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ALTALEX NEWS


lunedì 28 marzo 2011

Mansioni superiori nel pubblico impiego

Mansioni superiori nel pubblico impiego Cassazione civile , SS.UU., sentenza 16.02.2011 n° 3814 (Francesco Logiudice)
Il Giudice della Nomofilachia, con la sentenza 16 febbraio 2011, n. 3814 affronta la celeberrima quaestio concernente la possibilità, nel campo del pubblico impiego, di corrispondere, in caso di svolgimento di mansioni superiori, le differenze retributive anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387. Principio affermato dalle SS.UU. Con l’arresto de quo, viene disatteso l’orientamento della magistratura amministrativa in base al quale le differenze retributive per mansioni superiori, svolte da pubblici dipendenti, possono essere riconosciute con carattere di generalità solo dopo l’entrata in vigore dell’art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, mentre prima, di regola, andavano negate a meno che non fosse rinvenibile una norma di settore che le riconoscesse (cfr. Cons. Stato, Ad. Plenaria, sentenza 28 gennaio 2000, n. 10, Ad. Plenaria, sentenza 23 marzo 2006, n. 3, da ultimo Cons. Stato, sez. VI - sentenza 3 febbraio 2011, n. 758). Secondo i giudici di Piazza Cavour , di regola, nel pubblico impiego "privatizzato", allo svolgimento delle mansioni superiori consegue l'attribuzione del relativo trattamento, poichè in tale settore il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, stabilito dall’art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall’art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998, è stato soppresso dall’art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998, con efficacia retroattiva; infatti, la modifica del comma 6, ultimo periodo, del predetto articolo, disposta dalla nuova norma, è una disposizione di carattere transitorio, non essendo formulata in termini atemporali, come avviene per le norme ordinarie, ma con riferimento alla data ultima di applicazione della norma stessa e, quindi, in modo idoneo ad incidere sulla regolamentazione applicabile all'intero periodo transitorio. La portata retroattiva di detta disposizione risulta, peraltro, conforme alla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha ritenuto l'applicabilità anche nel pubblico impiego dell'art. 36 Cost., nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonché alla conseguente intenzione del Legislatore di rimuovere con la disposizione correttiva una norma in contrasto con i principi costituzionali. (Cfr. Corte cost. n. 236 del 1992; n. 296 del 1990). Caso di specie In relazione al caso di specie, le SS.UU. ritengono che le disposizioni relative al comparto Ministeri - che consentono la reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare - devono essere interpretate, ai fini del rispetto del canone di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e dei principi generali di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 cod.civ. e art. 52, d.lgs. n. 165 del 2001, cd. TUPI), nel senso che l'ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità. Ne discende che a tale posizione può farsi luogo, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura, cosicché, al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell'ufficio concreta svolgimento di mansioni superiori Invece, l'attribuzione delle mansioni dirigenziali, con la pienezza delle relative funzioni, e con l'assunzione delle responsabilità inerenti al perseguimento degli obiettivi propri delle funzioni di fatto assegnate, non può che comportare, anche in relazione al principio di adeguatezza sancito dall'art. 36 Cost., la corresponsione dell'intero trattamento economico. Pertanto, nelle differenze retributive, vanno compresi gli emolumenti accessori e, in particolare, la retribuzione di posizione e quella di risultato. Conseguenze in ordine al riparto di giurisdizione Sul versante dei riflessi in ordine al riparto di giurisdizione, la Cassazione afferma che, ai sensi della norma transitoria contenuta nell’art. 69, comma 7, del TUPI, nel caso in cui il lavoratore, sul presupposto dell'avverarsi di determinati fatti, riferisca le proprie pretese retributive, in ragione dello svolgimento di mansioni corrispondenti ad una superiore qualifica, ad un periodo in parte anteriore ed in parte successivo al 30 giugno 1998, la competenza giurisdizionale non può che essere distribuita tra G.A. e G.O., in relazione ai due periodi