Da Time all’avanguardia: ipotesi su amore e ricerca

Paola Ferraris

 

Quando l’amore è stato trovato, la ricerca è conclusa, e se l’amore decade resta solo da ripeterla? Una risposta positiva porta a conseguenze paradossali, come nel film Time. Ma se l’amore è un evento, non può essere cercato come qualche cosa di noto che si tratta solo di trovare. Invece l’evento dell’amore si può verificare entro una ricerca di qualche cosa ignota, che magari è proprio davanti a noi, ma che non possiamo considerare senza modificare la nostra struttura. Si considera l’ipotesi di un amore che non conclude questa ricerca.

Possiamo considerare l’innamoramento un evento, perché sul suo oggetto non c’è accordo percettivo, interpretativo e valutativo tra chi ama e gli altri. Inoltre chi si innamora non lo potrebbe prevedere, né ripetere tal quale, dato che nemmeno a posteriori lo può interamente spiegare (Lombardo, 2002). Sopraggiungendo come evento, questo amore interrompe la sequenza temporale del comportamento basato sulle deduzioni dall’esperienza nel perseguire gli scopi conosciuti e accettati. Infatti l’innamoramento risulta enigmatico come una situazione d’emergenza, che costringe a comportamenti prima impensati, involontariamente creativi, e può condurre spontaneamente a scoprire nuovi scopi di vita. L'amore non è certo l’unico evento possibile, anche se sembra il più comunemente accessibile: eppure non corrisponde mai a una definizione oggettiva e neutrale, e si presenta piuttosto come un esperimento indeterministico, tale che ripetendolo sotto le stesse condizioni non porta allo stesso risultato. Perciò cercare l’amore sarebbe un progetto tanto paradossale quanto volerlo evitare. Però l’amore proprio in quanto evento potrebbe rientrare in una ricerca che prenda in considerazione gli eventi imprevisti, inutilizzabili in base ai programmi acquisiti, accettando il rischio di modificare la propria struttura (Lombardo, 1975). L’amore è appunto una invenzione culturale che ha oltrepassato gli obiettivi dell’autoconservazione, del singolo come pure della specie. Se si considera allora l’innamoramento come un evento di quella ricerca che è volta a creare valori e scopi al di là di quelli della sopravvivenza, l’amore fermerà il tempo ma per innescare trasformazioni mediante cui l’unicità degli individui può fare la propria storia, evolvendo in modo imprevedibile.

Tuttavia molte testimonianze ci dicono che, in realtà, quando l’amore è stato trovato la ricerca è conclusa.

Un film recente, Time, del regista coreano Kim Ki-Duk (2006), presenta alcune conseguenze paradossali di questa ipotesi. La situazione di partenza è quella dell’amore realizzato: un ragazzo e una ragazza vivono insieme già da qualche anno. Lei sente che l’imprevedibilità dell’evento è esaurita, e decide di provocarne una ripetizione. Sparisce e cambia faccia chirurgicamente, poi si fa ritrovare nei luoghi del loro innamoramento. L’esperimento funziona, ma per lui si tratta di un nuovo evento che non cancella la speranza di ritrovare il suo primo amore. La ragazza diventa allora gelosa della prima se stessa ancora amata, e rivela di essere "lei". Il ragazzo decide di metterla nella propria stessa situazione, cambiando faccia. Lei conduce una ricerca basata su indizi per essere certa di non innamorarsi di un altro. La storia finisce male, in tutti i sensi, ma dopo aver presentato anche un’altra "soluzione", che gli amici fanno sperimentare al ragazzo quando lei scompare: la possibilità di ripetere il rituale dell’innamoramento, in locali dove ci si reca apposta e dove si possono attraversare tutte le situazioni codificate dell’incontro e del rapporto amoroso. In queste ipotesi paradossali la ripetizione dell’evento, progettata oppure simulata, si oppone alla fissazione del rapporto d’amore come conclusione della ricerca: l’evento fissato decade, ma le ripetizioni non possono ripeterlo, né con un oggetto unico e assoluto né con parecchi indifferenti. Dunque falliscono queste diverse ipotesi di tenere in vita l’amore senza più esporlo alle incognite della ricerca.

