Torture dei nostri tempi: le mutilazioni genitali femminili

Infibulazione ed escissione. Bambine o adolescenti tra i 7 e i 14 anni sottoposte ogni giorno a questa tortura dalle loro stesse famiglie dalla notte dei tempi, perché l’onore della famiglia resti intatto. Solo in questa maniera, infatti, la ragazzina entra a pieno diritto nella società, diventa parte del gruppo, acquisisce la sua identità all’interno della comunità cui appartiene.
Le mutilazioni genitali femminili – FGC (Female Genital Cutting) – sono di diverso tipo: si va dall’asportazione parziale della vulva alla sua asportazione totale e cucitura degli organi genitali femminili esterni, lasciando una fessura nella vagina per permettere l’uscita di urine e mestruazioni e per far sì che la donna non provi alcun piacere ma terribili dolori durante i rapporti sessuali, provocando terribili ferite fisiche e psicologiche e problemi durante il parto.

Una volta sposata, lo sposo scuce la vulva per poter consumare rapporti sessuali e poi viene ricucita dopo la gravidanza. Quindi si tratta di una tortura che non solo menoma in maniera permanente la donna, ma che viene reiterata più volte.

In seguito all’operazione, praticata da mammane prive di conoscenze mediche, che operano senza l’uso di anestesia e con attrezzi di fortuna come coltelli, pezzi di vetro o ferro, rasoi, non sterilizzati provocando infezioni tanto forti da causare la morte, cheloidi, tetano, infertilità, oltre a dolori atroci durante i rapporti sessuali e al momento di partorire. Dopo l’operazione, si immobilizzano per settimane le gambe della ragazza per favorire la cicatrizzazione. Le conseguenze di questa pratica sono terribili, come la morte sia della madre sia del figlio durante il parto, sterilità, problemi psicologici, possibilità che la pratica danneggi anche gli altri organi interni.
Attraverso la menomazione degli organi genitali si priva la donna della sua femminilità, le si preclude la possibilità di provare piacere. Ma la donna non ha scelta. È questa l’unica via per non subire il dramma dell’emarginazione sociale, è l’unico pass per l’accettazione e per salvaguardare l’onore della famiglia cui appartiene.

Quando andavo al liceo lessi su D – La Repubblica un articolo che parlava di questa barbara usanza praticata in alcuni villaggi africani e asiatici. Pensai ovviamente che era terribile e che cose simili erano lontane anni luce dal nostro mondo. Beh, mi sbagliavo perché queste atrocità avvengono sotto i nostri occhi.

Solamente in Africa sono ben 28 i Paesi in cui ogni giorno la mutilazione viene praticata. Ci sono poi la Bolivia, il Kurdistan, lo Yemen, l’Arabia Saudita, l’Indonesia. Sono dunque – secondo i dati più recenti – oltre 120 milioni le donne mutilate nel mondo, 2 milioni in più ogni anno, 8 mila giovani vittime ogni giorno.

Negli ultimi anni, la polietnia in Italia, come altrove nell’Occidente cosiddetto civilizzato, è aumentata, sono moltissimi, la Lega ce lo ricorda costantemente, gli immigrati provenienti da ogni dove ed essi, insieme alle loro poche cose, i loro cibi speziati, i loro abiti colorati, i loro veli, portano le loro tradizioni talvolta interessanti, coinvolgenti e talvolta, purtroppo, terrificanti, misogine e, in questo caso, profondamente invalidanti.

Come si comporta la nostra Italia di fronte a pratiche quali l’infibulazione?

Nonostante la legge italiana vieti le mutilazioni genitali femminili (con la legge n. 7 del 2006, la legislazione italiana ha istituito il divieto di praticare le MGF, prevedendo contestualmente la promozione di numerose attività di contrasto di tali pratiche violente, il cui coordinamento è affidato dal Dipartimento per le Pari Opportunità), sono moltissime le donne che continuano a sottoporsi a questa pratica (addirittura sono loro stesse che decidono l’infibulazione a 18 anni per sentirsi integrate) e la cosa ancora più allarmante è che esistono medici che agiscono nell’illegalità.

