella speranza di aiutarli a ritornare a rapporti fraterni. Con l'andare del tempo, tuttavia, le regole che essi si erano imposte divennero sempre più forti, e i nostri tentativi sempre più inutili. Le divisioni aumentarono e crebbero, e alla fine determinarono l'istituzione di quelle che oggi voi chiamate "nazioni".

 

« L'istituzione delle nazioni separò ancora più profondamente i fratelli dai fratelli, e l'intera umanità smise di vivere secondo la Legge Divina.

 

« In seguito a queste divisioni, sorsero molte diverse forme di culto. Anche allora, tuttavia, noi continuammo a mandare altri in missione, nella speranza di aiutare i nostri fratelli della Terra. Furono gli uomini conosciuti come "messia", e avevano il compito di aiutare i loro fratelli terrestri a ritornare alla comprensione di un tempo. In ciascuno di questi casi, attorno ai saggi si raccoglievano alcuni seguaci; ma essi venivano sempre annientati da coloro che pure erano venuti qui per servire.

 

« Lei si è chiesto perché la Terra è il pianeta piú infimo del nostro sistema, in un Universo abitato da tutti noi. E adesso glielo ho spiegato.

 

« Gli abitanti di tutti i mondi che si sono evoluti, grazie ad uomini e donne offertisi volontari per questo servizio, hanno continuato a progredire. Hanno vissuto come l'Infinito Creatore voleva che vivessero i suoi figli. Sono cresciuti e si sono moltiplicati per adempiere la volontà del Padre. Ogni volta che un gruppo di volontari lascia il proprio mondo per avventurarsi su di un pianeta nuovo, dopo che la Mano Divina lo ha preparato rendendolo adatto ad ospitare esseri umani, entrano in pratica in una scuola di esperienza, grazie alla quale acquistano una comprensione anche più grande dell'Universo totale. In questo modo si rendono degni di un continuo avanzamento verso livelli sempre più elevati di espressione e di servizio.

 

« Il lavoro pesante, cosí come lo conoscete voi sulla Terra, non ha parte nella loro vita, perché, non appena gli abitanti di un pianeta incominciano a lavorare secondo la volontà del loro Creatore, a loro volta gli elementi si pongono al loro servizio.               himmels-engel.de

 

« Sulla Terra si verifica esattamente il contrario. Infatti, attraverso l'autoesaltazione e la perversione della legge naturale, l'uomo volge gli elementi contro se stesso. L'uomo che fa guerra all'uomo è uno degli esempi più cospicui di questa verità, poiché rivolge ai fini distruttivi le energie che il Creatore aveva destinato invece al suo benessere.

 

« E' appunto questa la differenza fondamentale tra gli abitanti della Terra ed i popoli degli altri pianeti. L'uomo terrestre ha ripetutamente raggiunto certe vette, ma soltanto per precipitare in un'altra fase di distruzione che, mediante l'uso innaturale degli elementi, ha annientato tutto ciò che aveva costruito.

 

« Qua e là, un singolo individuo riesce ad innalzarsi al di sopra della maggioranza del vostro mondo, poiché spetta a ciascuno di accelerare o di rallentare la propria evoluzione. Soltanto quando, attraverso i propri errori, gli uomini della Terra avranno imparato che ciò che considerano la loro forza è in realtà debolezza, se usata contro l'Intelligenza Divina, e che la loro "saggezza" è soltanto confusione contraria all'Onniscienza, saranno pronti finalmente a ritornare in seno alla grande comunità.

 

« Nel frattempo, noi stiamo all'erta piú che mai, pronti a ricevere l'appello, la richiesta di aiuto che può venirci rivolta dagli uomini della Terra con sincero desiderio, perché essi continuano ad essere i nostri fratelli ».

 

« E non vi scoraggiate mai », chiesi io, « di fronte a situazioni tanto difficili? ».

 

Fu Firkon a rispondermi.

 

« Noi non conosciamo quello che voi chiamate scoraggiamento. E' una parola negativa. Molto tempo fa, abbiamo imparato a conoscere la potenza della fede e della speranza, abbiamo imparato a non cedere mai. La meta perduta ieri può essere raggiunta domani. Questo non significa che ci riteniamo evoluti al massimo grado: tutt'altro. Dobbiamo percorrere ancora l'eternità. Ma sui nostri mondi, non abbiamo più malattie e miseria, cosí come le conoscete voi; e non esiste il crimine, come voi lo conoscete. Noi riconosciamo la più alta rappresentazione della Divinità, il coronamento di tutte le forme inferiori. Se, con intento deliberato, facessimo del male a una qualunque forma di vita, sappiamo che costringeremmo quella forma di vita a distogliersi dal suo scopo naturale ed a farci del male a sua volta.

 

« Lei può comprendere, ora, perché il Creatore ha lasciato a noi tutti il compito di risolvere i nostri stessi problemi. Quando si disobbedisce alle sue leggi, esse diventano testimoni a nostro carico.

 

« Voi parlate di Satana come se fosse un'entità singola e indipendente. Ma soltanto opponendosi al principio divino si possono determinare le condizioni disarmoniche che voi avete attribuito a Satana, e che voi stessi dovete correggere. Allora scoprirete che Satana diventa un angelo luminoso, come dicono le vostre Scritture. Infatti, ogni torto deve essere corretto da chi lo ha commesso ».

 

Mentre Firkon faceva una pausa, la bocca di Ramu si incurvò nel lieve, grave sorriso che gli era caratteristico, e disse: « Il Sole non domina la Terra, come la Terra non domina il Sole; e le stelle non si governano a vicenda. Tutte sono governate dal Padre. Qui, dalla natura stessa, l'uomo incomincia ad imparare ».

 

Per qualche ragione che non seppi spiegarmi, quelle parole mi fecero ritornare in mente un problema sul quale avevo pensato per moltissimo tempo.

 

« E per quanto riguarda ciò che noi chiamiamo morte e rinascita », domandai, « dovremmo essere in grado di portare con noi i ricordi di una vita nella vita successiva? ».

 

Ramu rispose: « Ciò è possibile, in misure diverse. L'uomo eterno non dimentica nulla. Ma il ricordo delle cose apprese in un corpo precedente di rado si manifesta sotto una forma piú spiccata di quanto lo sia una conoscenza istintiva, una tendenza istintiva verso certe cose familiari. Nella sua mente conscia, l'uomo della Terra comprende ben poco le cause di tutto questo. Quando tali attitudini si manifestano in grado minore, voi le chiamate talenti o doni. Quando si presentano in un grado molto spiccato, e specialmente quando appaiono nell'infanzia, voi definite prodigi coloro che le manifestano.

 

« Il vostro pianeta funziona a bassa frequenza, come direste voi. Di conseguenza, la crescita e lo sviluppo delle forme di vita, in particolare quelli dell'uomo, sono lenti, e richiedono molto tempo tra la nascita e la maturità. Quando gli uomini nascono sulla Terra, rimangono nelle condizioni dell'infanzia per un periodo assai più lungo di quanto accada sugli altri pianeti. Quando raggiungono l'età adulta, i ricordi che possono aver portato con sé dalla nascita sono ormai sepolti sotto una congerie di concezioni errate che sono state instillate in loro durante i primi anni di vita.

 

« Le facoltà di ragionamento dell'uomo sono molto limitate, perché sono indipendenti dalla legge naturale. Il nuovo venuto viene saturato delle tradizioni e delle convenzioni dei secoli passati, e la memoria positiva dell'esperienza precedente viene eliminata. Talvolta, qualche ricordo autentico balena, salendo da quello che voi chiamate inconscio fino alla mente conscia, attraverso qualche canale che si schiude all'improvviso. Ciò può accadere quando incontrate per la prima volta una persona che sentite di avere già conosciuto, o quando vedete per la prima volta un luogo che non avete mai visitato in questa vita, ma con il quale vi sembra di avere autentiche associazioni di ricordi.

 

« Tutte queste esperienze appaiono misteriose alla maggioranza degli abitanti della Terra: eppure questi ricordi sono, di solito, veri ricordi, e la spiegazione è molto semplice.

 

« Sugli altri pianeti, noi non imponiamo blocchi del genere ai bambini. Al contrario, si fa di tutto per lasciarli liberi. Sappiamo che ogni espressione umana è leggermente diversa da tutte le altre, e che il patrimonio personale di esperienza serve di base alla realizzazione di un particolare destino.

 

« La frequenza che caratterizza il funzionamento di un pianeta può essere stabilita soltanto dagli individui che lo abitano. Grazie alla frequenza superiore dei nostri pianeti, coloro che nascono tra noi non sono soggetti al lungo periodo di sviluppo dall'infanzia alla maturità cui sono invece soggetti gli umani della Terra. Da noi, il periodo medio di sviluppo, dalla nascita fino alla fine dell'adolescenza, è di due anni, in confronto ai vostri diciotto o piú.

 

«Voi terrestri adoperate il termine "Legge della Trasmigrazione" in senso errato. In realtà, significa che quando un individuo della Terra si è sollevato al di sopra dell'ignoranza dei suoi fratelli fino a conseguire una comprensione più elevata della vita, gli viene consentita la reincarnazione su di un altro pianeta. L'individuo nascerà con un ricordo vivissimo della sua esperienza sulla Terra, e in lui predominerà la concezione delle leggi fondamentali che governano ogni forma di vita. I ricordi delle sue abitudini quotidiane, dei rapporti con i familiari e gli amici, benché ancora chiarissimi, saranno secondari. Egli si accorgerà che non esistono anelli mancanti tra le due fasi della vita, bensì una continuità di sviluppo, non ostacolato dai molti nomi e dalle molte divisioni che lo confondevano sulla Terra.

 

« Per quanto l'ascesa dall'infanzia alla maturità richieda un periodo tanto lungo sulla vostra Terra, la vecchiaia ed il declino vengono rapidamente. Ciò è dovuto alle antiche tradizioni e convenzioni che continuano ad essere espresse nell'individuo. La vera conoscenza, anche se acquisita molto tempo prima, è facile da portare con sé. Ma i fardelli e gli affanni dell'umanità, ripetuti continuamente, ricordati attraverso i secoli, costituiscono un peso insopportabile per lo spirito dell'uomo.

 

« Come ha potuto vedere, noi non diventiamo vecchi, né nell'aspetto né nei sentimenti. Ciò avviene perché portiamo in noi, ogni giorno, la ricchezza di lezioni bene imparate, e scartiamo tutto ciò che si è dimostrato sterile. Poiché lasciamo che si esprima, attraverso noi, ciò che vi è sempre di nuovo e di fresco, acquisiamo noi stessi quella giovinezza.

 

« Il sogno accarezzato dallo scultore quando prende in mano l'argilla deciderà, quando avrà finito, la forma che l'argilla esprimerà; e lo stesso avviene per quanto riguarda il corpo umano. L'uomo è lo scultore di se stesso, e lavora con il materiale fornitogli dal suo Creatore. La concezione che l'uomo ha di se stesso nell'Universo modellerà il suo corpo e conferirà bellezza o bruttezza ai suoi lineamenti.

 

« Nel vostro mondo, voi rappresentate la Divinità come un uomo vecchio eppure eterno. Questa è una gravissima contraddizione, perché l'eternità non conosce la vecchiaia.

 

« Data l'infinita attività che si svolge nelle profondità e alla superficie dei vostri oceani, questi sopravvivono nel tempo. Ma uno stagno nel quale cessa l'attività incomincia a dar segni di vecchiaia, perché una massa di sostanze estranee offusca lentamente le sue acque un tempo limpidissime. Si verifica cosí quella che voi chiamate stagnazione.

 

« La malattia e la disintegrazione fisica derivano in gran parte da un processo identico. Poiché non avete imparato a vivere secondo le leggi naturali, inizia la stagnazione personale. Qualche volta, persino nel vostro mondo, un individuo può raggiungere un'età ragguardevole, secondo i vostri criteri, pur conservando un aspetto giovanile. Questo è dovuto alla capacità di conservare le qualità dell'attività mentale, dell'interesse e dell'entusiasmo in misura assai superiore alla media ».

 

Ricordai di avere conosciuto alcune persone cosí, e annuii, per dichiararmi d'accordo.

 

« Voi siete veramente progrediti molto piú di noi », dissi. « Ma il vostro progresso non viene mai interrotto? ».

 

Le mie parole fecero sorridere Firkon.

 

« Tutt'altro. Ma quando commettiamo errori, ci servono di lezione per il futuro, invece di diventare qualcosa da nascondere o da giustificare in qualche modo. Inoltre, quando si esplora un territorio nuovo, sia fisico che mentale, ci rendiamo conto che qualche errore è inevitabile. Per voi, ciò che chiamate fallimento è una vergogna, e spesso espone individui o gruppi al ridicolo ed alla critica da parte degli altri. Questo è uno dei fattori primari che legano gli abitanti della Terra alla loro vecchia strada mentre, se avessero un po' di coraggio, o se trovassero una tolleranza sufficiente nei loro simili, proverebbero nuove strade. Nei nostri mondi, un uomo che si sforza sinceramente non viene mai considerato un fallito, indipendentemente dai risultati che ottiene. Quell'uomo ha imparato qualcosa. Attraverso il suo stesso fallimento, può dare un grande contributo ai suoi simili. Il coraggio e lo spirito d'iniziativa l'hanno indotto a tentare una strada nuova che, se è sbagliata, non verrà piú seguita da altri. Egli è stato il solo a soffrire deliberatamente e noi, i suoi fratelli, lo elogiamo per questo ».

 

Quando Firkon smise di parlare e diede un'occhiata a Ramu, io compresi che quell'istruttiva conversazione si era ormai conclusa. Non vi fu bisogno di dir nulla quando ci alzammo da tavola. Pagammo il conto ed uscimmo.

 

Questa volta Firkon e Ramu non mi riaccompagnarono all'albergo.

 

« Vi sono molto riconoscente », dissi, mentre ci congedavamo; ma le mie parole mi sembravano inadeguate.

 

Rimasi fermo per un attimo, seguendoli con lo sguardo mentre si allontanavano, poi mi incamminai nella direzione opposta, verso il mio albergo.

 

 

 

 


(12)

 

Ancora il maestro

 

 

Non era trascorso molto tempo dalla nostra conversazione nel caffè quando, seguendo ancora una volta un impulso, mi trovai diretto a Los Angeles. Durante il viaggio verso la città, mi sentivo pieno di una gioiosa anticipazione, simile all'eccitazione che ricordavo di aver provato da bambino nell'imminenza del Natale.

 

Le comunicazioni mentali con i miei amici venuti da altri pianeti stavano diventando sempre piú chiare e precise con il passare del tempo. Ora sapevo, per esempio, che quel nuovo incontro non sarebbe stato limitato ad un ristorante, e che mi avrebbero condotto nuovamente ad una delle loro astronavi.

 

Poiché ero di umore lieto, la bellezza familiare delle montagne che attraversammo durante la prima parte del viaggio mi sembrò esaltata da una maestà ancora più grande. Le valli, coperte di un giallo dorato allo stato naturale, o verdi là dove erano coltivate, mi riempivano di un sentimento d'amore per la nostra Terra. Certamente, se l'umanità potesse imparare soltanto a guardarla con occhi nuovi, non vi sarebbe piú spazio per l'amarezza e per la discordia.

 

Durante quel viaggio, il tempo trascorse più rapidamente. Presi alloggio all'albergo, mi ritirai per poco tempo in camera mia, poi ritornai nell'atrio.

 

Sebbene l'orologio sopra al banco indicasse che erano passate da poco le cinque del pomeriggio, e sebbene io non avessi certamente fame, mi sentii spinto ad andare a cercare qualcosa da mangiare nel piccolo ristorante, e poi ritornare per attendere i miei amici. Lo feci e quando, verso le sei, io stavo per rientrare di nuovo nell'albergo, Ramu mi venne incontro.

 

Lo accolsi con grandissima gioia e gli domandai se lo avevo fatto attendere.

 

« No », rispose lui. « Sapevo quando dovevo aspettarla! ».

 

La Pontiac era parcheggiata accanto al marciapiede, all'angolo. Mentre salivamo, chiesi notizie di Firkon.

 

« Questa volta non ha potuto venire con noi », disse Ramu. « E mi ha pregato di dirle che gli dispiace di non poterla vedere ».