Altre testimonianze sull’esperienza amorosa, che come quella estetica non può essere definita da osservatori neutrali, mostrano però come le conseguenze dell’amore possono portare a proseguire la ricerca e a sperimentare altri eventi: saranno prese in considerazione nell’ipotesi di un superamento del paradosso dell’innamoramento inteso come unico evento della vita, imprevedibile una volta sola, e poi fissato così da essere anche ripetibile ma come rappresentazione. La psicoanalisi ha già affrontato questo problema dal punto di vista della genesi infantile e delle motivazioni inconsce di un simile paradosso, per liberare gli individui dalle reazioni coatte conseguenti e abbastanza diffuse, come rimanere fissati al modello irripetibile dell’amore materno o dell’innamoramento per il padre, ma anche cercare di uccidere l’amante che ha distrutto l’unico amore con la separazione o il coniuge che l’ha fatto col matrimonio, oppure accumulare incontri amorosi indifferenti alla unicità dei soggetti nel ripetersi dei comportamenti. Qui la questione dell’amore e della sua ricerca interessa piuttosto per le possibilità e conseguenze di proseguire la ricerca degli eventi.

1. Le donne, i cavalier, l’armi, gli amori

Senza bisogno di ipotizzare mitiche origini, l’amore tra l’uomo e la donna ha oltrepassato il ruolo funzionale alla sopravvivenza dell’individuo e della specie in diversi luoghi e tempi antichi (non in tutti e senza un progresso lineare): sicuramente, nella Provenza dal 1100 alla conquista e repressione antiereticale voluta dalla Chiesa di Roma nel 1228. Qui la ricerca dell’amore viene distinta rigorosamente dal cercare un rapporto stabilito una volta per tutte in funzione di obiettivi precostituiti. Alla questione «Può esistere il vero amore fra marito e moglie?», la contessa di Champagne risponde che «l’amore non può imporre i suoi diritti a due persone sposate. Infatti gli amanti si concedono tutto, reciprocamente e gratuitamente, senza esservi costretti da alcuna necessità, mentre gli sposi sono costretti, per dovere, a subire la reciproca volontà, e a non rifiutarsi niente.» Il trattato De amore (Cappellano, 1892) riassume all’epoca tali giudizi e esperienze, precisando che «La stessa cosa accade anche per l’amicizia. Anche se padre e figlio si amano più di tutti di reciproco amore, tuttavia tra loro non c’è vera amicizia» perché il rapporto è fissato dai legami famigliari. Invece, «l’amore può sempre crescere o diminuire», e accettare un amante o conservarlo «senza essere convinta dal pungolo d’amore, equivarrebbe ad affermare una cosa turpe e a tradire i comandamenti d’amore». Non si tratta però di seguire automaticamente lo stimolo sessuale: «Chi è tormentato da tanto piacere carnale che non può con sentimento di cuore legarsi agli amplessi di nessuna donna ma concupisce spudoratamente tutte le donne che incontra, non si chiama amante ma falsario e simulatore d’amore». E la ricerca mossa dal pungolo d’amore, dopo aver ricevuto l’adesione dell’amata, introduce a un rapporto che si può imprevedibilmente sviluppare sia come tenera amicizia dell’amore puro sia come amore misto «che si presta a ogni diletto della carne», senza gerarchie di valore tra i due; sono possibili anche più rapporti differenti, per uomini e donne, tra i quali di volta in volta uno prevale. Ma soprattutto ogni amore per una donna si dimostra nei cambiamenti qualitativi del comportamento del cavaliere, che avrà lo stesso rispetto verso ogni altra persona e metterà a rischio i suoi beni come la sua vita per sostenere questa libertà nuova degli individui e dei rapporti; mentre simulare passione oppure freddezza nell’interesse di conquistare e sedurre viene punito per ambedue i sessi con la perdita della reputazione nelle Corti d’amore. Perciò si afferma che dall’amore nasce ogni virtù e ogni valore umano: ponendo la sua ricerca come bene supremo, promessa di felicità che merita il rischio di ogni sofferenza fino all’autodistruzione, tutta la morale e gli scopi prestabiliti della vita scendono dal cielo alla terra e cambiano struttura. Cade per primo il valore a priori della nobiltà di sangue insieme con quello della dedizione al guadagno, ma viene meno anche la separazione tra il bene e il piacere, e quella tra piaceri spirituali e sensuali. Infatti, «Se c’è al mondo una donna che, per quanto bellissima, non mostra nessun interesse per le opere di Venere, nessuno vuole ricevere i suoi piaceri ma addirittura tutti la rifiutano come un’appestata. Il diletto della parte alta non esisterebbe assolutamente senza la parte bassa che lo sostiene e lo rafforza»: come confermano le creazioni linguistiche e poetiche stimolate dall’amor cortese. Quest’ultimo si presenta così come un fattore che rilancia la ricerca al di là dell’amore.