Secondo l’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp), in Italia sono circa 4000 le bambine (provengono per lo più dal Corno d’Africa, fascia sub-sahariana, Egitto e Sudan) che rischiano l’infibulazione e solo in Italia il fenomeno interessa 30-35 mila donne.

È una tragedia che si consuma in maniera silenziosa e molto spesso esistono medici disposti, a pagamento, a praticare questa barbarie o peggio ancora sono le anziane della comunità, le mammane.

Il dato che emerge dalle ultime statistiche è che l’Italia è il paese occidentale con il più alto tasso di donne che hanno subito tale pratica, il resto è sommerso. Un altro dato allarmante è che in molti paesi europei, tra cui l’Italia, queste pratiche si eseguono nei centri di chirurgia estetica vaginale o in quelli dove si fanno piercing e tatuaggi.
Cosa possiamo fare noi donne e uomini italiani contro il dilagare di questo fenomeno che da secoli e secoli non riesce ad arrestarsi ancora nel Terzo Millennio?

Secondo l’Inmp, è possibile contrastarlo solo approfondendo le sue origini e la sua diffusione in Africa: “È un fenomeno possibile tra le comunità immigrate più isolate. Per questo è importante lavorare con la scuola e i mediatori culturali. Bisogna favorire l’integrazione”, dice Morrone, presidente dell’Inmp che lancia un appello: “Si potrebbero offrire dei “benefit sociali” alle donne immigrate che, formalmente, rinunciano all’infibulazione. Partirei da buoni per l’acquisto di libri scolastici, accesso facilitato agli asili nido e alle scuole elementari, strumenti che tacitano l’integrazione”.

Inutile dire che alla luce degli ultimi discorsi portati avanti da alcuni parlamentari contro l’integrazione, questo appello rischia di cadere nel vuoto. Ma noi siamo qui per fare informazione e controinformazione o almeno ci proviamo.

È giusto riflettere su questa pratica che ogni giorno nel nostro Paese affligge nostre colleghe all’università o lavoro provenienti dai Paesi poc’anzi indicati, donne che incontriamo sull’autobus, al supermercato, che tentano di ricostruire i pezzi di un’esistenza mutilata e che difficilmente riusciranno a superare; non è giusto chiudere gli occhi solo perché si tratta di scempi che non riguardano la nostra cultura perché, nonostante si tratti di pratiche che la nostra cultura non ammette, si tratta di violenza sulle donne,  e attraverso cui la donna è ridotta unicamente a mero oggetto sessuale.

L’UNICEF considera le mutilazioni genitali femminili, in qualunque forma, una palese violazione dei diritti della donna e pertanto devono essere contrastate in tutto e per tutto.

Esistono diversi appelli volti a sensibilizzare e chiedere che tale pratica diventi illegale nel mondo: in Italia Non c’è pace senza giustizia che ha iniziato la sua battaglia dagli anni Novanta e Amnesty International che ha dato vita a una campagna europea contro le FGM denominata End Fgm. In tutto il mondo, grazie alla loro iniziativa e alla loro campagna di informazione, sono state raccolte firme per un appello di messa al bando di questa pratica da presentare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite o per ottenere almeno una moratoria nel 2011.

Per chi volesse saperne di più notizie interessanti sono contenute in questo sito. mettici il nome

2 thoughts on “Torture dei nostri tempi: le mutilazioni genitali femminili

  1. Grazie Marilisa per l’articolo.
    Vorrei solo puntualizzare una cosa. Grazie al lavoro faticoso, lungo, difficile e spesso pericoloso, di migliaia di donne coraggiose le cose stanno (troppo lentamente) cambiando.
    Ad esempio nel 2008 l’Egitto ha varato una legge che proibisce le FGM, e’ anche bene ricordare che, all’epoca, i fratelli mussulmani si sono schierati contro questa legge.
    Una di queste donne e’ la “nostra” Emma Bonino che ammiro moltissimo, contrariamente al partito a cui appartiene.

  2. Emma Bonino si e’ adoperata attraverso l’organizzazione Non c’e’ pace senza giustizia, che ho citato. :>
    si tratta infatti di un lavoro che parte dal basso per far capire alle donne che appartengono a queste culture che esiste un’alternativa. L’informazione va fatta in quei Paesi, ma anche all’interno delle comunità trasferitesi in occidente, dove questi rituali vengono perpetrati.

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