 

Continuai a provare quel senso di felicità e di anticipazione durante la lunga corsa per uscire da Los Angeles. Ci scambiammo qualche parola, di tanto in tanto, ma in generale non facemmo conversazione.

 

Lasciammo finalmente l'autostrada e procedemmo, sussultando, lungo una strada piuttosto stretta, per circa mezz'ora. Cercai con lo sguardo nell'oscurità, in attesa di scorgere il Ricognitore, e finalmente vidi in distanza una lieve luminosità. Quando potei osservarne meglio il profilo, mi accorsi, dalla grandezza, che doveva essere il Ricognitore saturniano, o un apparecchio molto simile.

 

Era proprio lo stesso, e ad accoglierci c'era Zuhl.

 

Il viaggio all'astronave-madre fu rapido. « E'... » incominciai io, e Zuhl sorrise e annui.

 

« La nave saturniana che lei ha visitato la volta precedente? Sí ».

 

L'atterraggio si svolse esattamente come la prima volta. Mentre mi conduceva verso il grande salone, Zuhl si soffermò un istante e disse: « E' stato personalmente il maestro che ci ha pregato di condurla qui questa sera. La visita sarà dedicata interamente ad una conversazione con lui ».

 

Se era possibile che la mia gioia aumentasse ancora, aumentò nell'udire quelle parole.

 

Quando entrai, rimasi colpito ancora una volta dalla bellezza di quella sala e dall'armonia che la caratterizzava. Erano presenti tutti coloro che avevo incontrato la prima volta; vi erano inoltre due donne bellissime, cosí simili luna all'altra che ritenni fossero gemelle. Prima ancora che venissero fatte le presentazioni, intuii che erano saturniane. Sulle maniche destre delle bluse, vicino alla spalla, portavano gli stessi simboli che avevo visto, la volta precedente, sulle camicie degli uomini saturniani.

 

Dopo che i miei amici mi ebbero dato il benvenuto, scambiai un saluto con le due affascinanti sconosciute. Vi erano alcune differenze nelle loro persone e nei loro abiti, rispetto a quelli delle altre donne. Poiché rimasero in piedi vicino a me, ebbi la possibilità di studiarle nei minimi particolari. Entrambe avevano capelli ed occhi di un bruno molto scuro, e lunghe ciglia ricurve. Avevano una carnagione di un candore quasi sorprendente, con una lieve sfumatura rosa sulle guance; le labbra erano rosse e piene. Entrambe mostravano modi piú vivaci delle altre donne. Credo, tuttavia, che questo non avesse a che fare con il fatto che erano saturniane, e che fosse piuttosto una caratteristica delle loro personalità.

 

Indossavano bluse celesti dalle maniche lunghe e ampie strette ai polsi; le bluse sembravano piuttosto corte giacche, e al collo erano rifinite con uno stretto colletto arrotolato. Le gonne erano dello stesso colore e della stessa stoffa, molto leggera e tessuta in modo diverso da quello che avevo già veduto. Le gonne, lunghe, avevano alte cinture e arrivavano alla caviglia, come quelle delle altre donne: ai piedi calzavano sandali color daino.

 

Non vidi il maestro, e immaginai che fossimo rimasti in piedi proprio in attesa del suo arrivo.

 

« La vostra aviazione è in piena attività, questa notte », mi disse Ramu. « E la nostra astronave si sta alzando. Rimarremo probabilmente librati a circa trenta chilometri dalla Terra ».

 

E' superfluo aggiungere che non avevo avvertito, e non avvertivo, il minimo movimento.

 

In quel punto entrò il maestro e tutti si volsero verso di lui.

 

Quando il suo sguardo incontrò il mio, sorrise e si diresse verso una tavola circondata da basse poltrone, ricoperte di una bellissima stoffa imbottita che all'aspetto sembrava una specie di seta opaca.

 

Ramu mi accompagnò, e il maestro mi fece segno di accomodarmi nella poltrona alla sua destra. Una delle saturniane prese posto accanto a me; e mentre tutti si accomodavano, io approfittai dell'occasione per chiedere alla mia vicina se poteva spiegarmi il significato delle mostrine. Lei si girò, gentilmente, in modo che potessi esaminare quella che portava sulla spalla destra, e disse: « Indica che Saturno è il Tribunale di questo sistema ». Benché non comprendessi esattamente che cosa significasse in quel caso « tribunale », la mia vicina non mi forni altre spiegazioni.

 

La mostrina rappresentava una sfera circondata da un anello (piú o meno come appare Saturno visto dai nostri telescopi) e dentro alla sfera c'era una bilancia in equilibrio.

 

Ringraziai la saturniana, mi sistemai sulla poltrona e mi parve che non potesse esistere nulla di più comodo. Neppure i nostri cuscini pneumatici sono elastici quanto quella poltrona, e nello stesso tempo capaci di reggere cosí bene il peso del corpo.

 

Il maestro incominciò a parlare.

 

« Figlio mio, se alcune delle cose che ascolterà questa notte le sembreranno ripetizioni, ciò avverrà esclusivamente perché gli argomenti di cui parlerò sono importantissimi per la sua comprensione, e forse una spiegazione più ampia l'aiuterà a tenerli a mente ».

 

Fui felice di sentirgli dir questo, poiché, nonostante l'assistenza telepatica che mi era stata promessa, temevo ancora di non poter rammentare tutto.

 

« Un errore gravissimo che è divenuto abituale per la popolazione della Terra », disse il maestro, « è la consuetudine di dividere in molte parti ciò che non dovrebbe mai venire diviso. Voi avete innumerevoli divisioni nelle forme e negli insegnamenti, molte simpatie e antipatie profondamente radicate, che servono esclusivamente ad aggravare lo stato di confusione che regna sul vostro pianeta.

 

« Noi degli altri mondi non abbiamo tali divisioni: noi comprendiamo i rapporti di interdipendenza esistenti fra tutte le cose. So che lei ha sentito profondamente il potere e la radiazione della Divinità raffigurata sulla parete davanti a lei. Tenendo sempre davanti agli occhi quell'immagine e ricordandola nei nostri cuori, noi non dimentichiamo mai che in lui tutte le forme trovano la loro esistenza.

 

« Egli dispensa agli uomini quella che voi chiamate "vita". Inoltre, attraverso noi, dona la vita alle nostre creazioni, poiché ci insegna ciò che deve essere creato. E' lui che sa in che modo devono venire combinati i minerali e gli elementi, per servire non soltanto noi, ma anche tutto l'Universo in modo sempre migliore, via via che, mediante l'esperienza di una forma, vengono resi adatti ad una forma piú alta. Noi venusiani e gli abitanti degli altri pianeti a diversi stadi di evoluzione riconosciamo i minerali e gli elementi come l'essenza dell'espressione divina, sempre attiva, in un rinnovamento costante. Quindi la monotonia, quale voi la conoscete sulla Terra, non può esistere.

 

« Perciò, come noi rispettiamo la creazione di un Creatore Divino dell'intero Universo, viene egualmente rispettata la creazione dell'uomo che guida gli elementi e li utilizza in nuove forme di servizio. A loro volta, gli elementi provano l'ardente desiderio di servire sempre meglio, ogni giorno che passa, per potere ascendere anch'essi ad un livello di servizio superiore: un servizio che non avrà mai fine, perché è eterno.

 

« Le farò un esempio, affinché lei possa comprendere con maggiore chiarezza. Il ferro che voi trovate tra i minerali della vostra Terra vi serve in un determinato modo. Eppure, impregnando il ferro di una forza che voi chiamate "elettricità", esso passa da una funzione ad un'altra, che voi chiamate "magnetica". Perciò, è chiaro che il ferro è stato dotato di una forza di attrazione che in precedenza non possedeva. E' appunto questo ciò che noi intendiamo dire, quando affermiamo che gli elementi ed i minerali si possono evolvere verso un servizio migliore. Infatti, all'inizio era semplicemente ferro minerale; poi ha raggiunto una funzione superiore quando ha acquisito la capacità di attrarre, che non possedeva nel suo stato originario. E procedendo in questo modo, il ferro può evolversi per rendere al suo Creatore servizi sempre più elevati.

 

« Ora comprenderà ciò che voglio dire quando parlo dei minerali e degli altri elementi che servono l'uomo. In questo modo, essi stessi sono dotati di certe facoltà di comprensione, che derivano dal servire l'Intelligenza Onnicomprensiva. Credo che questa legge sia nota a voi terrestri come Legge di Trasmutazione, o Legge di Evoluzione.

 

« Un corpo umano, come il suo e il mio, è composto di elementi, oltre che di minerali. E si può dimostrare che questi elementi e questi minerali, che compongono il suo corpo, obbediscono alle impressioni che vengono loro imposte. Se le impressioni sono di natura gioiosa, l'essere chiamato "uomo" è lieto. Se invece sono di natura collerica, il corpo l'esprime, dimostrando cosí che i minerali e gli elementi in esso contenuti sono al costante servizio dell'Intelligenza. Altrimenti, non potrebbero elevarsi ad uno stato di espressione superiore.

 

« Voi uomini della Terra correte continuamente verso la catastrofe, creando combinazioni che si oppongono l'una all'altra, anziché collaborare. Voi vi siete trasformati in qualcosa di diverso da ciò che dovreste essere secondo la vostra origine divina. Avete aggiunto al vostro essere molti falsi concetti, anziché conservarlo allo stato naturale: come una bella donna che possiede un grande fascino, eppure si adorna di molti gingilli che finiscono per spiccare più della sua stessa bellezza.

 

« Voi avete fatto la stessa cosa, aggiungendo al vostro essere ciò che non aveva una vera vita e l'intelligenza. Mi permetta di farle osservare qualcosa che è inerente all'essere dell'uomo, e cui adeguiamo la nostra vita sul pianeta Venere, mentre voi non lo fate, benché tali principi siano validi per il vostro mondo quanto per tutti gli altri.

 

« Ognuno di voi afferma di essere una creatura fatta di cinque sensi, e ne elenca altri che vi andrebbero aggiunti: il sesto, il settimo e cosi via. Voi cercate di sviluppare questi sensi, concepiti arbitrariamente, anziché comprendere e sviluppare quelli che esistono. Affermando che vi sono poteri distinti di chiaroveggenza, chiariudienza, telepatia mentale o percezioni extransensoriali, voi dividete una fase totale di espressione in almeno quattro classificazioni distinte. E come risultato, le vostre vere identità si confondono e si perdono.

 

« Mi sia consentito di delucidare meglio quanto ho detto. Innanzi tutto, voi siete un prodotto degli elementi e dei minerali di ciò che chiamate natura. In secondo luogo, come espressione intelligente di quella forma, voi siete un prodotto del vostro Divino Creatore. La parte minerale ed elementare del vostro essere è stata dotata di quattro vie, o sensi, attraverso i quali esprime se stessa mediante quella che voi chiamate manifestazione fisica. L'intelligenza o divinità si esprime in ogni cellula dell'intera forma che voi avete definito fisica.

 

« I quattro sensi ai quali ho fatto allusione qualche attimo fa sono la vista, l'udito, il gusto e l'odorato. Noti che non ho parlato del senso che voi terrestri chiamate "tatto". Infatti, il tatto è l'intelligenza che precede tutti gli altri.

 

« Mi sia consentito di spiegarmi in questo modo. Nessuno, su nessun mondo, può costruire una forma come la vostra, o può farla vivere come voi siete vivi. Ciò può essere fatto esclusivamente dal Creatore dell'Universo. Perciò, si deve ammettere che quando in una forma ha luogo la concezione di un'altra forma, la futura madre non sa ciò che deve essere fatto per realizzare la costruzione perfetta di un altro corpo. Tuttavia, la concezione porta ad una manifestazione completa, che nasce in quello che viene da voi chiamato mondo fisico.

 

« Quando nasce, la forma completa possiede occhi, orecchie, bocca e naso. Gli occhi vedono e le orecchie odono i suoni per la prima volta: il naso percepisce gli odori e la bocca sente i sapori per la prima volta. Tutti questi organi sono stati creati come parti del corpo. Come il corpo percepisce per la prima volta il mondo fisico, lo percepiscono anche queste quattro vie di espressione, poiché appartengono al corpo. Eppure la madre di questa forma non sapeva come si andava formando.

 

« Ma il senso del tatto, che io ho escluso dal gruppo dei sensi, lo sapeva. Ricordi infatti che, mentre il piccino era ancora in fase di formazione nel corpo materno, se su questo corpo materno veniva esercitata una pressione, anche il corpicino all'interno percepiva tale pressione.

 

« E noti la separazione tra i due, perché quando il corpo che doveva ancora nascere era pronto ad effettuare un cambiamento entro il corpo materno, la madre non controllava né guidava la sua azione, che in tal caso separa la sensazione in due reazioni distinte: quella della madre e quella del figlio. Ciò dimostra che ciascuno agisce nel campo della sensazione indipendentemente dall'altro. Eppure, madre e figlio sono un corpo dentro ad un altro corpo. Inoltre, ciò dimostra che quello che viene chiamato "tatto" o "sensazione" agisce nel campo dell'intelligenza, poiché sa che cosa fare e quando lo deve fare: sembra che sia esso a conoscere.

 

« Quando prendiamo in considerazione tutto questo con l'intento di effettuare un'analisi, dobbiamo riconoscere che il senso del tatto è cardinale, o in realtà è l'anima del corpo, una parte dell'intelligenza onnicomprensiva. Infatti è una sensazione, e la sensazione, come lei ben sa, è uno stato di attenzione, o una coscienza conscia, come diciamo noi.

 

« Ora, quando questa coscienza lascia il corpo formato di minerali e di terra conosciuto come uomo, le orecchie, gli occhi, il gusto e l'odorato non funzionano piú. Infatti, quando il corpo perde conoscenza, non conosce nulla di affine alla sensazione.

 

In altre parole, si può percuotere quel corpo, che non avrà la sensazione di venire toccato.

 

« D'altra parte, se qualcuno perde gli occhi, perde l'udito, il gusto e l'odorato, ma conserva il senso del tatto, che è la coscienza, è piú o meno vivo e capace di agire con intelligenza. E quando il corpo viene colpito, avverte quel tocco e quel dolore, che invece non avvertiva nello stato descritto in precedenza.

 

« E' quindi facile comprendere che la vera intelligenza del corpo chiamato "uomo" è quello che è stato adoperato e definito tanto male, ossia il senso che voi chiamate tatto, e che è l'anima o la vita di quel corpo. Il corpo umano — e lo stesso vale per tutte le altre forme — è in effetti costruito per espletare funzioni che i suoi minerali ed i suoi elementi renderanno attraverso le quattro vie principali di espressione, mentre la quinta via, il tatto, è l'universale che dà le sensazioni alle altre quattro. Quando questo senso del tatto sparisce, gli altri quattro non hanno più il potere della sensazione e dell'attività.

 

« Quando l'uomo comprende questa verità, scopre il vero se stesso dietro la maschera. E quando ciò avviene, la prigione limitata entro la quale ha vissuto per tanto tempo si dissolve, ed egli diventa veramente un abitatore dell'Universo. In quanto tale, vede realizzarsi la legge in ogni forma, indipendentemente da ciò che tale forma può essere, incluso il pianeta stesso sul quale vive. Allora l'uomo conosce veramente se stesso! E cosí facendo, conosce tutte le cose. Inoltre, conosce il suo Creatore come prima non lo conosceva: il Creatore che è l'Intelligenza Universale o Divina.

 

« Attraverso questo riconoscimento, attraverso questa comprensione, l'uomo minerale si innalza ad una condizione di unità con il Padre, e allora Padre e Figlio sono veramente una cosa sola. Quando l'uomo della Terra apprenderà questa verità e la comprenderà, non già conoscendola solo con la sua mente, ma vivendola come noi la viviamo, proverà nella vita la stessa gioia che proviamo noi degli altri pianeti.

 

« Come dice la vostra Bibbia, il figliol prodigo ritorna cosí a casa, rinunciando alle sue vanità fisiche minerali, e ponendole al proprio servizio affinché servano suo Padre, invece di essere lui stesso al loro servizio.

 

« Naturalmente, figlio mio, lei conosce bene questa legge ed ha sempre cercato, da anni, di viverla e di insegnarla. Per lei in ciò che le ho detto non vi è nulla di nuovo; e non vi è nulla di nuovo neppure nel suo insegnamento. E' una legge universale che tutti gli uomini devono conoscere e seguire, se vogliono sperare di godere dei loro divini diritti di nascita quali figli del Padre.