Facendo leva sull’amore, questa ristrutturazione di valori e scopi della vita ne ha scoperto il potere, tanto da ammettere che al contadino «non conviene insegnargli la dottrina d’amore, per non rendere infruttiferi, per mancanza di coltivatori, tutti i poderi». Ma stabilire questa dottrina, minacciata dalla monarchia feudale e dalla chiesa, come cultura condivisa di uomini e donne liberi dalla fatica e liberi di disporre del proprio tempo, richiede che le conseguenze dell’amore siano sottoposte alle nuove regole e scopi codificati, senza poterne creare ancor altri. Così l’assolutismo dell’amore in queste sue corti, da una parte vincola il comportamento creativo che l’evento può stimolare nell’amante alle sole prove di valore che l’amata richiede; e d’altra parte, il potere dell’innamoramento viene strumentalizzato, dato che è la società a stabilire per le dame i meriti da esigere e le avventure da far affrontare. La libertà di rapporti che si esperimenta in un circolo chiuso tende a concludere la ricerca in una rappresentazione di se stessa.

Stendhal, che sperimenta e tratta Dell’amore (Stendhal, 1822) al tempo della restaurazione dopo la rivoluzione francese, constata che l’amore-passione è sempre un’eccezione antisociale tranne che in «uno stato di rivoluzione» che distrugge le virtù convenzionali e le convenienze, «rende seria la gioventù, la spinge a disprezzare l’amore di vanità e a trascurare la galanteria». L’amore è così un aspetto di quella passione che spinge a rischiare il cambiamento di tutti i valori senza credere in niente di prestabilito. Quando questa ricerca dell’evento e delle sue conseguenze imprevedibili viene esclusa dalla vita sociale, «di cosa non siamo debitori all’amore? Dopo le avventure della prima giovinezza, il cuore si chiude alla simpatia. Siamo costretti a trascorrere la vita accanto a individui indifferenti, che con il metro in mano calcolano sempre idee di interesse o di vanità». Invece «un uomo sensibile, appena il suo cuore è commosso, non trova più in sé alcuna traccia di abitudine per guidare le sue azioni». Come dice nel romanzo Lucien Leuwen (Stendhal, 1927) la donna che ama il protagonista, quell’innamorato «non ha nulla di comune, niente di stabilito in anticipo», «per questo mi è caro. Non è uno sciocco che abbia letto dei romanzi» e voglia metterli in scena. Per Stendhal così conta, più ancora dell’evento dell’innamoramento, lo sviluppo imprevedibile dell’amore-passione per via degli ulteriori eventi che stimola nel rapporto e nella vita. Appassionarsi a una persona, come a un’impresa che può trasformare la vita, significa non avere mire prestabilite, né l’orgoglio della virtù ascetica e neppure il piacere sessuale, mentre l’unico obiettivo è conoscere i cambiamenti che accadono in se stessi e dirsi la verità reciprocamente accettandone le conseguenze. Queste possono portare a superare i ruoli stabiliti, sia con l’amicizia appassionata che con l’unione sessuale; altrimenti, si deve rinunciare al rapporto, come alla difesa napoleonica della rivoluzione, quando ogni sviluppo imprevedibile è precluso.

