IL MARTIRIO DI S. AGATA


L'altare barocco della navata di destra è arricchito dalla pala del "Martirio di S.Agata". Notevole, sia sotto il profilo della composizione, sia sotto quello coloristico, viene attribuito ad Antonio Balestra, pittore veronese che visse ed operò a cavallo tra il XVII ed il XVIII secolo. La scena del martirio della Santa si svolge attorno ad uno zoccolo a due gradini, somigliante alle comuni berline o peronii, che ancora nel secolo XVIII servivano per la pubblicazione dei bandi e per le esecuzioni capitali. Agata è già sul patibolo e, nell'imminenza del martirio, tiene le braccia aperte e rivolge gli occhi al cielo. Al suo atteggiamento di rapita in estasi ultraterrena, fa contrasto il cinico affaccendarsi dei carnefici, ai quali si associa la mondana Afrodisia. Uno dei carnefici, inginocchiato, sta arroventando le tenaglie nelle braci, un altro scopre il seno della vergine, un terzo in piedi la sta mutilando, mentre sullo sfondo la figura di un guerriero a cavallo rabbrividisce e si copre gli occhi con la sua bandiera. Il quadro che anticipa modi e colori che saranno poi del Tiepolo, spinge chi lo guarda ad una commossa e pacata contemplazione. Antonio Balestra è autore di numerose opere presenti nel Veneto. Si ricordano a Verona: l' "Autoritratto" ed il "Profeta" nel museo di Castelvecchio, "I santi Francesco, Antonio e Bernardino" nella chiesa del convento di S. Bernardino, la "Annunciazione" nella chiesa di S. Tommaso Cantuariense, la "Madonna con i santi Antonio e Caterina" nella chiesa di S. Maria in Organo. Nella parrocchiale di S. Anna d' Alfaedo (VR) c'è " La Madonna, Sant' Anna con Bernardino e santi ". Altre opere si trovano a Vicenza, a Bassano del Grappa, a Pedavena (BL), a Rovigo e a Padova ( chiesa di S. Giustina: " I santi Cosma e Damiano tratti dalle acque", " Martirio dei santi Cosma e Damiano" (con firma e data: 1718). Antonio Balestra è anche l'autore degli affreschi all'interno di villa Carlotti a Illasi (VR).


LA PIETA'

L'altare barocco della navata di sinistra suscita ammirazione e commozione per il gruppo della " Pietà ". L'Addolorata sostiene sulle ginocchia e con le mani il Figlio appena deposto dalla croce, con gli occhi lacrimanti, manifestando un atteggiamento d'immenso dolore e smarrimento. La policromia accentua la drammacità del gruppo, sommando all' effetto plastico anche quello pittorico. L'opera è scolpita in " pietra morta " ( un tufo che dalle caratteristiche non sembra provenire dalle vicine cave vicentine ), dipinta con colori naturali tra i quali predomina la lazurite ( impasto di polvere di lapislazzuli ) che tinge di " blu ultramarino " il manto dell'Addolorata. Un sapiente uso del colore mette maggiormente in evidenza alcuni particolari anatomici del gruppo ( occhi, muscoli, vene ). L'opera, di grande pregio artistico, è attribuita ad Egidio di Wienerneustadt, scultore austriaco del XV secolo, che operò per lunghi anni nel Veneto ed in particolare a Padova: a lui vengono attribuite la " Pietà " in pietra policroma della chiesa di S. Sofia a Padova, la statua in pietra di S. Giustina della chiesa di S. Giustina a Padova, e la statua in pietra di S. Michele Arcangelo della parrocchiale di Montemerlo sui Colli Euganei.




LA TAVOLA DI S. MICHELE ARCANGELO


Tassello di pulitura della tavola, durante il restauro (1996)

E' un dipinto su tavola a fondo oro. Si tratta di un'opera di pregevole bellezza, attribuita ad un anonimo maestro veneziano-cretese della prima metà del XVI secolo. S. Michele vi è rappresentato quale lo designa la tradizione, cioè come " ductor animarum " ( il condottiero delle anime ) verso il Paradiso, nel quale si scorge la trionfale incoronazione della Vergine. Verso il Paradiso viene condotta da S. Michele una folta schiera di Santi. Dai simboli iconografici tradizionali si distinguono: (a sinistra) S. Pietro, S. Gelasio papa, S. Giovanni Battista, S. Antonio da Padova, S. Cristoforo, S. Francesco d'Assisi, S. Giacomo e S. Valentino; (a destra) S. Paolo, S. Domenico, S. Giovanni Evangelista, S. Marco, S. Giuseppe, S. Sebastiano, S. Caterina d' Alessandria e S. Agostino. Nella parte più bassa del dipinto, il paesaggio, curato con estrema finezza nei minimi particolari, ci dà notizie sulla flora e sulla architettura del periodo. Si riconoscono, tra l'altro, due aceri ( Acer pseudoplatanus ), una quercia ( Quercus cerris ) e tre carpini ( Carpinus betulus ), mentre, sullo sfondo, appaiono gli edifici classicheggianti di una città ideale.