 

« Lei avrà la missione di portare, meglio che potrà, questa comprensione alle menti dei suoi fratelli terrestri: la conoscenza di loro stessi è il primo requisito. E le prime domande che devono porsi sono queste: "Chi sono io? Per quali vie mi posso esprimere per ritornare all'unità che ho perduto?".

 

« Ricordi loro che l'Uomo non ha nulla da aggiungere a se stesso. Deve soltanto esprimere ciò che già possiede. Ma deve prima imparare a comprendere ciò che possiede, e vivere questa comprensione. Infatti, è importante viverla. Realizzato questo, gli affanni dell'uomo della Terra scompariranno ben presto. Infatti gli elementi che sono serviti a formare i quattro sensi della vista, dell'udito, del gusto e dell'odorato incominceranno ad evolversi, fino a quando diventeranno strumenti sensibilissimi, non soltanto per servire in quello che voi chiamate mondo fisico, ma anche al servizio dell'universale.

 

« Un'altra realtà che gli uomini della Terra devono comprendere è che "universale" include in se stesso anche ciò che è fisico. Infatti, tutto ciò che avviene nell'Universo si trova anche nell'ambito dell'Intelligenza divina o universale, non al di fuori di essa. Ecco perché noi siamo interessati al vostro mondo ed alla vostra vita come siamo interessati ai nostri, poiché apparteniamo tutti allo stesso regno dell'Intelligenza suprema.

 

« Noi abbiamo appreso e vissuto questa verità già da centinaia e migliaia di anni. Grazie a questa comprensione, non possiamo fare del male con l'intenzione di fare del male, a differenza di voi terrestri. Infatti sappiamo che saremmo costretti a vivere con ciò che abbiamo distorto, poiché tutto appartiene ad un'unica famiglia.

 

« Quando la mente dell'uomo fisico si innalza a questo livello di comprensione, non vede piú nulla come brutto o spiacevole: vede ogni cosa nel processo di elevazione verso la santità della bellezza e dell'esaltazione.

 

« Quando gli uomini della Terra apprenderanno questa legge, vedranno e comprenderanno come tutto opera dall'infimo al più elevato, quale è appunto lo scopo universale; e non già dal più elevato all'infimo. Tuttavia la potenza si esprime dall'alto verso il basso, affinché anche l'infimo possa trovare la forza di innalzarli al livello piú elevato. Vi è una mescolanza eterna, ma non vi è mai divisione. Conoscendo questa legge, gli abitanti dei nostri pianeti se ne sono serviti per la loro evoluzione, e usandola, sono giunti a riconoscere la vita eterna e il ruolo che tutte le cose e tutti gli esseri hanno nel suo ambito ».

 

Mi passò per la mente il pensiero della sovrappopolazione, che spesso è motivo di grave preoccupazione per le nazioni della Terra. Senza la minima interruzione, quell'uomo dotato di grande saggezza rispose al mio pensiero.

 

« No, figlio mio. I nostri mondi non sono sovrappopolati, e tale pericolo non ci minaccia, mentre minaccia voi terrestri. Infatti, noi non ci moltiplichiamo senza un'attenta pianificazione, come fate invece voi. Vi è una naturale legge di equilibrio alla quale ci atteniamo. Inoltre, coloro che hanno conseguito una grande conoscenza su di un pianeta possono, se lo vogliono, rinascere su di un altro. A questo scopo, hanno due possibilità di scelta. Possono effettuare questo cambiamento per mezzo della nascita, oppure possono trasferirsi, con lo stesso corpo, facendosi portare da un'astronave. Ciò è accaduto molte volte, anche sulla Terra. Nella maggioranza dei casi, coloro che sono avanzati dalla Terra verso altri mondi lo hanno fatto attraverso la rinascita. Altri, per quanto poco numerosi, sono stati trasportati direttamente su altri mondi, come spiega la vostra Bibbia.

 

« La morte, sugli altri pianeti, avviene come avviene sulla Terra. Tuttavia, noi non la chiamiamo morte, e non piangiamo coloro che se ne sono andati, come fate invece voi terrestri. Noi sappiamo che questa partenza significa soltanto un passaggio da una condizione ad un'altra, da un luogo ad un altro. Sappiamo che non è molto diverso dal trasferimento da una casa all'altra.

 

« Non possiamo portare con noi le nostre case, quando andiamo da un luogo all'altro. E non possiamo neppure portare un corpo, che è la casa, da un mondo all'altro, nella morte. La materia dei vostri corpi terrestri appartiene alla Terra e deve rimanervi, per conservare l'equilibrio del vostro mondo. Ma quando vi portate dalla Terra ad un altro pianeta, questo mondo vi presterà il suo materiale per costruirvi una casa secondo le esigenze e le condizioni che vi esistono.

 

« La concezione dell'Universo nutrita dall'uomo della Terra è molto ristretta: egli non è capace di concepire un Universo senza limiti. Eppure adopera la parola eternità. L'eternità, secondo la definizione dell'uomo, denota l'assenza di un principio e di una fine. Allora, quanto è grande l'Unverso? E' grande quanto l'eternità.

 

« Quindi l'uomo non è una manifestazione temporanea. E' una manifestazione eterna. E quelli di noi che hanno appreso questa verità vivono in un continuo presente, perché il presente è eterno.

 

« Noi abitanti di Venere ci vestiamo in un modo molto simile al vostro, e facciamo molte cose in modo simile a quello in cui le fate voi. Non vi è una grande differenza tra la nostra forma e la vostra, o negli indumenti di questa forma. La grande differenza consiste nel fatto che noi comprendiamo ciò che siamo.

 

« Poiché abbiamo imparato che la vita include ogni cosa e che noi siamo la vita, sappiamo che non possiamo fare del male ad una cosa qualsiasi senza fare del male a noi stessi. E la vita, per essere una vita eterna, deve rimanere nello stato piú puro del suo essere; e per esprimerlo, deve essere sempre nuova.

 

« Perciò, come ho già detto, noi non conosciamo la monotonia. Ogni attimo che trascorre è pieno di gioia. E non ha importanza il lavoro che dobbiamo fare. Se è necessario svolgere quelli che voi chiamate lavori pesanti e faticosi, noi li svolgiamo con tutta la gioia e l'amore del nostro essere. E sul nostro pianeta, ogni nuovo giorno porta un nuovo carico di cose da fare, esattamente come sul vostro. Ogni uomo ed ogni forma vivente vengono rispettati allo stesso modo, per i servizi che rendono. Nessuno viene giudicato inferiore. Non ha importanza il genere di servizio che viene svolto, sia o no umile e manuale. Tutti i servizi ricevono lo stesso riconoscimento.

 

« Anche al popolo della Terra è stata data questa legge, poiché è stata portata da coloro che la conoscevano e che un tempo l'avevano praticata su altri pianeti. Era espressa nella costruzione del tempio di Salomone. I servi che lavoravano nella vigna e che vennero tutti pagati in egual modo, al termine della giornata... questa parabola è stata narrata da Gesù, il vostro Messia, e costituiva un riconoscimento dell'onore eguale cui dà diritto il servire ».

 

Mentre il grande maestro s'interrompeva e si passava leggermente la mano sulla fronte, mi accorsi che l'avevo ascoltato con tanta attenzione da non essermi neppure mosso. Spostandomi in una posizione diversa, attesi che riprendesse a parlare.

 

« Per quanto l'atmosfera sia leggermente diversa su tutti i pianeti, contrariamente all'attuale convinzione erronea dei vostri scienziati, l'uomo terrestre potrebbe recarsi su qualunque mondo senza trovarsi a disagio. In realtà, questa sarà la sua eredità naturale, quando avrà conseguito la piena comprensione di se stesso e si sarà reso conto della grande adattabilità della sua forma ».

 

Il maestro fece una nuova pausa e inclinò leggermente la testa, come in un atto di meditazione, prima di continuare.

 

« Noi abbiamo sviluppato un grado di percezione conscia che non ci permette di sedere in mezzo ad un gruppo di persone senza provare la necessità di impartire una benedizione. Infatti, la loro stessa presenza davanti a noi è una benedizione, perché noi non li vediamo semplicemente come esseri viventi, bensì come l'Intelligenza divina in uno stato vivente, nella forma conosciuta come umana. La nostra consapevolezza è identica nei confronti di tutte le altre forme, oltre a quella umana.

 

« Noi vediamo la Coscienza divina che si esprime nella crescita di tutte le forme, dalla piú minuscola alla più grande. Abbiamo imparato che nessuna forma può essere ciò che è senza che la vita la sostenga. E nella vita noi riconosciamo la Divina Intelligenza Suprema.

 

« Non trascorre mai un solo istante, neppure nel sonno, in cui non pensiamo alla Presenza Divina.

 

« Questo è il vero scopo della forma "uomo"... lo scopo per il quale è stata creata. Infatti, mentre tutte le altre forme si esprimono nel loro particolare campo di attività, l'uomo è una forma evoluta di minerali e di elementi, capace di esprimere lo stato più elevato dell'Intelligenza Divina.

 

« Noi non stiamo in guardia l'uno contro l'altro, e non desideriamo nulla che appartenga ad altri. Infatti, tutti siamo partecipi in modo eguale di quel che offrono i nostri pianeti ».

 

Io comprendevo molto chiaramente tutto ciò che stava dicendo quel grande maestro; ma un altro pensiero affiorò nella mia mente. Mi chiesi come giudicavano l'idea di uccidere per procurarsi il cibo, se pure lo facevano, o di consumare frutta e verdura, poiché anche queste erano vive nella loro forma di espressione. Come sempre, la risposta venne senza che io avessi bisogno di parlare.

 

« In questo non vi è nulla di illogico, figlio mio. Quando lei mangia una foglia d'insalata, diventa parte di lei, non è vero? Di conseguenza, da quel momento incomincia a sperimentare tutto insieme a lei. Perciò in realtà lei non ha fatto altro che trasmutare una forma nella sua stessa forma. Se non fosse stato cosí, quella foglia d'insalata sarebbe giunta a maturazione, poi avrebbe dato semi per riprodurre la propria specie, e questa sarebbe stata tutta la sua esperienza. Ma, servendo lei, è stata elevata ad un servizio piú eletto, attraverso la sua persona.

 

« In questo principio, inoltre, ha grande importanza il motivo. Se il motivo che la spinge è il desiderio di distruggere o di fare del male o di sfruttare, allora è ingiusto. Ma se il motivo che la spinge include il servizio che lei può rendere ad un'altra forma portandola al suo stesso livello, allora è giusto. Infatti, in realtà lei trasforma un minerale facendolo passare da uno stato all'altro, in modo che possa essere di utilità ancora maggiore. In tal caso, lei agisce secondo la legge della crescita o sviluppo, chiamata da qualche tempo, nel suo mondo, "legge dell'evoluzione". E' la legge del vostro Creatore.

 

« I popoli del vostro mondo pongono in grande rilievo la forma — disintegrazione — perché non comprendono la legge dell'elevazione, perché hanno incominciato a pensare che non esista altro che la forma. La forma, invece, è soltanto la via attraverso la quale si esprime la vita o intelligenza. L'Intelligenza Onnicomprensiva non può esprimersi attraverso una foglia d'insalata. Perciò la foglia d'insalata deve venire trasformata, per stadi graduali, nella forma superiore, attraverso la quale potrà rendere un servizio piú grande. Questo è il modo in cui viene ricompensata.

 

« Quando questa legge verrà pienamente accettata e vissuta dagli uomini della Terra, cosí come è stata accettata e vissuta dagli abitanti di altri pianeti e di altri sistemi, le condizioni atmosferiche della Terra si addolciranno. Infatti, ogni forma emanerà allora radiazioni gioiose che pervaderanno l'aria in cui vive l'umanità.

 

« Lei desiderava sapere per mezzo di quale metodo ci siamo evoluti fino a raggiungere lo stato nel quale viviamo attualmente. Queste sono le leggi fondamentali secondo le quali viviamo, e secondo le quali potranno evolversi anche gli uomini della Terra, se vorranno accettarle e viverle.

 

« Quando gli uomini della Terra avranno imparato che essi non sono il corpo o la casa, ma semplicemente gli occupanti del corpo o della casa, potranno costruirsi una patria dovunque vorranno, e anche loro diventeranno padroni degli elementi, dai quali oggi sono invece dominati.

 

« Benché voi terrestri siate giunti a governare certi elementi fino ad un certo punto, è molto diffusa la consuetudine di usare in malo modo la vostra conoscenza, e gli elementi si rivolgeranno contro di voi e vi distruggeranno, cosí come molte altre civiltà della vostra Terra sono state distrutte in passato.

 

« E' questo lo stadio in cui troviamo oggi gli uomini della Terra. Possiamo soltanto continuare a cercare di portare aiuto, quando si presenta l'occasione; ma è difficile raggiungere un numero sufficiente di menti poco sviluppate come sono quelle degli uomini terrestri ».

 

Il maestro rimase in silenzio per qualche istante. Poi disse: « Non è la prima volta che lei è stato portato a bordo di una delle nostre navi, e non sarà neppure l'ultima. Può essere certo che noi, abitanti degli altri mondi, le porteremo di tanto in tanto verità che lei potrà trasmettere ai suoi simili sulla Terra. Le parleremo della vita fisica sugli altri mondi, e di quelle che voi chiamate verità spirituali o religiose, benché noi non stabiliamo divisioni di questo genere. Vi è un'unica vita. Questa vita è onnicomprensiva, e fino a quando gli uomini della Terra non avranno compreso che non possono servire o vivere due vite, ma una soltanto, continueranno ad opporsi inevitabilmente l'uno all'altro. Questa è una delle grandi verità che devono venire apprese da tutti gli uomini della Terra, prima che la vita sul vostro mondo possa diventare paragonabile alla vita degli altri pianeti.

 

« Ed ora, figlio mio, è tempo che lei ritorni alla Terra. Ciò che ha appreso può essere di enorme valore per il popolo del suo pianeta. Illumini i suoi simili con la parola e con gli scritti. Non tema di dimenticare ciò che le è stato detto. Perché, quando lei parlerà o scriverà, al primo pensiero il ricordo le verrà in un flusso continuo ».

 

In quella bellissima nave di un altro mondo regnava la pace. La lezione appresa quella notte era stata ricca di un significato molto profondo. Sapevo che tutti avevano ascoltato quella stessa lezione: forse avevano avuto la fortuna di ascoltarla molte volte, nel corso della loro vita. Sembrava che l'apprezzassero moltissimo, come se nell'udirla si schiudesse una comprensione nuova nell'ascoltare, arricchendoli maggiormente.

 

Anche questa volta non avrei voluto fare ritorno alla Terra; avrei voluto rimanere tra quegli amici benevoli e recarmi su altri mondi insieme a loro. Ma il saggio disse: « Figlio mio, vi è ancora molto da fare sulla vostra Terra. I popoli sono affamati di conoscenza, ed è doveroso nutrirli. Lei ritornerà e dividerà con loro questo nutrimento dello spirito, affinché non periscano nelle tenebre dell'ignoranza che da tante generazioni regnano sul suo pianeta ».

 

* * *

 

Durante il viaggio di ritorno, mi sembrò di udire ancora le parole del maestro che s'imprimevano con dolce insistenza nella mia coscienza, nel silenzio che non venne infranto né da Ramu, né da Zuhl, né da me.

 

Lo stesso avvenne durante la corsa in macchina per ritornare in città. Ricordavo vagamente di essermi congedato dal pilota del Ricognitore, ma non credo di avere scambiato con lui neppure una parola.

 

Quando Ramu si fermò davanti all'entrata dell'albergo, scesi lentamente sul marciapiede. Poi mi voltai, rendendomi conto vagamente che desideravo dire qualcosa. Per quanto Ramu lo sapesse già, probabilmente, prima che io parlassi, attese in silenzio, con la comprensione nello sguardo ed un sorriso grave sulle labbra.

 

Poi all'improvviso, seppi ciò che volevo dire.

 

« Il messaggio mentale che ho ricevuto questa volta », dissi, « sembrava molto piú chiaro... Mi è parso di sapere con maggiore certezza, quando sono partito per Los Angeles, ciò che sarebbe accaduto. E' stato il maestro a prendere mentalmente contatto con me, questa volta? ».