La sua testimonianza, in Dell’amore, che «ogni donna ispira un interesse diverso, e ancor più la stessa donna, se il caso ve la fa incontrare due o tre anni prima o dopo nel corso della vita; e se il caso vuole che ve ne innamoriate, sarà sempre in maniera diversa», è senz’altro a favore dell’ipotesi di un evento sempre unico che ha ogni volta un oggetto specifico e un rapporto diverso, dunque non può concludere la ricerca escludendo la possibilità di amori differenti, e di altri eventi. Restano da esaminare gli argomenti a contrario, sulla superiorità di un amore prefissato come unico e assoluto: quali condizioni richiede, per fissare il gioco dei sentimenti e la struttura dei soggetti all’obiettivo di un accordo perfetto, e con quali conseguenze rispetto alle possibilità dell’evento come della ricerca; e se il rischio dell’imprevisto è escluso.

2. Derubare se stessi, per possedere l’altro

«Se le altre forme di amore si adattano ad esseri successivi, e anzi li richiedono, l’amore sublime, scoperto l’oggetto della sua ricerca, vi si fissa una volta per tutte. In effetti è sulla base di una perfetta complementarietà, intuitivamente percepita, che riposa l’amore sublime ed è dal possesso dell’essere complementare che deriva la felicità reciproca. Gli impulsi contraddittori sono di fatto incompatibili con l’amore sublime, il quale per l’appunto presuppone la loro conciliazione in un accordo perfetto.»(Peret, 1956) Il surrealista Benjamin Peret riassume così una tesi abbastanza diffusa, tra gli uomini di pensiero come nella cultura di massa, da dover essere presa in considerazione. Non dice che un amore può durare tutta la vita, come accade del resto per l’amicizia: ma che l’amore più elevato deve essere uno solo e assoluto. Questa teoria predefinisce l’amore come complementarietà assoluta ed esclusiva, che si tratta di scoprire. A parte che «i filosofi hanno dibattuto per secoli se l’amore cercasse la complementarietà o la somiglianza» (Bergmann, 1987), in ambedue i casi l’evento dell’innamoramento ha delle cause prefissate, dunque l’amore si potrebbe cercare; teoricamente si potrebbe anche ripeterlo cercando le stesse caratteristiche risultate complementari o somiglianti alle proprie: e una volta trovato, per durare non dovrebbe ammettere alcun cambiamento nella struttura dei soggetti.

Verrebbe subito in mente la solidità del legame tra sadico e masochista, ma per non semplificare troppo consideriamo pure il rapporto complementare fra protezione e regressione: chi ama assumendo un ruolo protettivo chiede all’altro di non esporsi a rischi, non impegnarsi in avventure (cioè affrontare l’incalcolabile della vita), e l’amato per corrispondere regredisce a un comportamento dipendente (più timoroso del bambino, casomai come un lattante), derubando se stesso. Questi legami complementari effettivamente tendono a durare perché ogni soggetto vi ha sacrificato tanto, ed è stato ricambiato, da far resistenza contro tutti i cambiamenti che metterebbero in pericolo quello che gli resta, il rapporto. Mentre cercare la somiglianza è più spesso una proiezione narcisistica, i cui protagonisti «ammantano la realtà dell’altro di quel fascino immaginario di cui sono in sé la fonte inesauribile; e sotto l’apparenza di tale oggetto godono di se stessi» (Stendhal, 1822), finché l’infatuazione dura: generalmente decade, e costringe a ripetere la stessa operazione.