ANCONA IN PIETRA

E' collocata nel fondo dell' abside centrale ma, in origine, doveva poggiare sulla mensa dell'altare maggiore. Si tratta di una magnifica opera d'arte del primo decennio del XV secolo, attribuita ad un ignoto scultore vicino ai modi di Antonio da Mestre. Ha per base uno zoccolo, suddiviso in rettangoli lavorati a fogliami: ai lati due stemmi benedettini ( le chiavi di S. Pietro sormontate dalla croce) e nel mezzo un cartiglio spiegato, senza però alcuna incisione. Sullo zoccolo si alzano figure ad altorilievo, chiuso in cinque nicchie a conchiglia, separate da colonnine tortili, i cui capitelli di tipo corinzio sostengono archetti a tutto sesto. Nella nicchia di mezzo, più ampia e più alta delle laterali, figura S. Pietro, barbato, solenne e maestoso, seduto su di un trono dai bracciali a testa di drago. Fa da sfondo un drappo panneggiante. Il Santo indossa l' abito pontificiale, riunito al petto da un grosso fermaglio. Ha in capo il triregno; con la mano destra è in atto di ammaestrare e con la sinistra tiene le somme chiavi. Nelle nicchie: (a destra) S. Nicolo da Bari e S. Andrea; (a sinistra) S. Benedetto che presenta a S. Pietro un benemerito ( forse l'abate Guglielmo del tempo) e S. Paolo, con la spada e il libro. Sopra il polittico una serie di formelle: la centrale, di maggiore dimensioni, reca la scena della Crocifissione. Le due di destra portano scolpito il processo e il martirio di S. Agata. Le due di sinistra scene evangeliche della vita di S. Pietro: l' apparizione di Gesù in riva al lago e la burrasca sul lago stesso. Tutte le formelle sono sormontate da cuspidi, fiancheggiate da pinnacoli, e lavorate negli specchi: quella centrale reca il Cristo in mandorla, quelle laterali presentano i simboli dei quattro evangelisti entro nicchie ad archi policentrici.


IL PLUTEO

Il pluteo che si può ammirare nell'abside di sinistra della cripta, era probabilmente un paliotto di altare, quella lastra cioè che chiude davanti l'altare.
E' ritenuto da alcuni autori opera dell'VIII secolo, splendido esemplare dell'iconografia bizantina ed è scolpito in altorilievo ad intreccio, con quella tecnica detta " a tenie " o " a vimini ": vi si vedono elementi caratteristici delle chiese orientali ed in particolari di quella giudeo-cristiana. Ma alcune analogie con uno dei quattro lati dell'altare del duca Longobardo Rachis ( 737-744 ) da lui donato alla chiesa di San Giovanni a Cividale del Friuli, ed attualmente nel museo Cristiano del Duomo, e soprattutto con una lastra del sarcofago della badessa Teodota ( 735 ), proveniente dal monastero di santa Maria della Pusterla di Pavia ed attualmente nei Musei Civici del Castello, lo farebbero ritenere " longobardo" o, per lo meno, espressione di quell'arte di " età longobarda " che mutuava i suoi elementi decorativi (stelle, rosette, nastri intrecciati ) dell'arte paleocristiana orientale. Anzi, il pluteo di Villanova ed il sepolcro di Pavia presentano, sebbene in dimensioni diverse, la stessa scena simbolica della Resurrezione. In entrambi domina al centro la croce, con il calice che raccoglie il sangue di Cristo ed al quale si abbeverano due pavoni ( maschio e femmina ), che rappresentano le anime che trovano la salvezza nella linfa della beata immortalità. In entrambi si trovano le rosette, i punti cerchiati, i simboli del giglio. Se consideriamo che l'abbazia di Villanova fu fondata nel 763 da S. Anselmo del Friuli, nobile longobardo divenuto benedettino, l'attribuzione del pluteo all'area ed all'arte longobarda sembra quasi d'obbligo.