 

« Sí », rispose Ramu. « E' stato il maestro. Ed è questo che ha determinato la differenza, sebbene anche la tua capacità di ricevere stia aumentando ».

 

« Ma... l'esaltazione spirituale che ho provato... », proseguii, faticando ad esprimermi. « Sono sicuro che anche quella è pervenuta a me attraverso il maestro ».

 

« Sí », disse ancora Ramu. « Il maestro è uno degli esseri più evoluti che esistano nel nostro Sistema. Basta trovarsi alla sua presenza per arricchirsi d'amore e di comprensione. Noi siamo molto fortunati ».

 

Ci salutammo e io entrai nell'albergo.

 

Come avveniva sempre dopo quegli incontri, non avevo desiderio di dormire. Questa volta non controllai neppure che ora fosse. So che rimasi a lungo accanto alla finestra, a guardare in alto, non in basso. Provavo lo stesso senso di dissociazione che avevo provato le altre volte, ma adesso non provavo piú alcuna tristezza. Mi pare di avere espresso i miei pensieri a voce alta.

 

« E' tutto uno. Tutto una sola cosa. Lassù e quaggiù e dovunque. Non vi è separazione... ».

 

 

 

 


(13)

 

A Palomar Terraces

 

 

Durante i mesi che seguirono, ebbi molti altri contatti, sia a bordo delle astronavi, sia con persone di altri pianeti che lavorano in incognito tra noi.

 

Palomar Gardcns era stato venduto, e noi ci trasferimmo piú su, sulla nostra montagna, qualche decina di metri più in alto. Flying Saucers Have Landed venne pubblicato in Inghilterra nel settembre 1953, ed in ottobre uscí anche l'edizione americana.

 

Vi erano molte cose da fare per colonizzare quel nuovo territorio. Non soltanto era pieno di querce, ma c'era anche una grande quantità di macigni. Spesso parlavamo malinconicamente delle nozioni conosciute un tempo sulla Terra, che permettevano agli uomini di sollevare e di trasportare enormi lastre di pietra come se fossero piume. Gli egizi che eressero le piramidi conoscevano quel segreto, come lo conoscevano coloro che sistemarono al loro posto le grandi statue di pietra dell'Isola di Pasqua. Ma noi eravamo costretti a servirci di bulldozer ringhianti per aprire una strada che attraversasse la nostra proprietà e per rimuovere i macigni.

 

Il nostro piccolo gruppo trascorse molte stimolanti ore serali a progettare i semplici edifici che avremmo voluto erigere, per alloggiare non solo noi stessi, ma anche il numero sempre crescente di persone che venivano lassú per vedermi. Avevamo pensato che gli acquirenti di Palomar Gardens avrebbero continuato a gestire il ristorante e il modesto alberghetto, poiché non c'era nulla del genere nel raggio di parecchi chilometri. Ma, per ragioni loro, decisero di chiuderli. Quindi, benché non avessimo servitori a disposizione, pensavamo che fosse nostro dovere offrire i pasti ai nostri ospiti, i quali spesso dovevano fare sforzi non indifferenti per trovare il tempo di venire fin lassù a farmi visita.

 

Riuscimmo a costruire una cucina di proporzioni adeguate su di una terrazza piatta che ricavammo nel fianco della nostra montagna. L'impresa si rivelò molto complessa e faticosa, ma con l'aiuto di molti giovanotti muscolosi disposti a dedicarci il loro tempo, riuscimmo finalmente a completarla. Le nostre fatiche furono ricompensate. Una parte della terrazza è ombreggiata da querce magnifiche e noi possiamo ammirare le vette delle montagne che si innalzano, una dietro l'altra, in dolci colori pastello, fino a quando le più lontane si perdono nel cielo. Arredammo la terrazza con sedie, panche e tavole da picnic, e acquistammo un piccolo grill a carbonella.

 

All'inizio ci arrangiammo alla meglio in due vecchie baracche, di proprietà di alcuni nostri amici, su di un appezzamento di terreno vicino al nostro. La cucina, oltre a servire come ufficio e come stanza da letto per uno di noi, era anche il luogo di riunione, quando il tempo cattivo ci impediva di rimanere all'aperto. Non avevamo ancora acqua corrente né elettricità. Un ruscello purissimo, però, scorreva sottoterra, lungo il fianco della nostra montagna. Trivellammo, portammo l'acqua alla superficie e facemmo una piccola vasca, con un foro di scarico, in modo che l'acqua fosse sempre fresca; e l'attingevamo servendoci di secchi.

 

Sapevamo che, nonostante i nostri sogni e le nostre esigenze, non avremmo potuto far costruire gli edifici necessari fino a quando non avessimo potuto disporre del terreno necessario. Perciò, per quanto il nostro modo di vivere potesse apparire scomodo e primitivo agli occhi di molte persone, e il lavoro fosse molto duro, eravamo felici di ciò che avevamo, ed ogni piccola comodità che veniva ad alleviare le fatiche quotidiane quando, di tanto in tanto, potevamo permettercelo, era per noi più importante di quanto lo sarebbe stata se avessimo potuto procurarcela facilmente.

 

Fu per noi una giornata meravigliosa quando avemmo la certezza che ormai potevamo costruire un minuscolo edificio con una stanza abbastanza grande, dove avrei potuto parlare con i miei visitatori se il tempo fosse stato brutto, e una stanza piú piccola che sarebbe diventata un vero ufficio.

 

Conoscevamo un appaltatore, in una cittadina distante circa quaranta chilometri: era onesto e fidato, e ci mettemmo in contatto con lui. Avevamo costruito la cucina con le nostre mani, con l'aiuto di buoni amici, alcuni dei quali erano da molti anni miei allievi, e apprendevano da me le leggi universali. Quella piccola costruzione iniziale avrà sempre un significato importantissimo, per me, in ricordo dell'amicizia e della devozione che ci permisero di costruirla.

 

Ma adesso avremmo avuto a disposizione un vero impresario edile! Era un bravissimo uomo, che s'interessò molto del mio lavoro. Il piccolo cottage fu completato rapidamente; e ci restava abbastanza denaro per arredarlo in modo comodo e piacevole. E c'erano anche due piccoli gabinetti, con una doccia al centro! Per quanto siamo riusciti ad avere l'elettricità solo poche settimane prima del momento in cui sto scrivendo (*), l'acqua scorreva attraverso le tubazioni; e poco importava anche se era freddissima e poco abbondante! La lunga attesa dell'elettricità, che ora ci assicura il riscaldamento e che ha fatto apparire antiquate le candele e le lampade a cherosene, è stata un'altra grande gioia, e valeva la pena di attenderla.

 

(*) Tra la fine del 1954 e l'inizio del 1955 (N.d.C.).

 

Mentre stavamo lavorando per assicurarci le comodità di cui godiamo oggi, riuscimmo anche a mantenere un buon numero di animali. C'erano due cani e sei gatti, per non parlare poi delle frequenti visite delle moffette, le cosiddette puzzole americane. Questi animali tanto calunniati sono disposti a mostrarsi socievoli e amichevoli quando non vengono maltrattati, e quando vedono un amico sono in grado di riconoscerlo. Bevono il latte nelle ciotole dei gatti e dividono la carne con i cani: ed è raro che cani e gatti protestino. Talvolta, quando uno dei cani decide di esporre le sue ragioni e si avventa sull'intruso, abbaiando energicamente, la moffetta si limita a ritirarsi sul fianco della montagna, con eleganza e notevole rapidità; e se alza la coda, non lo fa per inondare l'aria con il suo odore sgradevole.

 

Negli intervalli tra i vari impegni, che mi portavano a tenere conferenze nel Middle West, a New York e in Canada, prendevo parte anch'io ai lavori, facendo tutto quello che potevo, e interrompendomi soltanto per parlare con i miei amici e con i numerosi sconosciuti che venivano a trovarmi. Benché avessi in programma conferenze sulla Costa Orientale ed in Inghilterra, mentre mi trovavo in Canada mi sentii molto indebolito e persi la voce. Le conferenze erano imminenti, e a quanto pare io non sono capace di risparmiare le mie forze quando discuto gli argomenti che mi sono piú cari. Oltre alle letture ufficiali, c'erano naturalmente molti dei miei ascoltatori che desideravano rivolgermi domande. Non potevo ascoltare i consigli di quanti mi suggerivano di uscire dalla sala delle conferenze prima che quella brava gente incominciasse a interrogarmi! Come risultato, non ero più in grado di parlare, ed il mio medico mi ordinò di disdire tutti gli impegni per le conferenze sulla Costa Orientale e in Inghilterra e di osservare un riposo completo almeno per sei mesi.

 

Quell'ordine fu una grossa delusione, per me, e le ragioni sono evidenti. Tuttavia, fui costretto a sottomettermi. Poco dopo il mio ritorno alle amatissime montagne, riacquistai la voce e insistetti per potermene servire almeno con i visitatori.

 

Temo purtroppo di costituire un grosso fastidio per quanti cercano di indurmi a comportarmi in « modo sensato »; probabilmente io non ho buon senso. Comunque so che ciò che spendo, nel dare tutto quello che posso a quanti vengono a cercarmi, mi verrà reso in molti modi.

 

Nel giugno 1954 Desmond Leslie, che avrei incontrato per la prima volta a New York se avessi avuto la possibilità di realizzare il mio programma, venne a Palomar. Per me fu una grande gioia. Dotato di una mente molto interessante e di un delizioso senso dell'umorismo, fu un prezioso acquisto per il nostro piccolo gruppo: non soltanto condivideva i nostri interessi, ma prendeva parte anche ai semplici svaghi ai quali ci dedicavamo quando era necessario rilassarci un poco.

 

Per quanto avesse progettato di fermarsi soltanto un mese o poco più, Desmond rimase con noi fin verso la fine di agosto. Conto di rivederlo di nuovo in Inghilterra, nel 1956, quando andrò laggiù per tenere le conferenze che sono stato costretto a rimandare.

 

Nel complesso, le mie giornate erano piene e felici: gli incontri con i miei amici venuti da altri mondi, i buoni amici sempre piú numerosi di questo mondo, il sano lavoro all'aperto e la preparazione del materiale per questo libro mi tenevano impegnato e mi davano grandi soddisfazioni. Qualche volta riposavo perfino, quando i miei amici incominciavano a guardarmi in un certo modo eloquente!

 

Scoprimmo ben presto che era necessario sistemare meglio il nuovo cottage. Perciò, immediatamente prima dell'arrivo di Desmond, per preparare una camera da letto, mettemmo una parete divisoria al centro della grande stanza che avevamo avuto intenzione di destinare a sala delle conferenze. Uno di noi continuava a dormire nella vecchia baracca, e un altro aveva un letto in cucina. Dopo i nuovi lavori, avevamo a disposizione una mezza sala per conferenze, dove dormivo io, una camera da letto vera e propria e un ufficio con tanto di branda. Ci sentimmo veramente a posto quando, poco tempo dopo, trasformammo una tenda in una comoda camera da letto, sistemandola su di una piattaforma rialzata di compensato e cingendola con un riparo. In questo modo, riuscimmo finalmente a togliere il letto dalla cucina!

 

Sono tuttora occupato a sistemare le tubature dell'acqua ed i serbatoi; alcuni dei miei aiutanti, in questo lavoro, sono donne. Mi sento molto fiero dei risultati. L'esile filo d'acqua che una volta scendeva nei catini e dalla doccia adesso è un vero torrente; abbiamo fatto una vera vasca sotto una quercia e abbiamo piantato tutto intorno una quantità di fiori. Proprio questa mattina abbiano tirato fuori dal ripostiglio un amorino ed una gru di cemento e li abbiamo sistemati nella vasca: sembrano molto soddisfatti.

 

Lavoriamo sodo, ma siamo molto felici. Le montagne sono sempre sotto ai nostri occhi, mai monotone nella loro bellezza che cambia con l'alba, la luce del sole e il tramonto. Al crepuscolo sono magnifiche, quando le investe la luce della Luna o quando spiccano buie contro il cielo pieno di stelle.

 

Spesso vediamo i Dischi che sfrecciano sopra di noi. In effetti, durante queste ultime settimane le astronavi sono state viste da molte persone nei paesi e nelle città vicine. Noi siamo felici di sapere che sono lassù, sopra di noi, e nei cieli della nostra Terra. Speriamo che in un futuro non molto lontano tutti i popoli del nostro mondo possano vederle e riconoscerle per ciò che sono:

 

e speriamo che molti di coloro le cui parole potrebbero convincere, che sanno e hanno mantenuto il silenzio, si decidano a parlare nell'interesse di tutta l'umanità.

 

 

 

 


(14)

 

Il banchetto d'addio

 

 

L'ultimo contatto ebbe luogo il 23 agosto 1954. Desmond Leslie, a quell'epoca, si trovava a Los Angeles, dove doveva tenere alcune conferenze. Sapeva che io stavo per avere quel nuovo contatto e avrebbe desiderato moltissimo di poter venire con me. Benché anch'io lo sperassi, i Fratelli, per ragioni che non spiegarono, non poterono esaudire la richiesta. Ora che ci ripenso, ritengo che questo avvenisse a causa della natura di alcune cose che mi vennero mostrate e spiegate in quell'occasione e che non erano accessibili a chi non avesse avuto altri contatti precedenti.

 

I miei amici Firkon e Ramu si incontrarono con me nel solito modo. Mentre ci dirigevamo verso il luogo in cui ci attendeva il Ricognitore, Firkon spiegò: « Devo dirle che l'incontro di questa notte sarà un addio, per lei e per noi. Dopo averla ricondotta al suo albergo, questa notte, ritorneremo al Ricognitore, e poi alla nave-madre, che ci ricondurrà sui nostri pianeti. La nostra missione sulla Terra è ultimata ».

 

Mi sentii invadere da una grande tristezza.

 

Ramu si affrettò a dirmi: « Ma lei ci perde soltanto nella forma corporea. Non dimentichi che possiamo continuare a comunicare mentalmente, dovunque siamo ».

 

Cercai di trarre qualche conforto da quel pensiero; ma in quel momento mi sembrava ben poca cosa.

 

Poi Firkon disse, in tono comprensivo: « Lei è un nostro amico, e lo spazio che può estendersi tra noi non potrà mai alterare questa verità ».

 

Provai vergogna delle mie emozioni. Benché non riuscissi a scacciarle completamente, riuscii almeno a dominarle.

 

Mi chiesi se qualche altro « addetto ai contatti » che viveva temporaneamente sulla nostra Terra avrebbe potuto ricevere in futuro l'incarico d'incontrarsi con me. Ma questa mia domanda tacita non ricevette risposta. Rimasi con l'impressione che quello fosse veramente un addio, almeno per un lungo intervallo di tempo; sia per quanto riguardava i due amici che sedevano accanto a me in macchina, sia per quanto riguardava altre escursioni nello spazio.

 

Questo sentimento, come penso sia facile immaginare, diede a tutte le cose nuove e meravigliose che dovevo vedere quella notte un'importanza anche maggiore, che approfondí il mio interesse e il mio apprezzamento. Tutto questo, oltre alla gratitudine per ciò che mi era già stato accordato, determinò nel mio cuore un senso di pienezza che non saprei mai descrivere a parole.

 

Poiché ho già descritto particolareggiatamente un viaggio a bordo di quel Ricognitore, mi limiterò solo ad aggiungere che trovai Orthon ad aspettarmi con il piccolo apparecchio librato a poca distanza dal suolo, pronto per una partenza immediata.

 

Durante quel tragitto non ci sedemmo neppure. La mia attenzione era equamente divisa tra i grafici sempre mutevoli alle pareti e Orthon che stava al quadro dei comandi.

 

Quando entrammo nell'astronave-madre venusiana, non provai la sensazione di caduta alla bocca dello stomaco. Raggiungemmo la piattaforma e ci fermammo, come era avvenuto nel corso del primo viaggio. C'era lo stesso uomo, che fissò il morsetto al Ricognitore per ricaricarlo, ma questa volta scese la scala con noi e ci segui nel salone.

 

Appena entrato, fui subito colpito da un'aria di festa: erano presenti parecchie persone che non avevo mai visto.

 

Fui felice quando scorsi Ilmuth e Kalna, che mi vennero incontro e mi accolsero con grande calore.

 

« Qualcuno le ha parlato della sorpresa che abbiamo in serbo per lei questa notte? » chiese Kalna, e senza aspettare la mia risposta continuò, con entusiasmo: « Verrà mantenuta una certa promessa che le era stata fatta! ».