Se cercare un legame di somiglianza implica così derubare l’altro di quel che è realmente, anche la complementarietà può essere trovata accettando consapevolmente una sola trasformazione definitiva: come osserva Nietzsche (1882) «ci sono quelle donne che si trasformano nella funzione di un uomo, funzione che in lui, appunto, si è debolmente sviluppata, e in tal modo esse diventano il suo portafoglio o la sua politica o la sua socievolezza», specializzando le proprie qualità per il comune interesse e rendendo così indispensabile il legame. E lega anche l’amore litigioso, che «può durare ancora di più dell’amore-passione, poiché partecipa della natura delle fredde abitudini basate sul lato prosaico della vita. Ogni giorno si crea un piccolo dramma che ci occupa l’immaginazione, e ci abituiamo infine a essere trattati male. Infatti, all’infuori dell’amore, del gioco, del potere, dove è mai possibile trovare un’altra fonte di interesse continuamente rinnovato nella sua vivacità?» (Stendhal, 1822). Oppure l’amore che trasforma in benefattori: «quando vediamo soffrire qualcuno, utilizziamo volentieri l’occasione offerta in quel momento per impossessarci di lui» (Nietzsche, 1882), rimuovendo ogni consapevolezza che il piacere di essere buoni nasce dalla conquista, e che questo legame richiede all’altro di rimanere sempre oggetto di compassione.

La teoria dell’amore sublime così richiede una specializzazione funzionale al legame, presuppone o causa un derubare se stessi di quel che si ha di non complementare oppure discordante, per arrivare all’accordo perfetto del reciproco possesso: un amore che rende più poveri per essere reciprocamente tutto, deve rendere sempre più bisognosi dell’altro. E ciononostante rimane esposto all’imprevisto, anche se solo in senso negativo: quello inevitabile del tempo, che non conserva niente uguale per sempre, e impegna in difficili soluzioni di compromesso chi non tenta i paradossi di Time. Oppure proprio l’esito imprevisto della rinuncia a se stessi per amare l’altro, come nell’esempio di Nietzsche sull’amore che rende uguali: «L’amore vuole risparmiare all’altro, cui si consacra, ogni senso di estraneità, di conseguenza esso è pieno di dissimulazione e di assimilazione. E questo accade così istintivamente da far negare la finzione. Questo è un processo semplice, quando uno dei due si lascia amare e non trova necessario fingere», lasciandosi imitare dall’altro: «ma non esiste commedia più imbrogliata e impenetrabile di quando entrambi sono pieni di passione per l’altro e quindi ognuno rinuncia a se stesso e vuol farsi uguale all’altro; e nessuno alla fine sa più che cosa imitare» (Nietzsche, 1881).

Il fatto che si possa essere agiti dalle passioni fino a sottostare a simili automatismi, indurrebbe a difendersi da un gioco dei sentimenti che tende a replicare sempre gli stessi mezzi, quando si ama, per fissare l’unico rapporto per sempre. L’evento dell’innamoramento è senz’altro un pericolo per il dominio di sé: ma chi sta costantemente sulla difensiva, armato contro se stesso, guardiano della sua rocca, rischia di crollare d’un sol colpo; e prima ancora deruba se stesso, rifiutando le passioni che potrebbero portare la sua ricerca al di là delle analisi lucide e spietate del pensatore ascetico.

Oscar Wilde dice a proposito che «la mera esistenza della coscienza, quella facoltà di cui tanto si chiacchiera e si è, ignorantemente, tanto fieri, è un sintomo del nostro imperfetto sviluppo. Dev’essere fusa con l’istinto perché noi diventiamo perfetti» (Wilde, 1891): anche una rimozione rigorosa delle emozioni rende il pensiero un fraintendimento del corpo, perché alla fin fine «in tutto questo processo, il nostro intelletto è evidentemente solo il cieco strumento di un altro istinto, che è divenuto un rivale di quello che ci tormenta con la sua irruenza» (Nietzsche, 1881). Può essere l’istinto della pacifica autoconservazione, oppure altre passioni «più sgradevoli», come osserva Sade: «l’ambizione, l’orgoglio, gli interessi particolari» (Sade, 1795). Questa refutazione dell’ideale di un puro soggetto della conoscenza che si pretende indifferente, non comporta di abbandonarsi ciecamente all’impulso del sentimento, la cui spontaneità può essere una coazione a ripetere. Nietzsche avanza l’ipotesi di una «obiettività» raggiungibile proprio attraverso le modificazioni che subiamo dagli eventi che ci appassionano: non come una "contemplazione disinteressata", ma nella possibilità di sperimentare reazioni allo stimolo diverse da una sola automatica risposta, «in modo che si riesca a utilizzare per la conoscenza proprio la diversità delle prospettive e delle interpretazioni affettive»(Nietzsche, 1887). Si propone così una possibilità di associare l’esperienza degli eventi a una valutazione delle loro conseguenze impreviste, in quanto derubano oppure arricchiscono le prospettive dell’individuo. Le passioni fanno dunque parte di una ricerca che, a differenza della conoscenza deduttiva, non persegue uno scopo prefissato e non ammette una soluzione assoluta.