in cui sono distintamente maturati i diritti retributivi del dipendente. La regola del frazionamento non si applica, invece, nella diversa ipotesi di domanda fondata sulla deduzione di un illecito permanente del datore di lavoro (ad esempio, dequalificazione, comportamenti denunciati come mobbing), nella quale si deve fare riferimento al momento di realizzazione del fatto dannoso e, quindi, al momento della cessazione della permanenza. Conclusioni Seguendo l’insegnamento della Suprema Corte è possibile, pertanto, affermare che: nel campo del pubblico impiego, in caso di svolgimento di mansioni superiori, le differenze retributive spettano anche se relative ad un periodo anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 387 del 1998; il giudice competente a decidere le relative controversie, se anteriori al 1° luglio 1998, è il giudice amministrativo. (Altalex, 9 marzo 2011. Nota di Francesco Logiudice)

Le disposizioni relative al comparto Ministeri che consentono la reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare devono essere interpretate, ai fini del rispetto del canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e dei principi generali di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 c.c. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), nel senso che l'ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità, con la conseguenza che a tale posizione può farsi luogo, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura, cosicchè, al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell'ufficio concreta svolgimento di mansioni superiori. Allo svolgimento delle mansioni superiori consegue l'attribuzione del relativo trattamento, poichè nel pubblico impiego "privatizzato" il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, stabilito dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 6, come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 è stato soppresso dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15 con efficacia retroattiva, atteso che la modifica del comma sesto, ultimo periodo, del predetto articolo, disposta dalla nuova norma, è una disposizione di carattere transitorio, non essendo formulata in termini atemporali, come avviene per le norme ordinarie, ma con riferimento alla data ultima di applicazione della norma stessa e, quindi, in modo idoneo ad incidere sulla regolamentazione applicabile all'intero periodo transitorio. La portata retroattiva di detta disposizione risulta, peraltro, conforme alla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha ritenuto l'applicabilità anche nel pubblico impiego dell'art. 36 Cost., nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonchè alla conseguente intenzione del Legislatore di rimuovere con la disposizione correttiva una norma in contrasto con i principi costituzionali. (Fonte: Massimario.it - 11/2011) pubblico impiego privatizzato retribuzione mansioni superiori "); //]]>--> SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Sentenza 16 febbraio 2011, n. 3814Svolgimento del processo 1. Con la sentenza qui impugnata la Corte d'appello di Firenze ha confermato la decisione del Tribunale della stessa città con cui, dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per il periodo anteriore al 30 giugno 1998, in parziale accoglimento della domanda proposta da M.G., dipendente del Ministero della Giustizia con qualifica di direttore di cancelleria presso la Procura Generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Firenze (ex nona qualifica funzionale, ora "C3"), il suddetto Ministero era stato condannato al pagamento di euro 7.337,94 in relazione all'espletamento, per il periodo dal 1 luglio 1998 al 31 agosto 1998, delle superiori mansioni svolte come dirigente della segreteria della stessa Procura Generale. In particolare, la Corte di merito, riaffermato, preliminarmente, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per il periodo precedente al 30 giugno 1998, con conseguente inammissibilità delle questioni di illegittimità costituzionale sollevate dalla dipendente in relazione al termine di decadenza posto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, ha accertato l'effettivo svolgimento delle mansioni superiori e ha rilevato che il diritto al corrispondente trattamento retributivo era conseguito all'applicazione della disciplina normativa e contrattuale, non potendosi configurare l'ipotesi della mera reggenza, sostenuta dalla p.a.. 2. Di questa sentenza il Ministero domanda la cassazione con due motivi. La M. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale deducendo, a sua volta, due motivi di impugnazione. Motivi della decisione 1. In via preliminare, i ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la stessa sentenza. 2. Con il primo motivo del ricorso principale, deducendo violazione e falsa applicazione di norme di diritto, il Ministero allega che l'attribuzione al direttore di cancelleria delle funzioni di sostituto del dirigente, nel periodo di vigenza del vecchio ordinamento (del D.P.R. n. 266 del 1987, art. 20) applicabile ratione temporis, rientra nel profilo di appartenenza e non costituisce svolgimento di mansioni superiori; soggiunge che, comunque, l'art. 24 del c.c.n.l. del 16 febbraio 1999 considera svolgimento di mansioni superiori, corrispondenti alla posizione economica iniziale dell'area immediatamente superiore, quelle espletate da parte dei dipendenti che rivestono l'ultima posizione economica all'interno dell'area di appartenenza, mentre nella specie la M. rivestiva la posizione "C3" che non era quella apicale all'interno dell'area "C". 3. Con il secondo motivo lo stesso Ministero deduce vizio di motivazione lamentando che, apoditticamente, la decisione impugnata abbia incluso nel calcolo del dovuto sia la retribuzione di posizione che quella di risultato, proprie dell'attribuzione della qualifica dirigenziale in quanto connesse alle relative funzioni e alla fissazione di determinati obiettivi; si prospettano, altresì, errori di calcolo nella elaborazione della consulenza d'ufficio, in relazione alle modalità di computo delle predette retribuzioni accessorie, nonchè della retribuzione individuale di anzianità, dei giorni di assenza e della tredicesima mensilità, e si lamenta il mancato espletamento dei mezzi istruttori richiesti in relazione all'effettivo svolgimento delle funzioni dirigenziali. 4. Con il primo motivo del ricorso incidentale la dipendente assume che la Corte d'appello, dichiarando il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per il periodo anteriore al 30 giugno 1998, non ha tenuto conto che il termine di decadenza previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, è in contrasto con i principi costituzionali (art. 3, 24, 36, 72 e 76 Cost.). 5. Con il secondo motivo del medesimo ricorso si allega che la sentenza impugnata ha erroneamente respinto la tesi della dipendente, che domandava il riconoscimento del trattamento economico per l'intero periodo di svolgimento delle mansioni superiori. 6. Il primo motivo del ricorso principale non è fondato. 6.1. Come questa Corte ha più volte precisato, le disposizioni relative al comparto Ministeri che consentono la reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare devono essere interpretate, ai fini del rispetto del canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e dei principi generali di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 c.c. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), nel senso che l'ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità, con la conseguenza che a tale posizione può farsi luogo, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura, cosicchè, al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell'ufficio concreta svolgimento di mansioni superiori, come correttamente ritenuto nella sentenza qui impugnata essendosi accertata l'insussistenza delle predette condizioni di temporaneità (cfr., da ultimo, Cass., sez. un., n. 4063 del 2010). E, dunque, nella specie, non rileva la disposizione dell'art. 24 del c.c.n.l. del 1999, richiamata dal Ministero, che - nel disciplinare il trattamento retributivo conseguente all'attribuzione di mansioni immediatamente superiori alla qualifica di appartenenza - riguarda la diversa ipotesi di sostituzione di dirigenti assenti temporaneamente. 