 

Mentre Kalna parlava, Ilmuth mi aveva porto una coppa del delizioso succo di frutta. Notai che le due giovani donne indossavano l'uniforme da pilota e fui certo che questo significava un imminente viaggio nello spazio.

 

Erano presenti molti uomini ed otto donne, incluse Kalna e Ilmuth. Le altre donne indossavano abiti deliziosi, del modello che Ilmuth e Kalna portavano la prima volta che le avevo incontrate. Gli uomini portavano camicie e calzoni: e tutti calzavano sandali.

 

Per quanto non vi fossero presentazioni, non ne sentii la mancanza, perché tutti mi accolsero come un amico, e alcuni mi chiamarono persino per nome. Terminati i saluti, mi accorsi di una musica sommessa che suonava in sottofondo, e ricordava un po' quella che noi chiamiamo musica orientale.

 

Per quanto anche a Ramu fosse stata offerta una coppa di succo di frutta, notai che gli altri miei amici non si erano uniti a noi. Ilmuth mi spiegò: « Ora dobbiamo ritornare ai nostri posti, per farle la sorpresa cui ha accennato Kalna. Questa volta, con lei resterà Ramu ».

 

Mentre Orthon e Kalna se ne andavano da una parte, Firkon e Ilmuth si avviarono nella direzione opposta. Ramu ed io sorseggiammo in silenzio le nostre bevande per qualche istante. Ero felice di essere a parte del calore e della gioia che pervadevano quella sala: contribuivano a tenere lontano il sentimento di tristezza che provavo al pensiero dell'imminente separazione.

 

Diversi gruppi di persone stavano facendo dei giochi che mi erano sconosciuti e Ramu, notando il mio interesse, mi propose di avvicinarci perché potessi vedere meglio.

 

Quattro uomini erano seduti a un tavolino, e giocavano a carte. Le carte era molto diverse dalle nostre, benché avessero una grandezza simile. Non c'erano numeri, ma simboli che rappresentavano qualcosa. Le guardai per vedere se ve ne fossero due identiche, ma, a quanto potei accertare, erano tutte diverse.                     feny-angyalai.hu

 

Altri uomini stavano facendo rotolare minuscole sfere colorate su di una tavola liscia. Immaginai che dovessero essere cariche di una specie di magnetismo, poiché nella tavola non vi erano scanalature, eppure le palline non si muovevano liberamente. Certune sembravano avere la funzione di attirare a sé le altre.

 

Un altro gioco era piuttosto simile al nostro ping-pong: ma venivano tenute in gioco due palline contemporaneamente, e quindi era necessaria una grande abilità. Le donne sembravano particolarmente abili in questo gioco.

 

Mi colpí l'assenza di vocii, di risate e di altre distrazioni. Tutti si stavano evidentemente divertendo, senza bisogno di sfiatarsi come avviene tanto spesso sulla Terra. Inoltre, nessuno sembrava prendere sul serio il gioco, a differenza di quanto fanno molti di noi. Nel salone regnava un'atmosfera di gaiezza e di distensione. Spesso i giocatori alzavano la testa per indirizzarci sorrisi amichevoli. Qualcuno ci rivolse la parola, e ancora una volta rimasi sbalordito nel sentirli parlare cosí correntemente nella mia lingua.

 

Dopo un po', Ramu propose: « Andiamo nella sala comandi? Vorrei mostrarle alcune cose che penso la interesseranno ».

 

Tenendo ancora in mano i bicchieri, ci recammo nella grande sala dalle pareti ricoperte di diagrammi, grafici e strumenti, che avevo visto nel corso della mia prima visita su quell'astronave.

 

Quando entrammo, Ramu dovette premere un pulsante, perché vidi due piccoli sedili alzarsi dal pavimento, come per magia. Nello stesso istante, proprio davanti ai sedili, vidi apparire la nostra Luna al centro di un grande schermo. Mi stupì di vederla tanto vicina: non sembrava neppure racchiusa nello schermo, ma cinta dalle profondità dello spazio. Dunque era quella la sorpresa! Per un momento pensai che vi saremmo atterrati.

 

Ramu mi disse: « Ora lei sta vedendo la faccia della Luna che si scorge dalla Terra: ma non stiamo atterrando. L'immagine viene riflessa sullo schermo da uno dei telescopi che era in funzione quando lei è venuto qui la prima volta. Osservi attentamente, mentre ci accostiamo alla superficie, e noterà un'attività considerevole. Nei grandi crateri che si vedono dalla Terra noterà molti hangar grandissimi... che dalla Terra non si vedono! E osservi, inoltre, che qui il suolo è molto simile a quello dei vostri deserti.

 

« Abbiamo costruito questi hangar in modo che possano entrarvi facilmente astronavi molto piú grandi di questa. Negli hangar vi sono inoltre gli alloggi per un gran numero di operai e per le loro famiglie: sono muniti di tutte le comodità. L'acqua è portata in abbondanza per mezzo di tubazioni che provengono dalle montagne, esattamente come voi avete fatto sulla Terra con lo scopo di rendere fertili le aree desertiche.

 

« Quando un'astronave entra in uno degli hangar, ha luogo un procedimento per depressurizzare i passeggeri: richiede all'incirca ventiquattro ore. Se questo non venisse fatto, i passeggeri si troverebbero grandemente a disagio nell'uscire sulla Luna. Si tratta di un procedimento di depressurizzazione che non è ancora concepibile per i terrestri. Essi comprendono ancora troppo poco le funzioni corporee ed il loro controllo. In realtà, i polmoni umani sono capaci di adattarsi tanto alle pressioni bassissime quanto a quelle altissime, se l'aspirazione e l'espirazione non vengono effettuate troppo rapidamente; se sono affrettate, possono provocare la morte ».

 

Sarei stato felice di sottopormi alla depressurizzazione necessaria pur di avere il privilegio di sbarcare sulla Luna. Non vi era nulla che richiedesse un immediato ritorno sulla Terra.

 

Ma, con un sorriso di comprensione, Ramu disse: « Abbiamo in serbo molte cose per lei, oltre a mostrarle l'altra faccia del satellite, prima di ricondurla sulla Terra. Osservi attentamente, ora, perché ci stiamo avvicinando all'orlo della Luna. Noti quelle nuvole che si stanno formando. Sono leggerissime, e sembrano uscire dal nulla, come fanno spesso le nuvole. In maggioranza, non acquistano densità e si dissipano quasi immediatamente. Tuttavia, in condizioni favorevoli, alcune si addensano: e sono le loro ombre che qualche volta sono state viste attraverso i telescopi terrestri.

 

« Ci stiamo avvicinando, ora, all'emisfero che dalla Terra non si vede mai. Guardi la superficie proprio sotto di noi. Vede, in questa zona vi sono montagne: può notare persino la neve sui picchi di quelle più alte, e foreste fitte di grossi alberi sui pendii più bassi. Su questo emisfero lunare vi sono molti laghi montani e molti fiumi. Ora può vedere uno dei laghi, laggiù. I fiumi si versano in una massa d'acqua di grande estensione.

 

« Ora può vedere un numero di comunità di grandezza diversa, sia nelle valli che sui pendii montani. Come dovunque, la gente ha gusti diversi, e preferisce vivere a questa o a quell'altezza. E come dovunque, anche qui le attività naturali per sopravvivere sono simili a quelle che si riscontrano dovunque vi è l'umanità.

 

« Se avessimo il tempo di atterrare e di venire depressurizzati », proseguí Ramu, « e poi di effettuare un ampio giro, lei potrebbe incontrarsi personalmente con alcuni abitanti della Luna. Ma per studiare la superficie del satellite, il modo in cui lo sta vedendo ora è senza dubbio il piú pratico ».

 

Compresi la verità di queste parole quando, davanti a noi, apparve sullo schermo una città abbastanza ampia. Sembrava che stessimo sfiorando i tetti, e io potevo vedere la gente che camminava per le vie strette e pulite. C'era una sezione centrale, piú grande e solida, che doveva essere il centro degli affari, benché non fosse sovraffollata. Non vidi automobili parcheggiate lungo i marciapiedi, ma scorsi parecchi veicoli che si muovevano appena al di sopra delle strade, e non avevano ruote. Erano grandi più o meno quanto i nostri autobus, ed erano un po'diversi gli uni dagli altri.

 

Ramu spiegò: « Alcuni degli abitanti possiedono mezzi privati, ma in genere si servono dei mezzi di trasporto pubblici che lei sta vedendo ».

 

Appena fuori della città c'era un'area libera, relativamente ampia, sul lato della quale sorgeva un edificio enorme. Sembrava un hangar, e Ramu confermò la mia impressione, dicendo: « Dobbiamo costruire alcuni hangar nei pressi delle città per scaricare i rifornimenti che portiamo alla popolazione: sul posto, infatti, non si trova tutto ciò che è necessario per le sue esigenze. In cambio, ci vengono forniti certi minerali che si trovano sulla Luna ».

 

Mentre stavo osservando, la città sembrò all'improvviso rimpicciolirsi, e Ramu mi disse che adesso stavamo ritornando nello spazio fra la Luna e la Terra.

 

« Ha qualche domanda da fare, prima che ritorniamo nel salone? » mi chiese.

 

Non riuscii a pensare una domanda, e scossi il capo.

 

« In questo caso », disse Ramu, con uno scintillio negli occhi, « faremo bene ad affrettarci. Si sta preparando un banchetto, per festeggiare il mio ritorno a casa e quello di Firkon ».

 

Provai di nuovo un senso di vergogna per l'emozione che mi invase nel sentirmi ricordare l'imminente separazione, e la vinsi cercando, mentalmente, di mettermi al posto dei miei amici. Non sarei stato felice, io, in simili circostanze? Naturalmente sí!

 

« Posso piangere solo per me stesso », dissi, cercando di prenderla alla leggera. « Per voi, invece, sono felice ».

 

Orthon e Kalna ci accolsero sulla soglia, ed entrammo insieme nel salone. Vidi che la grande tavola che stava in un angolo della stanza era stata apparecchiata. Alcune delle donne che poco prima stavano giocando erano impegnate a dare gli ultimi tocchi.

 

Quando Firkon e Ilmuth entrarono dalla porta di fondo, Kalna raggiunse la sua amica; le due giovani donne uscirono insieme. Pochi minuti dopo ritornarono: si erano tolte le tute da pilota e avevano indossato incantevoli abiti fluenti.

 

La tavola era coperta da un bellissimo drappo di fibra gialla e d'oro, intessuto in disegni indefinibili. Sui due lati erano stati preparati i coperti. L'« argenteria » era piuttosto diversa dalla nostra: mi parve piú perfezionata; sembrava fatta di varie combinazioni metalliche, splendidamente intarsiate.

 

C'era una sedia a capotavola e io ne contai quattordici su ciascuno dei lati. Quando Kalna e Ilmuth ci raggiunsero, venimmo invitati a sederci. Erano presenti soltanto le otto donne che già avevo visto: gli uomini erano ventuno, me compreso.

 

Ramu sedette alla destra del maestro, Firkon alla sua sinistra. Ilmuth prese posto fra Ramu e me, e Kalna di fronte, tra Firkon e Orthon.

 

Dopo che tutti ci fummo seduti, il maestro si alzò e, per alcuni istanti, nel salone regnò un reverente silenzio. Poi, parlando in toni sommessi e chiari, il grande maestro pronunciò queste parole:

 

« Rendiamo grazie all'Infinito per questo pasto. Che ciascuno nel Tuo immenso regno possa essere egualmente provvisto. Che questo cibo rafforzi i nostri corpi, affinché possiamo servire lo Spirito Divino che in esso dimora, in modi grati a Te, Creatore di ogni vita ».

 

Dopo aver recitato questa bellissima preghiera, vi fu ancora un attimo di silenzio.

 

Poi, prima si rimettersi seduto, il maestro disse: « Siamo riuniti qui, questa sera, per celebrare con grande gioia il felice compimento della missione eseguita sulla Terra da due dei nostri fratelli qui presenti. Firkon e Ramu hanno eseguito bene il loro compito. Condividiamo la loro felicità in ricompensa dei loro sforzi, che permette loro di ritornare in patria ».

 

Sul tavolo, davanti a ciascun ospite, stavano diversi bicchieri a calice, trasparenti come cristallo, che contenevano un pallido liquido dorato. Quando finí di parlare, il maestro alzò il bicchiere, dicendo: « Beviamo benedicendoci reciprocamente e benedicendo tutti i nostri simili, dovunque si trovino ».

 

Mentre mi portavo il calice alle labbra ne sentii la delicata fragranza; sorseggiai lentamente il contenuto per non perdere nulla del suo bouquet. Non mi parve che fosse inebriante; ma forse, come molti vini, poteva diventarlo se bevuto in quantità eccessiva.

 

Alzammo tutti i bicchieri in onore di Ramu e di Firkon, ed una musica sommessa, proveniente da una fonte invisibile, riempí la sala. Era diversa da ogni genere di musica che io conoscevo, e sembrava vibrare in tutto il mio essere: era una melodia strana e bellissima, che solo di tanto in tanto aveva qualche battuta simile a quelle della musica terrestre.

 

Poiché era la prima volta che avevo il privilegio di pranzare insieme ai miei amici venuti da altri mondi, ero naturalmente curioso di scoprire fino a qual punto i loro cibi fossero simili ai nostri.

 

Ad ogni estremità della tavola e al centro c'erano bellissime coppe piene di frutta. Una varietà era perfettamente simile a grandi mele rosate; e ogni frutto aveva il picciolo intatto. Anticipai la sua freschezza, quando ne accettai uno che mi venne offerto. Ma quando lo addentai, mi accorsi che la sua polpa aveva la consistenza di una pesca matura, e il sapore era piuttosto simile ad un miscuglio fra quello delle ciliegie e quello delle mele. Al centro vi era solo un grosso seme, che sembrava un enorme seme di mela.

 

Vi erano poi altri frutti che sembravano lamponi giganteschi, sia nell'aspetto che nel sapore: il piú piccolo era grosso almeno quattro volte i nostri lamponi piú grandi.

 

Qua e là, lungo la tavola, erano disposte delle caraffe, che contenevano una varietà di succhi di frutta e di altre bevande: questo spiegava la presenza di calici di grandezza diversa davanti ad ogni coperto. La seconda bevanda che assaggiai sembrava succo purissimo di lampone.

 

I cibi ci vennero serviti dalle due donne che si erano sedute in fondo alla lunga tavola. Per prima cosa portarono piatti fumanti di verdure, dalla tavola di servizio che stava accanto alla parete vicina. Uno conteneva vegetali che mi sembravano comuni carote: tuttavia erano meno consistenti, e avevano un sapore agrodolce. C'erano altri vegetali che sembravano le nostre patate dolci. Erano sbucciate, ma vennero servite intere. Avevano un colore lievemente giallognolo e, per quanto non avessero la fibra grossolana della pastinaca (*), ne avevano il sapore. Assaggiai anche una verdura che aveva le foglie ed il colore del prezzemolo e un leggero gusto di limone.

 

(*) Pianta delle ombrellifere, dalia radice commestibile (N.d.C.).

 

C'erano anche molte altre verdure che non assaggiai. Per abitudine non mangio molto, e quella notte ero cosí preso da emozioni contrastanti che non avevo quasi appetito. Cercai invano di scacciare dal mio pensiero la ragione di quei festeggiamenti. Firkon e Ramu, i miei buoni amici, sarebbero partiti per le loro patrie lontane...

 

Accettai tuttavia un pezzetto di pane molto scuro, di grana grossa, e una strisciolina di qualcosa che in un primo momento mi sembrò carne. Il pane aveva una crosta di colore dorato, e sapeva di noci, per quanto mi parve di avvertire anche il gusto del grano. Mentre masticavo il pezzetto di « carne » e ne paragonavo mentalmente il sapore a quello del manzo ben cotto, Kalna, che stava di fronte a me, mi rivolse la parola.

 

« E' la radice seccata di una pianta venusiana », mi spiegò. « Su Venere cuciniamo la pianta fresca, e allora ha un sapore anche migliore; ma durante i nostri viaggi portiamo solo radici disseccate. E' particolarmente nutriente, perché contiene tutte le proteine che si trovano nella carne, e che il corpo umano assorbe piú facilmente. Una striscia di questa radice equivale a mezzo chilo delle vostre bistecche. Inoltre, serve anche come ottimo condimento per gli altri piatti ».