3. La ricerca è una, gli eventi molteplici

Anche Georg Simmel vede la passione come requisito indispensabile alla conoscenza: «Solo l’innamorato è uno spirito veramente libero. Solo lui, infatti, affronta ogni fenomeno con quella capacità e inclinazione al comprendere, al giudicare autonomamente, al percepire pienamente tutti i suoi valori, che non è limitata da nessun precedente né da nient’altro di già stabilito. Lo scettico, lo spirito critico, l’uomo privo di pregiudizi teoretici, si comportano diversamente. Ho sempre osservato che questi tipi, per paura di perdere la loro libertà, non attuano quella comprensione del fenomeno davvero indipendente da tutto il resto, della quale fa sempre parte una dedizione al fenomeno stesso» (Simmel, 1985). Questa ipotesi di percezione-comprensione che individualizza il fenomeno dando luogo a «un’immagine assolutamente originale» come quella della persona amata, si oppone al riconoscimento che applica categorie precostituite: «ogni "proprietà" è qualcosa di universale, può risiedere in un numero qualsiasi di soggetti: solo oltre ogni proprietà, in una loro connessione che però non è data con esse, sta quell’immagine totale davvero individuale» che è un atto creativo. Così l’amore è visto come stimolo a deautomatizzare il rapporto col mondo.

Si tratta appunto della questione che l’avanguardia ha affrontato portandola al di là dell’amore quale evento privato: rispetto all’automatizzazione che «si mangia gli oggetti, il vestito, il mobile, la moglie» e annulla la ricerca, perché «l’oggetto si trova dinanzi a noi, noi lo sappiamo, ma non lo vediamo» (dato che riconosciamo in esso solo quanto già possiamo utilizzare), l’arte diventa la costruzione di uno stimolo irriducibile a significati e scopi dati, un rapporto di forma e materiali «che aumenta la difficoltà e la durata della percezione». Non si possono applicare interpretazioni e comportamenti acquisiti, perciò diventa necessario trasformare se stessi per «"sentire" il divenire dell’oggetto, mentre il "già compiuto" non ha importanza nell’arte» (Sklovskij, 1917). Viktor Sklovskij per l’arte, come Stendhal per l’amore, vede l’evento nel rapporto imprevedibilmente dinamico tra soggetto e oggetto, escludendo il riconoscimento di qualcosa di noto che si tratterebbe solo di trovare, nell’amata o nell’opera; considera pure l’eventualità di un esaurimento del rapporto, che fissa l’oggetto nel «già compiuto» della storia, da cui potrà riemergere solo qualora i soggetti lo sentano diversamente e lo trasformino in qualche cosa di nuovo. Così l’avanguardia «toglie la sedia dal mobilio» e sottrae la moglie all’amore automatizzato, cominciando col tirar fuori l’opera d’arte da ogni rispecchiamento o riconoscimento.

Quindi l’arte si è data come obiettivo la ricerca di suscitare rapporti che siano eventi unici, imprevisti e coinvolgenti, mettendo da parte il modello della contemplazione disinteressata a favore dell’innamoramento; ma senza accettare per questo un «frazionamento tra cervello e sesso» che delegherebbe all’esperienza estetica l’espressione automatica degli impulsi dell’artista, per l’immedesimazione del pubblico: così «il pittore dipinge come il bue muggisce» (Hausmann, 1958); anzi, è sospetto di simulazione dato che si scatena solo in orario d’ufficio, e anche allora ripete tanto i comportamenti quanto le forme codificate dell’autoliberazione (Lombardo, 1977).