6.2. Allo svolgimento delle mansioni superiori consegue l'attribuzione del relativo trattamento, poichè nel pubblico impiego "privatizzato" il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, stabilito dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 6, come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 è stato soppresso dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15 con efficacia retroattiva, atteso che la modifica del comma sesto, ultimo periodo, del predetto articolo, disposta dalla nuova norma, è una disposizione di carattere transitorio, non essendo formulata in termini atemporali, come avviene per le norme ordinarie, ma con riferimento alla data ultima di applicazione della norma stessa e, quindi, in modo idoneo ad incidere sulla regolamentazione applicabile all'intero periodo transitorio. La portata retroattiva di detta disposizione risulta, peraltro, conforme alla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha ritenuto l'applicabilità anche nel pubblico impiego dell'art. 36 Cost., nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonchè alla conseguente intenzione del Legislatore di rimuovere con la disposizione correttiva una norma in contrasto con i principi costituzionali (cfr. Corte cost. n. 236 del 1992; n. 296 del 1990; Cass., sez. un., n. 4063 del 2010, cit.). 7. Il secondo motivo è infondato in relazione alla censura relativa all'inclusione della retribuzione di posizione e di quella di risultato nel calcolo del trattamento differenziale. E' vero, infatti, che si tratta di elementi retributivi accessori, e non fondamentali, della retribuzione, connessi ai diversi livelli della funzione di dirigente e al conseguimento di predeterminati obiettivi propri di quella qualifica (cfr. Cass. n. 11084 del 2007). Non di meno, come questa Corte ha precisato (cfr. Cass. n. 29671 del 2008), l'attribuzione delle mansioni dirigenziali, con la pienezza delle relative funzioni, e con l'assunzione delle responsabilità inerenti al perseguimento degli obiettivi propri delle funzioni di fatto assegnate, non può che comportare, anche in relazione al principio di adeguatezza sancito dall'art. 36 Cost., la corresponsione dell'intero trattamento economico; nelle differenze retributive, pertanto, vanno compresi i predetti emolumenti accessori. 7.1. Sono invece inammissibili, per genericità e per mancato adempimento dell'onere di autosufficienza del ricorso, le restanti censure, riguardanti pretesi errori di calcolo della c.t.u., poichè non si riportano le relative conclusioni della consulenza, attributive delle specifiche "voci" contestate, nè si indicano gli atti e le deduzioni in cui siano state eventualmente sollevate corrispondenti censure nel giudizio d'appello; ugualmente inammissibile si rivela la doglianza riguardante il mancato approfondimento istruttorio circa l'espletamento delle mansioni, che si risolve nella contrapposizione di una diversa valutazione delle risultanze istruttorie rispetto a quella operata dal giudice di merito. 8. Infondati sono anche i due motivi del ricorso incidentale, da esaminare congiuntamente per la connessione delle relative censure. 8.1. In tema di lavoro pubblico cosiddetto privatizzato, ai sensi della norma transitoria contenuta nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7, nel caso in cui il lavoratore-attore, sul presupposto dell'avverarsi di determinati fatti, riferisca le proprie pretese retributive, in ragione dello svolgimento di mansioni corrispondenti ad una superiore qualifica, ad un periodo in parte anteriore ed in parte successivo al 30 giugno 1998, la competenza giurisdizionale non può che essere distribuita tra giudice amministrativo e giudice ordinario, in relazione ai due periodi in cui sono distintamente maturati i diritti retributivi del dipendente, mentre la regola del frazionamento trova temperamento nella diversa ipotesi di domanda fondata sulla deduzione di un illecito permanente del datore di lavoro (ad esempio, dequalificazione, comportamenti denunciati come mobbing), nella quale si deve fare riferimento al momento di realizzazione del fatto dannoso e, quindi, al momento della cessazione della permanenza (cfr. Cass., sez. un., n. 4063 del 2010; n. 7768 del 2009; n. 24625 del 2007; n. 13537 del 2006). 8.2. Con riguardo alle questioni che la ricorrente propone sulla illegittimità della disciplina relativa alla decadenza di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 per contrarietà alla Costituzione, queste Sezioni unite hanno già precisato in analoghe controversie che esse debbono essere fatte valere davanti al giudice munito di giurisdizione, che nella specie è il giudice amministrativo, al quale spetta di accertare gli effetti delle domande proposte oltre la data del 15 settembre 2000, prevista dalla norma, e di valutarne la conformità ai principi costituzionali (cfr. Cass., sez. un., n. 18506 del 2009; cfr. Corte cost. n. 214 del 2004 e n. 213 del 2005). 