 

A fine pasto venne servita una torta enorme. Benché avesse l'aspetto di quello che noi chiamiamo « pane degli angeli », quando la tagliarono vidi che non aveva la consistenza spugnosa di quel dolce. Era soprattutto bianca, con molte striature gialle. Era molto fine, e si scioglieva letteralmente in bocca. Aveva un lieve sapore dolce, per quanto, dove le strisce gialle erano separate dal bianco, il sapore cambiava in modo difficile da descrivere. Nel complesso, la trovai deliziosa.

 

Mentre osservavo gli altri seduti attorno alla tavola e ascoltavo le loro gaie conversazioni, mi accorsi che nessuno mangiava troppo di quel cibo abbondante, a differenza di ciò che avviene spesso nei banchetti terrestri. Peraltro, tutti sembravano apprezzare il cibo.

 

Terminato il pasto, le donne ed alcuni degli uomini si alzarono e sparecchiarono la tavola. Nel modo miracoloso che ormai mi era divenuto familiare, grandi porte si aprirono in una cucina, nella parete dietro alla tavola che mi era sembrata compatta. Venne portato tutto in quella stanza; dopo un attimo, i miei ospiti tornarono a sedersi e le porte si chiusero dietro di loro.

 

La musica cessò quando uno degli uomini si alzò dal suo posto. Senza accompagnamento, cantò una canzone nella sua lingua natia. Benché non fossi in grado di comprenderne le parole, ascoltai, affascinato dalla bellezza della sua voce.

 

Quando ebbe finito di cantare, Ilmuth mi disse: « Era una canzone di addio e di benedizione per i Fratelli che ritornano in patria ».

 

La musica tornò a diffondersi dalla sua sorgente invisibile, piú forte di prima e con un piglio più vivace.

 

La ragione di questo cambiamento apparve evidente quando due delle donne si alzarono, si portarono in uno spazio libero oltre la tavola e cominciarono a muoversi splendidamente all'unisono, al ritmo della musica. Più tardi, mi venne spiegato che quella danza rappresentava la potenza dell'Universo.

 

Mentre le guardavo danzare, pensai che per riprodurre i loro movimenti sarebbe stato necessario possedere giunture snodate e l'elasticità di un bambino. Era uno spettacolo veramente meraviglioso, perché ogni movimento ed ogni posa dei loro corpi raffiguravano, uno dopo l'altro, tutti gli stati della natura, dalle acque più calme alle più terribili tempeste dello spazio.

 

E' impossibile descrivere quel ritmo: era affascinante e profondamente sconvolgente. Le giovani danzatrici erano squisitamente incantevoli, e i loro abiti sembravano cambiare colore, nel movimento, benché non scorgessi raggi di luce che giocassero su di essi. La parola « grazia » al superlativo non basterebbe a rendere giustizia a quell'esibizione meravigliosa.

 

Quando la danza fu terminata e fu trascorso qualche istante, il maestro disse qualcosa a Orthon, il quale mi si avvicinò.

 

« Ora », disse, « vogliamo farle vedere qualche scena del nostro pianeta Venere: verranno trasmesse direttamente dal nostro mondo all'astronave ».

 

Fui felicissimo di quella prospettiva e mi chiesi su quale schermo sarebbero state proiettate le scene. Sotto il mio sguardo stupefatto, mentre le luci si abbassavano, la prima scena apparve sospeso nell'aria del salone!

 

Orthon sembrò divertito dal mio sbalordimento e spiegò: « Abbiamo un certo tipo di proiettore che può irradiare e fermare i raggi alla distanza desiderata. Il punto d'arresto serve come schermo invisibile, in cui le immagini si concentrano, mantenendo intatti i colori e le qualità dimensionali ».

 

La scena che stavo ammirando sembrava, in realtà, cosí concretamente « presente » che soltanto a grande fatica riuscii a convincermi di essere ancora a bordo dell'astronave. Vidi montagne magnifiche, alcune con le vette imbiancate di neve, altre spoglie e rocciose, non molto diverse da quelle della Terra. Alcune erano coperte di boschi, e vidi ruscelli e cascate che scendevano dai fianchi dei monti.

 

Orthon si tese verso di me per bisbigliare: « Abbiamo molti laghi e sette oceani, tutti collegati con vie d'acqua, naturali e artificiali ».

 

Mi mostrarono parecchie città venusiane, alcune grandi ed altre piccole. Ebbi la sensazione di essere stato trasportato in una meravigliosa terra incantata. Gli edifici erano bellissimi, senza linee monotone. Molti erano sovrastati da cupole che irradiavano i colori dell'arcobaleno e che davano un'impressione di forza rivitalizzante.

 

« Nell'oscurità della notte », disse sottovoce Orthon, « i colori scompaiono e le cupole si illuminano di una dolce luce gialla ».

 

Tutte le città avevano piani regolatori circolari od ovali; nessuna appariva congestionata dal traffico. Fra queste comunità, c'erano ancora vasti territori disabitati.

 

Le persone che vidi per le strade di quelle città erano molto simili ai terrestri, ma non presentavano quella precipitazione preoccupata che è cosí comune tra noi. Anche gli abiti erano simili: ciascuno sceglieva indumenti di suo gusto, pur seguendo una moda generale.

 

Calcolai che la persona piú alta da me vista doveva esserlo almeno un metro e novanta; l'adulto medio era circa un metro e settanta, il più piccolo non superava il metro: ma questo doveva essere un bambino. Non potevo esserne sicuro, poiché nessuno dimostrava l'età come la dimostriamo noi. So di avere visto anche alcuni bambini, molto più piccoli dei nostri.

 

Al posto delle nostre automobili, vidi veicoli piuttosto simili ad astronavi-madre in miniatura, che venivano usati per spostarsi. Sembravano scivolare a poco distanza dal suolo, come gli « autobus » che avevo visto sulla Luna. I veicoli erano di dimenstarsi. Sembravano scivolare a poca distanza dal suolo, come gli

Mi chiesi quale fosse il loro sistema di propulsione, e Orthon si accostò di nuovo per spiegarmi all'orecchio: « Si muovono esattamente grazie alla stessa energia che fa funzionare le nostre astronavi ».

 

Le strade erano ben ordinate, splendidamente fiancheggiate da fiori di molti colori.

 

Mi venne quindi mostrata la spiaggia di un lago. La sabbia era fine, bianchissima. Le onde basse e lunghe avevano un ritmo quasi ipnotico. Sulla spiaggia e nell'acqua c'erano molte persone: mi chiesi che tipo di stoffa usassero per i loro costumi da bagno, perché, quando uscivano dal lago, non sembravano affatto bagnati.

 

Kalna, che era venuta a sedersi accanto a me, chiari il mio dubbio: « Non solo la stoffa è assolutamente impermeabile, ma serve anche a respingere certi raggi dannosi del sole. Come sulla Terra », continuò poi, « questi raggi sono piú potenti quando sono riflessi dall'acqua ».

 

Mi venne quindi mostrata una zona tropicale di Venere. Rimasi sbalordito nel notare che, in generale, quasi tutti gli alberi assomigliavano ai nostri salici piangenti, perché il fogliame aveva la tendenza a ricadere. Ma i colori e i particolari delle foglie erano molto diversi.

 

Come si può bene immaginare, m'interessai moltissimo agli animali che vidi nelle varie scene. Sulla spiaggia avevo notato un piccolo cane a pelo corto. Altrove, scorsi uccelli di vari colori e dimensioni, poco diversi da quelli terrestri. Uno sembrava identico al nostro canarino selvatico. Nelle campagne vidi cavalli e mucche, gli uni e gli altri un po' più piccoli di quelli terrestri, ma per il resto assai simili; e questo sembrava essere il caso per quanto riguardava tutti gli animali di Venere.

 

Anche i fiori assomigliavano moltissimo a quelli che crescono sul nostro pianeta. Direi che la differenza principale tra gli animali e le piante di Venere, in confronto a quelli terrestri, stava nella colorazione e nella consistenza diversa dei tessuti. Kalna mi disse che questo era dovuto all'umidità, sempre presente nell'atmosfera.

 

« Come ormai lei sa », disse, « la nostra gente vede raramente le stelle come le vedete voi dalla Terra. Conosciamo le bellezze del cielo al di là del nostro firmamento solo grazie ai nostri viaggi e ai nostri studi ».

 

Mi mostrarono infine l'immagine di una bellissima donna e di suo marito, insieme ai loro diciotto figli: ad eccezione di uno solo, erano tutti adulti. Nonostante ciò i genitori non dimostravano piú di una trentina d'anni.

 

Lo spettacolo terminò; fui invitato a fare domande. Per prima cosa domandai quali effetti avesse sugli abitanti di Venere la coltre di nubi che circonda il pianeta.

 

Orthon rispose: « Oltre al fatto che viviamo secondo le leggi universali, anche la nostra atmosfera contribuisce a far sí che la durata media della nostra vita sia di circa mille anni. Quando anche la Terra aveva un'atmosfera simile, l'uomo viveva sul vostro pianeta assai più a lungo di quanto avvenga ora.

 

« La coltre di nuvole che circonda i nostri pianeti funge da filtro per indebolire i raggi distruttivi che altrimenti penetrerebbero nell'atmosfera. Richiamo la sua attenzione su una notizia contenuta nelle vostre Sacre Scritture. Se le studia attentamente, noterà che la durata della vita sulla Terra incominciò a decrescere quando le formazioni nuvolose si diradarono e gli uomini videro per la prima volta le stelle nello spazio.

 

« Forse le interesserà apprendere che attualmente si sta verificando un'inclinazione graduale della sua Terra. Se, come potrebbe accadere in qualsiasi momento, dovesse compiere una inclinazione completa per ultimare il suo ciclo, gran parte delle terre attualmente sommerse dall'acqua emergerebbe. Per molti anni a venire, questo suolo impregnato di umidità continuerebbe ad evaporare, e questo porterebbe ad una formazione costante di nuvole, o "firmamento" attorno alla vostra Terra. In questo caso, la durata della vita umana crescerebbe, e se i popoli del suo pianeta apprenderanno a vivere secondo le leggi del Creatore, anche voi potrete arrivare a vivere mille anni in un corpo.

 

« Questa inclinazione della Terra è una delle ragioni per cui noi la teniamo sotto costante osservazione, perché il suo rapporto con tutti gli altri pianeti della nostra galassia è estremamente importante. Un'inclinazione drastica di un solo pianeta li influenzerebbe tutti, in diversa misura, e cambierebbe in modo decisivo le vie che percorriamo nello spazio ».

 

« Senza dubbio, un'inclinazione violenta causerebbe una grave catastrofe per la nostra Terra, non è vero? » domandai.

 

« E' quello che accadrà », rispose Orthon. « E per quanto le leggi che governano i rapporti tra l'uomo e il mondo sul quale vive non siano attualmente comprensibili ai terrestri, desidero ricordare che la strada errata da loro ostinatamente seguita è la vera ragione per cui ignorano l'attuale instabilità del pianeta. Nel corso dei secoli, vi sono stati molti segni e molti portenti, che i vostri popoli hanno ignorato. Diversi sono documentati come profezie nella vostra Sacra Scrittura. Ma il vostro popolo non le ha ascoltate. E per quanto parecchie di queste profezie si siano già realizzate, i terrestri non hanno ancora imparato la lezione. Non è saggio rendersi indipendenti dal Creatore di tutte le cose. L'umanità deve essere guidata dalla mano che le ha donato la vita.

 

« Se l'uomo vuole vivere senza catastrofi, deve amare il suo prossimo come se stesso. Il Creatore non vuole che l'umanità si rivolga contro se stessa nella crudeltà e nel massacro indiscriminato ».

 

« So », dissi io, « che stiamo entrando in un nuovo ciclo. Alcuni dei miei fratelli terrestri lo chiamano Età dell'Oro, altri Era dell'Acquario (*). Può dirmi qualcosa in proposito? ».

 

(*) Il ciclo astrologico, che per alcuni inizierà tra poco e per altri è già iniziato, e che comunque comprenderà i prossimi 2.000 anni succedendo all'Era dei Pesci. Secondo gli astrologi, dovrebbe regnare una rivincita, della spiritualità sul materialismo (N.d.C.).

 

« Sul nostro pianeta noi non diamo nomi del genere ai cambiamenti, perché conosciamo soltanto il progresso. Ma per rispondere alla domanda in modo che lei possa capire, diciamo che vi state avvicinando all'Età Cosmica, anche se non ve ne rendete conto. Avete già avuto la vostra Età dell'Oro, perché avete adorato più l'oro che Dio. E un'Era dell'Acquario, come voi la chiamate, potrebbe essere solo un'era in cui la Terra vi affligge per l'eccessiva abbondanza o per l'eccessiva carenza di acqua. Avete già attraversato condizioni del genere. I nomi stessi assegnati a questi periodi di cambiamento costituiscono una parte del blocco che ostacola la vostra comprensione. I popoli della Terra devono imparare a progredire al ritmo dei cambiamenti naturali, senza lasciarsene assoggettare ».

 

« E come definirebbe l'Età Cosmica? » domandai.

 

« In realtà, la chiameremmo piuttosto comprensione cosmica. E' la prima volta nella vostra civiltà che, in senso lato, vi siete resi conto della probabilità dell'esistenza di altri mondi abitati, oltre al vostro. Poiché noi ci mostriamo con le nostre navi spaziali, come stiamo facendo oggi, nei cieli del vostro mondo, anche coloro che non vorrebbero credere hanno poca scelta. Per la prima volta, nella memoria dell'umanità del vostro pianeta, vi è la prova schiacciante che la Terra non ha generato la vita per puro caso, come hanno affermato persino alcuni dei vostri astronomi piú famosi. L'umanità si manifesta sul vostro mondo perché quel pianeta fa parte dell'immensa, ordinata creazione dell'Infinito, soggetta alle sue leggi divine.

 

« Le nostre astronavi fanno nei vostri cieli quello che nessun aereo terrestre è in grado di fare. I vostri scienziati lo sanno; lo sanno i vostri governi. I piloti dei vostri aerei, in tutto il mondo, ci hanno visti e si sono meravigliati. Migliaia di persone hanno alzato lo sguardo e sono rimaste sbalordite. Altre migliaia di persone, dovunque, oggi stanno guardando il cielo nella speranza di scorgerci.

 

« Tutto ciò era stato predetto da uomini dell'antichità. Le profezie che ancora conservate hanno detto che tutto il mondo sarà turbato, e che questi saranno i segni: i Figli di Dio scenderanno dal Cielo alla Terra per liberare i popoli. Le condizioni odierne del vostro mondo vi hanno posti, come voi dite, all'ombra della morte. Tutto il vostro mondo è turbato e sconvolto. E poiché veniamo dal cielo, e anche noi siamo figli di Dio, non le sembra che si stia realizzando l'antica profezia?

 

« Era stato inoltre predetto che, quando verrà il momento, le razze scure del mondo si leveranno e chiederanno di avere diritto al rispetto ed alla sorte degli uomini liberi, negati loro per tanto tempo da voi che avete la pelle più chiara. E anche questa profezia non si sta forse compiendo in questi giorni sulla Terra?

 

« Come vede, noi conosciamo molto bene la storia del suo mondo. "Noi siamo custodi di nostro fratello": è una concezione che vale per tutta l'umanità, dovunque. E' in questo ruolo che veniamo a voi e vi diciamo: "L'Essere Supremo dell'Universo deve essere la parola che guida il vostro mondo, perché i vostri affanni svaniscano e le tenebre diventino luce".

 

« Che farebbe l'uomo senza l'alito della vita? E chi glielo dona? Non si trova forse dovunque, per il bene di tutti? E allora l'uomo della Terra deve sapere che il suo Dio non è lontano, ma vicinissimo in tutte le manifestazioni, e nell'uomo stesso ».

 

Orthon smise di parlare e per qualche istante rimasi seduto a testa china, meditando sulle sue parole. Lentamente, mi accorsi che un calore nuovo aveva invaso il mio spirito. Alzai lo sguardo e dalle espressioni di coloro che mi circondavano compresi che ciò che sentivo era la loro benedizione.

 

Poi il maestro si alzò e mi si avvicinò. Mi alzai, e si alzarono anche tutti gli altri.