L’evento invece «non è riconoscibile dalla forma ma solo dalla valutazione degli effetti di trasformazione che provoca, i quali ne fondano anche l’unicità» (Nardone, 1981). «Questa trasformazione non è un processo subito passivamente, ma viene generata attivamente dall’individuo stesso»; «l’opera artistica non offre che "la possibilità di un cambiamento", e siccome gli esiti sono mutevoli e imprevedibili, essa è a tutti gli effetti un "esperimento non deterministico"» (Homberg, 1982): il rapporto con l’opera si potrà considerare un evento se e fino a quando sarà differente per ogni persona così come nel suo divenire. Quindi «l’espressione spontanea non è un evento che sfugge totalmente a qualsiasi approccio scettico» (Lombardo, 1982), se si manifesta entro una ricerca che non separa la creatività dalla sua verifica sugli effetti. Si può ipotizzare con Stendhal e Nietzsche che anche l’innamoramento potrebbe essere verificato, dai suoi protagonisti non disinteressati, in quello che ha di osservabile, che come per ogni evento sono solo le trasformazioni dinamiche che stimola: rispetto al mutare delle interpretazioni affettive quando non si fissano in un gioco automatico di passioni, e alla diversità delle prospettive che questo amore può aprire agli individui, invece della ripetizione di obiettivi prefissati.

Ma soprattutto, la ricerca dell’esperienza estetica come evento ha chiarito la contraddizione del pretendere di trovare un unico modello di oggetto capace di stimolare un evento assoluto e perenne: «l’estetica idealistica, isolando dal divenire i processi percettivi, li proietta in un mondo senza tempo nel quale un ordine eterno permette di ottenere sempre lo stesso risultato ad ogni esposizione dei sensi alla medesima costellazione di stimoli. (...) Anche l’esperienza emozionale di piacere, inquadrata in un mondo idealistico, dovrebbe tendere alla scoperta di un piacere assoluto, che, una volta avvenuta, trasformerebbe qualitativamente l’esperienza successiva. Non si tratterebbe più infatti di un processo di ricerca, ma di un evento ormai noto e riproducibile, per cui diventerebbero immotivate ulteriori ricerche» (RPA, 1980). Concludendosi la ricerca nel già compiuto, non ci sarebbe più posto per gli eventi, e per «la capacità più originale e caratteristica dell’uomo, (...) quella di saper affrontare l’imprevisto utilizzandolo» (Lombardo, 1980) col trasformare se stesso ed evolvere i propri scopi di vita: quando è certo almeno che l’imprevisto non si può evitare.

Da questo punto di vista, la questione se il rapporto d’amore sia ogni volta esclusivo non sarebbe nemmeno pertinente. Si tratterebbe "di quell’esclusività che costituisce l’essenza dell’amore perfino quando il suo soggetto la applica a una pluralità di oggetti" (Simmel, 1985) perché ciascuno è unico e insostituibile in un rapporto specifico e non assoluto. Se l’amore è un evento indefinibile che non si identifica dalla forma che assume ma dalle trasformazioni che provoca, si può chiamare amore, come non a caso fa il linguaggio comune, tanto il rapporto con le opere d’arte che ci cambiano, quando ci fanno sperimentare possibilità impreviste, quanto i rapporti differenti con persone che abbiano questo effetto; e anche con la stessa opera e la stessa persona in modo differente nel tempo, fintantoché il rapporto non è già compiuto.

Niente si può conservare com’è, neppure come amore assoluto e definitivo; e già in Time lo scontro è sul cambiamento.

Sarebbe stato detto tutto sull’amore, se i rapporti umani fossero immutabili: quando una cosa sola è certa, che la natura umana, culturale, è mutabile, come dimostrano gli errori ricchi di conseguenze di chi si basa sulla sua fissità. Così oltre a un evitamento dell’amore e una assolutizzazione dell’amore, ci potrebbe essere la ricerca una degli eventi molteplici.

 

 

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