9. In conclusione, vanno rigettati entrambi i ricorsi e, in riferimento al ricorso incidentale, va dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, in relazione al periodo di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, con la rimessione delle parti dinanzi al T.A.R. competente per territorio per gli effetti della translatio judicii. Si compensano le spese in ragione della difficoltà delle questioni esaminate e del complessivo esito del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, a sezioni unite, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale; rigetta, altresì, il ricorso incidentale e dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo, in relazione al periodo di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, rimettendo le parti dinanzi al T.A.R. competente per territorio. Compensa le spese del giudizio
estratto da: http://www.altalex.com/index.php?idnot=51964&idstr=20 L'altro orientamento Pubblico impiego e irrilevanza delle mansioni superiori Nell’ambito del pubblico impiego non sono le mansioni ma la qualifica il parametro al quale la retribuzione va inderogabilmente riferita, considerate anche le esigenze di carattere organizzatorio regolate secondo il paradigma dell’art. 97 Cost. in data08/07/2010
Nel pubblico impiego le mansioni svolte dal dipendente che siano superiori rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento sono del tutto irrilevanti sia ai fini sia economici, sia di progressione di carriera, salvo che la legge non disponga altrimenti. Ciò in quanto il rapporto di pubblico impiego non è assimilabile al rapporto di diritto privato, perché gli interessi coinvolti non sono disponibili e anche perché l’attribuzione delle mansioni e del relativo trattamento economico devono avere il loro presupposto indefettibile nel provvedimento di nomina o di inquadramento, non potendo tali elementi costituire oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi. Al fine di rendere rilevanti le mansioni superiori adempiute da un pubblico dipendente non è invocabile l’art. 2126 c.c. , il quale, oltre a non dare rilievo alle mansioni svolte in difformità dal titolo invalido, riguarda il fenomeno del tutto diverso (lo svolgimento di attività lavorativa da parte di chi non è qualificabile pubblico dipendente) ed afferma il principio della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di un atto nullo o annullato. Esso, pertanto, non incide in alcun modo sui principi concernenti la portata dei provvedimenti che individuano il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici e non consente di disapplicare gli atti di nomina o di inquadramento emanati in conformità di leggi e di regolamenti. Inoltre, è pacifico il carattere supplementare ed integrativo dell’art. 2103 c.c., come sostituito dall’art. 13 L. 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori), per quanto riguarda l’obbligo di adeguare il trattamento economico alle mansioni esercitate, sicchè tale norma può essere applicata soltanto nei limiti previsti da norme speciali. Non solo. Si consideri anche che la pretesa al riconoscimento di mansioni superiori non può trovare diretto fondamento nell’art. 36 Cost., che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione alla qualità e alla quantità del lavoro prestato, non potendo la norma trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale. N. 04236/2010 REG.DEC. N. 00411/2009 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la presente DECISIONE Sul ricorso numero di registro generale 411 del 2009, proposto da: XXX, rappresentato e difeso dagli avv. Saverio Menniti, Antonio Torchia, con domicilio eletto presso Saverio Menniti in Roma, viale Parioli N. 74/C/4; contro Regione Calabria, rappresentata e difesa dall'Avvocatura, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi N.12; per la riforma della sentenza del TAR CALABRIA – CATANZARO, SEZ. II n. 01707/2007, resa tra le parti, concernente ACCERTAMENTO SVOLGIMENTO MANSIONI SUPERIORI E CORRESPONSIONE RELATIVE SOMME. Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2009 il Cons. Adolfo Metro e uditi per le parti gli avvocati Torchia anche per delega di Menniti, e l’avv. dello Stato Biagini;; Ritenuto e considerato, in fatto e diritto, quanto segue. FATTO Con il gravame di primo grado l’appellante, dipendente della Regione Calabria con la qualifica di funzionario di VIII livello, ha impugnato il silenzio dell’amministrazione sulla domanda con la quale aveva chiesto il riconoscimento delle differenze retributive maturate in ragione delle superiori mansioni svolte tra il 20 giugno 1996 ed il 30 novembre 1996 e, nel corso del 1997, in forza di ordini di servizio [...] in data 17 marzo e 8 agosto 1997. Il Tar ha respinto il gravame per mancanza di previsioni normative sulla retribuibilità delle mansioni superiori svolte in data antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n 387/98 ( e quindi dal 22 novembre 1998). Con l’appello in esame lo stesso sostiene la legittimità della sua pretesa richiamandosi, come già in primo grado, agli artt. 2126 e 2103 del codice civile, all’art. 13 della L. n. 300/70 e all’art. 39 della Costituzione. La Regione Calabria, costituitasi in giudizio ha sostenuto l’infondatezza dell’appello. DIRITTO Oggetto dell’appello è la sentenza del Tar Calabria n. 1707/07 con la quale è stato negato il riconoscimento delle differenze retributive chieste in ragione dell’asserito svolgimento di mansioni superiori alla qualifica rivestita. L’appello è infondato. Al riguardo, va osservato che le mansioni superiori svolte dal dipendente rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, sono del tutto irrilevanti sia ai fini sia economici, sia di progressione di carriera, salvo che la legge non disponga altrimenti. Ciò in quanto il rapporto di pubblico impiego non è assimilabile al rapporto di diritto privato, perché gli interessi coinvolti non sono disponibili e anche perché l’attribuzione delle mansioni e del relativo trattamento economico devono avere il loro presupposto indefettibile nel provvedimento di nomina o di inquadramento, non potendo tali elementi costituire oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi (Ap., n. 22/99; Cons. St., V Sez., n. 545/07). La giurisprudenza (Ap. n. 22/99 cit.) ha, altresì, chiarito che al fine di rendere rilevanti le mansioni superiori adempiute da un pubblico dipendente non è invocabile l’art. 2126 c.c. , il quale, oltre a non dare rilievo alle mansioni svolte in difformità dal titolo invalido, riguarda il fenomeno del tutto diverso (lo svolgimento di attività lavorativa da parte di chi non è qualificabile pubblico dipendente) ed afferma il principio della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di un atto nullo o annullato. Esso, pertanto, non incide in alcun modo sui principi concernenti la portata dei provvedimenti che individuano il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici e non consente di disapplicare gli atti di nomina o di inquadramento emanati in conformità di leggi e di regolamenti. Inoltre, è da tempo pacifico, nella giurisprudenza amministrativa, il carattere supplementare ed integrativo dell’art. 2103 c.c., come sostituito dall’art. 13 L. 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori), per quanto riguarda l’obbligo di adeguare il trattamento economico alle mansioni esercitate (V Sez., n. 274/89), sicchè tale norma può essere applicata soltanto nei limiti previsti da norme speciali (IV Sez, n. 113/06). E’ stato anche rilevato che la pretesa al riconoscimento di mansioni superiori non può trovare diretto fondamento nell’art. 36 Cost., che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione alla qualità e alla quantità del lavoro prestato, non potendo la norma trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale (cfr. Ap. n. 22 cit.; V Sez., n. 1722/07). In conclusione, nell’ambito del pubblico impiego, non sono le mansioni ma la qualifica il parametro al quale la retribuzione va inderogabilmente riferita, considerate anche le esigenze di carattere organizzatorio regolate secondo il paradigma dell’art. 97 Cost. (IV Sez., n. 587/06). Ciò comporta che l’Amministrazione è tenuta ad erogare la retribuzione corrispondente alle mansioni superiori solo se una norma speciale consenta tale maggiorazione retributiva, circostanza che manca nella fattispecie. L’appello deve, di conseguenza, essere respinto, perché infondato. Ritiene, peraltro, il collegio che sussistano giusti motivi per compensare, tra le parti, le spese del giudizio. P.Q.M. Respinge l’appello n. 411/09 meglio specificato in epigrafe; compensa, tra le parti, le spese del giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2009 con l'intervento dei Signori: Cesare Lamberti, Presidente FF Aldo Scola, Consigliere Nicola Russo, Consigliere Adolfo Metro, Consigliere, Estensore Roberto Capuzzi, Consigliere L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Il Segretario


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