 

« Figlio mio », disse, guardandomi profondamente negli occhi, « molto di ciò che ha detto nostro fratello è contrario a molte cose che il suo popolo ha imparato a considerare come verità. Questo, di per sé, non ha importanza, poiché ciò che si è imparato ieri serve soltanto come gradino per procedere verso la verità più grande che apprenderemo domani. Questa è la legge del progresso: quando si è sulla retta via, non può essere diversamente. E' sempre essenziale che gli uomini operino e si sforzino insieme, con mente aperta, sempre consapevoli che non si potrà mai conoscere tutto. Questa è una guida infallibile, che serve per stabilire quale è la retta via. E' molto semplice. Se i risultati dei vostri pensieri e delle vostre azioni sono malvagi, allora la strada che percorrete conduce lontano dalla luce della presenza divina. Se lungo la strada che percorrete incontrate cose buone, allora le vostre vite, e le vite dei vostri figli e dei figli dei vostri figli saranno gioiose. Le benedizioni, non guastate da malattie e da affanni, saranno la vostra eredità eterna ».

 

Mi toccò la mano in un gesto di commiato e uscí dalla sala in un silenzio che vibrava ancora delle sue parole.

 

Guardai a lungo i volti dei miei molti amici, per imprimerli nella memoria. Non vennero pronunciate parole di addio, ma ognuno alzò la mano, ed io alzai la mia. Poi mi lasciai condurre da Orthon attraverso l'astronave, sino al piccolo Ricognitore.

 

Firkon e Ramu mi accompagnarono durante il tragitto di ritorno in macchina, fino in città. Non parlammo.

 

Quando fummo arrivati davanti all'albergo e venne per me il momento di separarmi da quei cari amici, mi sentii travolgere da un'immensa ondata di emozione. Ci stringemmo la mano e Ramu disse, sottovoce: « La benedizione dell'Infinito sia con lei ».

 

Allora li lasciai, e salii nella mia stanza solitaria.

 

 

 

 


(15)

 

Un poscritto inaspettato

 

 

25 aprile 1955

 

Mentre questo libro è già in corso di stampa (*) si è verificato un avvenimento di tale importanza che lo registro immediatamente per inviare queste righe all'editore.

 

(*) L'edizione americana, la cui pubblicazione precedette quella inglese (N.d.C.).

 

Per tutta la giornata di ieri, 24 aprile, i soliti visitatori domenicali di Palomar Terraces hanno continuato ad affluire numerosi come al solito, dalle prime ore del mattino fino a tarda sera. Mentre parlavo con loro, mi rendevo conto progressivamente che mi veniva annunciato un imminente incontro con i Fratelli. Era già tardi quando l'ultima coppia se ne è andata, e mi sono ritirato in camera mia, cercando di dormire ma senza riuscirvi. Poco dopo l'impulso di alzarmi e di andare in città è diventato cosí intenso che ho compreso che dovevo partire senza indugio.

 

Durante la lunga corsa verso la città, mi sono domandato se stava per venire esaudita una richiesta che avevo formulato nel corso del nostro ultimo incontro. Avevo chiesto se mi potevano permettere di scattare fotografie all'interno di una nave spaziale, per fornire ulteriori prove sia a coloro che credono che a quelli che dubitano. Oltre a darmi l'impressione che la cosa poteva non essere facile quanto credevo, uno dei Fratelli aveva fatto un commento che io sapevo verissimo. « Anche se ci riuscissimo », aveva detto, « dubito che potrebbe convincere gli scettici incalliti, perché gli uomini della Terra hanno tuttora una concezione troppo falsata degli altri pianeti e delle condizioni che vi regnano ».

 

Tuttavia, io avevo continuato a sperare...

 

Mi sono recato al solito posto, e sono stato accolto da un uomo al quale ero stato presentato nel corso di un precedente incontro, e che era venuto per sostituire un Fratello ritornato sul suo pianeta. Senza indugio, mi ha condotto in macchina in una località deserta, dove ci stava aspettando un Ricognitore, identico a quello che avevo visto la prima volta. Quando siamo saliti a bordo del piccolo apparecchio, ho dato un'occhiata al mio orologio ed ho visto che erano esattamente le 2 e 30 del mattino. Dopo avermi salutato, il pilota mi ha chiesto se avevo portato con me la macchina fotografica. L'avevo portata! Era una piccola Polaroid che avevo acquistato da poco tempo. Il pilota non ne aveva mai vista una, e mi ha pregato di spiegargliene il funzionamento (*).

 

(*) (Questa spiegazione relativa alla Polaroid è stata inclusa su richiesta di Lord Dowding, in seguito ad una lettera a George Adamski, perché « gli inglesi non conoscono questo tipo di macchina fotografica »).

 

La Polaroid ha un rotolo di pellicola per otto istantanee. Sviluppa la fotografia un minuto dopo che è stata scattata. Dentro la macchina c'è un piccolo contenitore sigillato fissato all'estremità di ogni pellicola, e quando questa si svolge su di un piccolo perno metallico all'interno della macchina stessa, la sostanza che sviluppa la pellicola si spande sull'inquadratura appena impressionata. Dopo un minuto, la foto è perfettamente stampata e può venire estratta. Ma bisogna stampare e rimuovere ogni fotografia prima di poterne fare un'altra.

 

Le quattro fotografie di Orthon e di Adamski che guardano attraverso gli oblò dell'astronave-madre furono sviluppate a bordo del Ricognitore, mentre le due scattate a bordo dell'astronave-madre furono sviluppate sul posto.

 

Lo sfondo delle fotografie è costituito dall'astronave-madre. Le parti chiare sono la porzione dell'astronave-madre sulla quale si rifletteva la luce del Ricognitore mentre questo veniva manovrato nel tentativo di ottenere buone immagini.

 

E un po' come se una persona stesse a due metri di distanza da una finestra, in una stanza non illuminata di una casa buia, in una notte completamente tenebrosa. Nel tentativo di fotografare quella persona, si avvicina il flash per illuminarla. Ma non si potrebbe ottenere una foto dell'intera casa, bensí esclusivamente di quella parte illuminata dal flash. (Nota dell'Editore americano).

 

« Questo incontro è stato organizzato appositamente per esaudire la sua speranza di realizzare le foto di cui ci ha parlato l'ultima volta che ci siamo incontrati », ha detto il pilota. « Non possiamo garantire nulla, per ragioni che le appariranno chiare in seguito, ma tenteremo di ottenere una foto della nostra nave con lei a bordo. Sarebbe abbastanza semplice, se potessimo servirci del nostro metodo di fotografia, ma per i suoi scopi sarebbe inutile. Le nostre macchine fotografiche e le nostre pellicole sono interamente magnetiche, e sulla Terra non esistono apparecchi capaci di riprodurre tali immagini. Perciò dobbiamo usare la sua macchina e vedere che cosa riusciamo ad ottenere ».

 

Ero cosí occupato a spiegargli il funzionamento della macchina fotografica che non mi sono accorto che ci stavamo muovendo, fino a quando l'uomo che era venuto a prendermi ha esclamato: « Siamo arrivati! ».

 

Alzando gli occhi, ho visto che il portello del Ricognitore si stava aprendo. Allora, con mia grande sorpresa, mi sono accorto che eravamo atterrati sopra ad una piccola astronave-madre. Dico « piccola » perché era meno grande delle altre. Il portello dal quale di solito i Ricognitori entravano era perfettamente visibile, ma il mio amico è uscito e mi ha fatto cenno di seguirlo. Abbiamo camminato sull'astronave-madre, passando davanti al grande portello, dirigendoci verso uno piú piccolo che si è aperto quando ci siamo avvicinati. Questa è stata un'altra sorpresa, perché non immaginavo che vi fossero aperture del genere nelle astronavi-madre. C'era un ascensore: e ho avuto la bella sorpresa di vedere che sulla piattaforma stava Orthon. Al suo invito, sono entrato insieme a lui. L'uomo che mi aveva condotto fin lí è ritornato al Ricognitore, dove c'era il suo compagno al quale avevo lasciato la macchina fotografica.

 

Questo ascensore era simile al montacarichi della grande astronave saturniana, descritto al Capitolo 8. Siamo scesi al centro della nave, dove vi era una fila di oblò perfettamente visibili, su entrambi i lati dell'enorme apparecchio. Qui l'ascensore si è fermato e noi siamo scesi. Orthon mi ha spiegato che si sarebbe messo davanti ad uno degli oblò, mentre io dovevo mettermi davanti ad un altro, mentre gli uomini rimasti a bordo del Ricognitore avrebbero cercato di fotografarci. Intanto il Ricognitore si era portato ad una certa distanza.

 

Ho notato che gli oblò di quell'astronave-madre erano doppi, e che tra il vetro esterno e quello interno c'era uno spazio di circa due metri. Noi eravamo in piedi dietro ai vetri interni, e non potevo fare a meno di chiedermi come si poteva sperare di ottenere buone fotografie, con quella macchina minuscola, attraverso tutto quel vetro!

 

Nello spazio è molto difficile calcolare le dimensioni e le distanze, perché non ci sono termini di paragone, mi è però sembrato che il Ricognitore stesse librato ad una trentina di metri dalla nave piú grande. Dalla parte superiore (*) il Ricognitore irradiava un raggio di luce fulgidissima verso l'astronave-madre. Qualche volta il raggio era più intenso, qualche volta meno. Come mostrano le fotografie, a bordo del Ricognitore stavano cercando la luce più adatta per riprendere l'astronave e nello stesso tempo penetrare attraverso gli oblò, in modo da ritrarre me ed Orthon.

 

(*) Vedere foto n. 1.

 

Mentre questo avveniva, la radiazione dell'astronave-madre e del Ricognitore era stata ridotta al minimo. In seguito sono venuto a sapere che gli uomini erano stati costretti ad applicare una specie di filtro sulla macchina fotografica e sulla lente per proteggere la pellicola dall'influenza magnetica della grande nave. Era solo un esperimento iniziale e, come si vede chiaramente dalle fotografie, sono state tentate distanze e intensità di luce diverse.

 

A questo punto devo riconoscere di avere molto rimpianto il fatto di avere dimenticato, partendo da casa in fretta e furia, di prendere con me altre pellicole. Questo ha causato gravi difficoltà per i Fratelli, perché lasciava uno stretto margine al metodo di « prova ed errore » cui erano costretti a ricorrere. Mentre lavoravano con la mia macchina fotografica, ne studiavano attentamente i risultati. Forse riusciranno ad apportare qualche miglioramento che, in futuro, potrà dare fotografie più ricche di particolari.

 

E' trascorso un certo tempo prima che un segnale del Ricognitore ci avvertisse che stavano ritornando all'astronave-madre. Ho guardato l'ascensore mentre saliva; il portello si è aperto, e l'ascensore è ritornato al nostro livello. Ne è uscito il pilota del Ricognitore, con la mia macchina fotografica tra le mani. Ci ha raggiunti e ha riferito che, sebbene ritenesse assai mediocri quelle fotografie, aveva avuto parzialmente successo e aveva tenuto in serbo le ultime due per fotografare l'interno dell'astronave-madre.

 

Poiché ormai io mi aspettavo un risultato pessimo, sono rimasto piacevolmente sorpreso dalle foto che mi ha mostrato (*).

 

(*) Vedere foto n. 12, 13, 14 e 15.

 

Mentre ci dirigevamo verso la parte anteriore dell'astronave, ho visto una parete che scivolava via, e rivelava un'apertura, molto simile ad una galleria. In fondo alla galleria c'era una piccola camera, dove due piloti sedevano dietro i comandi.

 

Poiché l'estremità dell'astronave era trasparente e i grafici splendevano, c'era molta luce, ed io speravo di ottenere un'ottima fotografia. Tutte le luci della stanza in cui ci trovavamo sono state spente, lasciandola quasi completamente al buio. Ma i due tentativi sono stati inutili, a causa della grande energia magnetica dell'astronave, assai superiore a quella del Ricognitore.

 

Una cosa, comunque, è provata. Senza un sistema di filtri non ancora inventato, è impossibile ottenere fotografie chiare all'interno di un'astronave. Quando ho chiesto se una macchina fotografica migliore, con un obiettivo piú sensibile, avrebbe ottenuto risultati migliori, mi è stato risposto che è molto improbabile ottenere un notevole miglioramento, dato il tipo di pellicola impiegato.                angelo-luce.it

 

Quando abbiamo finito di scattare le ultime due foto, le luci all'interno dell'astronave si sono riaccese. Siamo ritornati tutti e tre all'ascensore e siamo risaliti all'esterno dell'astronave. Quando il portello si è aperto, ho visto che il Ricognitore era tornato a posarsi. Orthon mi ha toccato la mano in un saluto di commiato, e il pilota del Ricognitore ed io siamo ritornati a bordo dell'apparecchio che ci aspettava. Appena siamo entrati, il portello si è chiuso silenziosamente alle nostre spalle e siamo partiti immediatamente.

 

Mi è impossibile giudicare a quale distanza ci trovassimo dalla Terra, ma dal momento in cui l'abbiamo lasciata al momento del nostro ritorno è trascorso un po' più di due ore e mezzo.

 

Tornati sulla Terra, il mio amico ed io ci siamo congedati dal pilota e ci siamo avviati verso il punto in cui avevamo lasciato la macchina. Poco prima delle sette del mattino, il mio compagno mi ha lasciato davanti all'entrata di casa mia. Per quanto lo abbia invitato a fermarsi per prendere un caffè e fare colazione, mi ha ringraziato e ha declinato l'invito, spiegandomi che non poteva arrivare in ritardo al lavoro: infatti si era impiegato per la durata del suo soggiorno sulla Terra.

 

Per concludere, mi sia permesso di dire questo: mi rendo perfettamente conto che vi saranno molti tentativi di screditare queste fotografie. Ma questo non mi turba. Ciascuno è libero di credere o di non credere le affermazioni suffragate dalle fotografie e contenute in questo libro. Ma ciascuno deve rendersi conto che le sue conclusioni personali non modificano minimamente la realtà. Per trovare conferma, è sufficiente sfogliare le pagine della storia di un qualunque anno di qualunque epoca. Nella sua concezione grossolana, la mentalità terrestre ha sempre considerato piú facile beffarsi delle nuove meraviglie che riconoscere i limiti della propria conoscenza dei miracoli che attendono di venire scoperti nell'Universo sconfinato.

 

Ai Fratelli degli altri mondi, che sono esseri umani come noi, io sono molto riconoscente per ciò che mi hanno mostrato ed insegnato. E lo riferisco ai miei fratelli di questo mondo, sapendo che molti di loro sono già pronti. Come sempre, gli scettici devono aspettare quella che sarà anche per loro la prova inconfutabile del fatto che lo spazio è stato conquistato dai popoli venuti da pianeti molto più progrediti del nostro.

 

George Adamski

 

 

 

 


(16)

 

APPENDICE A

PROFILO BIOGRAFICO

 

 

Nato in Polonia il 17 aprile 1891, George Adamski aveva meno di due anni quando i suoi genitori emigrarono negli Stati Uniti e si stabilirono a Dunkirk, nello Stato di New York. La sua infanzia fu molto simile a quella di tanti altri figli di emigranti, ma con una differenza importante. I suoi genitori possedevano un'insolita mentalità, profondamente religiosa, per quanto riguardava le meraviglie della creazione che si manifestano nei vari aspetti della natura. Perciò, sebbene frequentasse le scuole pubbliche per non molto tempo, il giovanissimo Adamski ricevette un'istruzione di importanza vitale attraverso l'insegnamento privato. Divenne adulto e conservò quell'ammirazione e quella reverenza verso tutti gli aspetti della natura.

 

Egli pensava che in un mondo simile doveva essere facile vivere nell'armonia. Incominciò ben presto a cercare di scoprire la ragione per la quale ciò appariva impossibile. E subito si rese conto che, mentre le leggi effimere formulate dagli uomini erano dettate dalla geografia, dalle esigenze e dalle tradizioni mutevoli, talvolta soltanto dagli interessi particolari di quanti detenevano il potere, le leggi della natura erano immutabili. Comprese che la lezione insegnata dalle pagine della storia non era stata appresa. Comprese che i popoli della Terra, presi singolarmente e collettivamente, camminavano ancora lungo i vecchi solchi, che potevano portare soltanto alla ripetizione delle stesse antiche catastrofi. Per il giovane Adamski, era un argomento di grande interesse. Egli sapeva che, nonostante i limiti che gli erano imposti, apprendere tutto ciò che poteva a questo proposito sarebbe stato lo scopo della sua vita. E sperava di servire i suoi simili grazie alla conoscenza che avrebbe potuto acquisire.

 

Fortunatamente, non nutrì mai alcun rancore per le circostanze che avevano impedito ai suoi genitori di continuare a pagare per assicurargli l'istruzione che la sua ambizione e la sua mente acutissima avrebbero richiesto. Al contrario, cercò volontariamente un lavoro, per alleviare le spese del mantenimento della sua famiglia. L'università del mondo era a sua disposizione, c'erano lezioni interessanti da apprendere dovunque e da chiunque.

 

Nel 1913 Adamski si arruolò nell'Esercito, e prestò servizio nel 13° Cavalleria al confine messicano; venne congedato nel 1919. Nel frattempo, il giorno di Natale del 1917 aveva sposato Mary A. Shimbersky.                   angeles-luz.es

 

I cinque anni trascorsi nell'Esercito valsero a rafforzare in Adamski il desiderio di acquisire una maggiore comprensione ed una maggiore conoscenza per poter essere utile ai suoi simili. Tuttavia, ritenendo che lo studente non era ancora in grado di diventare insegnante, per molti anni viaggiò in tutto il Paese, guadagnandosi da vivere con i lavori che gli venivano offerti. Era un ottimo sistema per studiare i problemi e le frustrazioni da cui nessuno è libero. Non aveva una missione da perseguire fanaticamente, e non era nella sua indole cercare di salire in cattedra. La pazienza, la compassione e la gaiezza caratteristiche del carattere di Adamski dovettero essere le qualità che attiravano le confidenze dei suoi compagni di lavoro.

 

Solo quando fu prossimo alla quarantina, Adamski interruppe i suoi vagabondaggi e si stabilì a Laguna Beach, in California. Quella fu la sua prima vera casa e lì, durante gli Anni Trenta, si dedicò interamente all'insegnamento delle leggi universali. Ben presto i suoi allievi furono centinaia; venne invitato a tenere conferenze in tutta la California meridionale, e le sue conversazioni vennero trasmesse dalle stazioni radio KFOX di Long Beach e KMPC di Los Angeles.

 

Uno dei suoi allievi gli regalò un telescopio newtoniano da sei pollici, e Adamski dedicò molto tempo allo studio dei cieli. Insieme ai suoi allievi, scattò innumerevoli fotografie per mezzo di congegni fatti in casa. Fu durante questo periodo che Adamski fece la sua prima fotografia di un'astronave, benché a quel tempo non sapesse che cosa fosse. La fotografia venne mostrata a parecchi astronomi, ma nessuno riuscì a interpretarla. L'oggetto era troppo lontano nello spazio perché fosse possibile distinguerne i particolari. Vennero formulate diverse ipotesi, che nessuno considerò soddisfacenti.

 

Nel 1940, prevedendo l'imminenza della guerra, Adamski ed alcuni dei suoi allievi che ne avevano la possibilità si trasferirono da Laguna Beach in una località lungo la strada che porta a Monte Palomar, chiamata Valley Centre. Qui lavorarono diligentemente per creare una piccola fattoria che speravano di rendere autosufficiente. Quando l'America entrò in guerra, Adamski prestò servizio in quella località come avvistatore antiaereo.

 

Nel 1944 il ranch di Valley Centre fu venduto. Adamski ed il piccolo gruppo di fedeli seguaci, che erano rimasti con lui durante tutti gli anni della guerra, si trasferirono sui pendii meridionali di Monte Palomar, nove chilometri al di sotto della vetta della montagna, a sedici chilometri dall'osservatorio dove è installato il più grande telescopio del mondo, allora non ancora completato. Qui coltivarono la terra vergine e costruirono semplici alloggi. Costruirono anche un edificio, un bar per i viaggiatori, la cui proprietaria e gerente era la signora Alice K. Wells, una delle allieve di Adamski. Ogni membro del gruppo svolgeva parte del lavoro manuale necessario per questa realizzazione, e poiché erano ancora in vigore pesanti restrizioni per quanto riguardava il materiale da costruzione, venne adoperato quello che si poteva trovare.

 

Adamski acquistò un telescopio da 15 pollici, che venne sistemato in un piccolo osservatorio, costruito in modo che egli potesse studiare il cielo per ore ed ore, al riparo dall'inclemenza del tempo. Il telescopio più piccolo, da 6 pollici, venne montato all'aperto. Adamski poté continuare lo studio del cielo: molti visitatori se ne interessavano, ed egli era felice di discutere con loro le sue scoperte.

 

Durante la pioggia di meteoriti del 1946, Adamski ed alcuni amici che stavano con lui assistettero ad un evento drammatico, che a quel tempo non venne riconosciuto per ciò che era effettivamente. Osservarono infatti un grande apparecchio a forma di sigaro che stava librato immobile nel cielo, a distanza relativamente ridotta. Era un oggetto stranissimo, del quale nessuno intuì la vera origine. Per quanto Adamski avesse discusso a lungo la possibilità che su altri pianeti esistessero esseri umani, era ancora convinto che le distanze, anche tra i corpi celesti più vicini a noi, fossero troppo grandi per permettere il volo interplanetario. Soltanto l'anno seguente (1947) ebbe la prova di essersi ingannato. Insieme alla moglie ed a pochi intimi, per più di un'ora Adamski osservò una formazione di apparecchi extraterrestri che si muovevano silenziosamente, in fila indiana, attraverso il cielo, da oriente a occidente.

 

Poiché lo stesso spettacolo era stato visto da altri gruppi di persone in località diverse, nelle settimane seguenti molti vennero da Adamski per confrontare le loro osservazioni personali. Nessuno era disposto a credere che quello spettacolo impressionante potesse venire ascritto ad aerei costruiti sulla Terra.

 

Le esperienze vissute poi da Adamski in questo campo sono state comunicate al pubblico nel libro Flying Saucers Have Landed, che egli scrisse nel 1953 in collaborazione con Desmond Leslie. Gli eventi accaduti dopo la pubblicazione di quel libro sono stati narrati nella presente opera.

 

Charlotte Blodget

 

 

 

 

 

Nota dell'Editore

 

Dopo la pubblicazione, negli Stati Uniti nel 1955 e in Inghilterra nel 1966, di Inside the Space Ships, la fama di George Adamski quale « intermediario » fra i piloti dei Dischi Volanti e le popolazioni della Terra si è diffusa in misura sorprendente, tanto da assumere ben presto le dimensioni di un vero e proprio « mito ». L'International Get Acquainted Program, l'organizzazione fondata da Adamski per diffondere il proprio « messaggio », si estese in larga parte del mondo occidentale e ben presto determinò la nascita di diecine di organizzazioni simili, in concorrenza e spesso in polemica con l'antesignana, tutte accentrate intorno a figure di « contattati » che assicuravano di avere vissuto esperienze simili a quelle descritte da Adamski. Quest'ultimo pubblicò una serie di altri testi nei quali, sotto diverse angolature, proseguiva il suo discorso sui Dischi Volanti e la « Grande Fratellanza Cosmica » (fra questi Questions and Answers, Flying Saucers Farewell, Cosmic Phylosophy, Thelepathy, ed uno Science of Life Study Course); tenne conferenze un po' in tutti i Paesi nei quali esisteva un certo interesse per il fenomeno degli UFO, riuscì ad entrare in contatto con personaggi di tutto rispetto i quali si dichiararono interessati dalle sue idee. Celebre fu il suo incontro, nel 1959, con la Regina Giuliana d'Olanda, nonché una sua misteriosa udienza in Vaticano che avrebbe avuto luogo nel 1962. Era ancora famosissimo quando morì, per un attacco cardiaco, il 23 aprile del 1965, portando con sé nella tomba tutti i suoi misteri.

 

Venne sepolto — fatto che non ha mancato di suscitare dubbi e polemiche — nel cimitero di Arlington, a Washington, dove la nazione americana venera i suoi eroi.

 

(Per altre notizie vedi Roberto Pinotti, George Adamski: uomo e mito, in appendice a Desmond Leslie & George Adamski, I dischi volanti sono atterrati cit.).

 

 

 

 


(17)

 

APPENDICE B

UN CAPOGRUPPO DEGLI SCOUT

MESSO FUORI COMBATTIMENTO DA UN DISCO VOLANTE

 

 

West Palm Beach, Florida, 23 agosto [1952] (UP): L'Aeronautica ha comunicato di avere ricevuto sabato una segnalazione dall'unico uomo al mondo che abbia finora affermato di essere stato strinato da un « disco volante ».

 

Il racconto di J.D. (Sonny) DesVergers viene attualmente sottoposto a « ulteriori studi dal punto di vista scientifico a Wright Field, Dayton, Ohio », ha dichiarato un ufficiale del servizio informazioni dell'Aeronautica che non ha voluto dichiarare il suo nome.

 

DesVergers, un ex marine che ha prestato servizio per tre anni nel Pacifico, ha detto che giovedì scorso stava viaggiando in auto insieme a tre boy-scout, nei pressi della palude di Everglades, in Florida, quando ha visto « delle luci lampeggianti ». Si è avviato attraverso i cespugli armato di un machete e di una lampada tascabile, lasciando i ragazzi in macchina e dicendo loro di chiamare la Polizia se non fosse ritornato entro dieci minuti.

 

Ha detto di aver visto « un oggetto abbastanza grande per ospitare sei od otto uomini. Al centro era alto circa tre metri, aveva un diametro di una decina di metri e aveva la forma di una mezza palla di gomma, che ai lati si assottigliava fino ad uno spessore di circa un metro. Il fianco sembrava fosforescente ».

 

« Credo di essere rimasto nelle immediate vicinanze per circa tre minuti », ha dichiarato il trentenne commesso di un magazzino di ferramenta. « Si trovava a circa tre metri dal suolo, ed emetteva un sibilo, come quello di un pneumatico che si sgonfia ».

 

DesVergers ha dichiarato che « loro » (evidentemente coloro che erano a bordo dell'oggetto) gli hanno lanciato contro un bagliore che è parso « fluttuare lentamente verso la mia faccia ». Ha dichiarato che il pelo sulle braccia è rimasto strinato, e che nel suo cappello da esploratore si sono aperti tre fori del diametro di tre millimetri.

 

Il capogruppo dei boy-scout ha detto di essere svenuto; quando si è ripreso « non avevo più il senso del tatto, e anche adesso sento un formicolio, come quando la circolazione si ferma e sembra che i piedi si addormentino ».

 

Allorché è rinvenuto, era già arrivato il vicesceriffo Mott Partin, chiamato dai tre ragazzi. Partin ha dichiarato che DesVergers sembrava « pazzo di paura » quando è uscito dai cespugli.

 

Partin ha esaminato il terreno, dove sarebbe atterrato l'oggetto, ma non ha trovato alcuna traccia, neppure le impronte di DesVergers sul suolo umido.

 

Quando è stato chiesto a Partin e ai funzionari della polizia locale che cosa pensassero della storia di DesVergers, si sono limitati a rispondere. « Non lo so ». [Dall'Arizona Republic di Phoenix, Arizona ].

 

In America furono pubblicate diverse versioni di questo fatto. Per esempio, per quanto riguarda le condizioni del terreno dove atterrò il disco volante, la Florida Times Union del 24 agosto scrisse: « Il vicesceriffo Mott N. Partin ha detto di essere penetrato nel bosco e che l'erba sembrava " bruciata o strinata " nella piccola radura in cui DesVergers aveva incontrato l'oggetto ».

 

 

 

 


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APPENDICE C

OMETTI VENUTI DALLO SPAZIO INFASTIDISCONO I MINATORI

 

 

Brush Creek, California, martedì 25 giugno 1953. Due anziani cercatori d'oro hanno preparato una trappola per un « disco volante » pilotato da nanetti dalle spalle larghe che continuano a infastidirli durante i loro scavi in montagna.

 

John Q. Black e John Van Alien hanno dichiarato di avere intenzione di sparare contro l'oggetto la prima volta che si ripresenterà.

 

Black e Van Alien, che hanno fama di essere individui seri e sobri, hanno dichiarato allo sceriffo Fred Preston che il « disco » era atterrato due volte nei pressi della piccola miniera d'oro in cui lavorano, nella zona di Marble Creek, una località fuorimano. Ogni volta, hanno detto, è uscito un ometto, che ha raccolto un secchio d'acqua e lo ha passato a qualcuno che era rimasto a bordo del disco.

 

I minatori hanno chiesto a Preston se potevano sparare contro l'oggetto la prima volta che l'avrebbero rivisto. Hanno detto che era atterrato la prima volta il 20 maggio e poi il 20 giugno, e quindi calcolano che ricomparirà il 20 luglio.

 

Preston ha dichiarato di avere risposto ai due che non poteva dare il permesso di sparare.

 

« Ho detto loro che faranno meglio a catturarlo, la prossima volta, così avranno una prova per corroborare il loro racconto », ha dichiarato Preston. E ha aggiunto che non intendeva svolgere indagini, ma che aveva « informato l'Aeronautica ».

 

I minatori hanno affermato che il « disco » era sceso su di una striscia di sabbia nel punto in cui si congiungono il Marble e il Jordan Creek, servendosi di una specie di carrello a tre zampe che rientrava al momento del decollo. Il carrello, a quanto hanno affermato i minatori, lasciava nella sabbia tracce simili a quelle di un elefante.

 

Black e Van Alien hanno precisato che l'oggetto aveva un diametro di circa due metri e dieci e uno spessore di un metro e venti. L'ometto che era uscito portava un indumento simile a « un parka (*) che gli arrivava alle ginocchia », e le braccia e le gambe sembravano coperte da una pesante stoffa simile al tweed.

 

(*) Specie di corto gonnellino. (N.d.C.).

 

La signora Vi Belcher, che gestisce il magazzino di Brush Creek, ha detto che i due minatori godono di un'ottima reputazione e non sono « tipi che bevono ».

 

 

MACCHINE FOTOGRAFICHE E FLASH ATTENDONO GLI OMINI DI MARTE

 

Brush Creek, California (UP), 20 luglio 1953. Gli «omini di Marte » dovrebbero tornare oggi ad atterrare in questa località, a meno che i flash, i giornalisti ed i curiosi non li spaventino. E a meno che coloro che hanno affermato di avere visto il 20 maggio e il 20 giugno questi piloti extraterrestri non stessero scherzando.

 

Qui, tutti sono armati in attesa dell'evento: ma di macchine fotografiche, non di fucili. Se i marziani saranno puntuali, atterreranno con il loro disco volante alle 6 e 30 del pomeriggio.

 

Secondo quanto si racconta, questi ometti simili a gnomi, alti un metro e venti, hanno già visitato due volte quest'area. Due minatori, John Q. Black e John Van Alien, che affermano di averli visti, erano presenti anche oggi.

 

La voce si è sparsa ed i minatori sono stati raggiunti nel loro accampamento da George T. Wolfer, un uomo d'affari di Milwaukee, con una macchina fotografica tridimensionale e una gran voglia di vedere il disco volante.

 

Wolfer è partito per la zona montuosa della Sierra e ha dichiarato che non sarebbe ritornato in città fino a quando non avesse fotografato il disco volante e i suoi occupanti.

 

I minatori sono convinti che i loro minuscoli « amici » ritorneranno.

 

Nella vicina Chico, un certo numero di osservatori della difesa civile ha segnalato di aver visto oggetti argentei, silenziosi e rotondi, che sorvolavano la cittadina.

 

 

NON ARRIVA IL DISCO DEGLI OMINI IN VERDE

 

Oroville, California (AP), 21 luglio 1953. Gli omini dalle tute verdi con i colletti di pelliccia non si sono fatti vedere.

 

Non si è visto neppure il loro disco argenteo. Qui, nel punto in cui il Marble e il Jordan Creek si congiungono, nei pressi di questo paesino della California settentrionale, il minatore John Black e il suo socio, John Van Alien, li attendevano per le 6 e 30 di ieri sera.

 

Cento spettatori aspettavano. I fotografi si tenevano pronti.

 

Ma gli omini verdi non si sono fatti vedere, e neppure il loro disco.

 

Tuttavia, Black si è dimostrato sicuro: « Ritorneranno... lo so... torneranno entro l'estate ».

 

 

 

 

 

 

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